(5 agosto 2015) Il presidente Usa ha scelto l’American University di Washington per lanciare un appello a ratificare l’accordo sul nucleare raggiunto il 14 luglio a Ginevra. La scelta non è casuale: in quell'ateneo, 52 anni fa, John Fitzgerald Kennedy parlò della necessità di usare gli strumenti della diplomazia per evitare lo scoppio di un conflitto nucleare. Il capo della Casa Bianca deve fare i conti con l'ostruzionismo annunciato dal Partito Repubblicano sull'approvazione del trattato, attesa entro il 17 settembre. Intanto l’AIPAC, potente lobby pro-Israele, sta comprando spazi pubblicitari e cercando di agire sui parlamentari più incerti.
di Roberto Festa *
“La scelta che abbiamo davanti è quella tra la diplomazia e una certa forma di guerra”. Non usa mezzi termini, Barack Obama, all’American University di Washington. Per cercare di convincere l’opinione pubblica americana, e il Congresso repubblicano, della necessità di sostenere l’intesa sul nucleare iraniano, il presidente americano fa balenare lo spettro di una nuova guerra in Medio Oriente. E, con altrettanta decisione, attacca il principale avversario di quell’intesa: “Ogni Paese al mondo, eccetto Israele, sostiene l’accordo con l’Iran”, spiega Obama.
Il presidente Usa ha scelto l’American University per lanciare il più forte e convinto appello a ratificare l’accordo sul nucleare raggiunto il 14 luglio a Ginevra. La scelta non è casuale. Proprio all’American University, 52 anni fa, John Fitzgerald Kennedy parlò della necessità di usare gli strumenti della diplomazia, per evitare lo scoppio di una guerra nucleare. “Non concentriamoci soltanto sulle nostre differenze, ma pensiamo anche ai nostri interessi comuni e a come superare le differenze”, disse Kennedy.
Nello stesso modo, Obama ha presentato l’accordo con l’Iran non come il miglior accordo possibile, ma comunque come un primo, importante passo per bloccare la corsa di Teheran verso il nucleare. Chi dice che avremmo dovuto andare avanti con le sanzioni, ha spiegato Obama, “o è totalmente ignorante della società iraniana o non è sincero con il popolo americano”. Le sanzioni, sanzioni ancora più dure, decise, non avrebbero dunque fiaccato la resistenza iraniana. Meglio, ha detto Obama, molto meglio “smantellare buona parte del programma nucleare iraniano in cambio del sollievo dalle sanzioni economiche”.
“Un Iran armato con il nucleare è più pericoloso di un Iran che beneficia della cancellazione delle sanzioni”, ha aggiunto il presidente, lasciando intendere che la sua scelta, per quanto parziale e problematica, è comunque al momento la migliore possibile. E’ venuto, quindi, l’attacco a chi oggi è il principale avversario dell’intesa raggiunta a Ginevra: Benjamin Netanyahu e il governo israeliano. Obama ha detto di comprendere la freddezza israeliana. “Nessuno può biasimare Israele per avere un profondo scetticismo nei confronti di qualsiasi accordo che coinvolga l’Iran”, ha spiegato Obama, che ha anche detto di essere certo della “sincerità” del premier Netanyahu. In un chiaro tentativo di isolare il governo di Gerusalemme, Obama ha però precisato che “Israele è l’unico Paese al mondo che si oppone all’accordo”, e che Netanyahu, in questa situazione, “ha sicuramente torto”.
E’ a questo punto che il presidente ha fatto balenare la possibilità di una nuova guerra. “Non c’è alternativa a una diplomazia forte, di principio”, ha detto. O meglio, se un’alternativa c’è, questa è la guerra. “Una guerra che forse non scoppierà domani, forse non scoppierà tra tre mesi, ma che comunque scoppierà molto presto”. Per rendere il fantasma della guerra più reale, e concreto, per gli americani, Obama ha fatto esplicitamente capire che una guerra in Medio Oriente coinvolgerà per forza anche i soldati americani. Proprio come avvenuto in Iraq. “Molti di quelli che si oppongono ora al patto con l’Iran sono gli stessi che spinsero per la guerra in Iraq”, ha detto Obama, che ha anche ricordato: “Se abbiamo imparato qualcosa, è che le guerre non sono prive di dolore. L’unica cosa certa in una guerra è la sofferenza umana”.
Nel discorso all’American University, il presidente Usa ha voluto esplicitamente definire il dibattito sull’intesa con l’Iran come la scelta più importante in politica estera degli Stati Uniti, almeno a partire dal voto sull’autorizzazione alla guerra del 2003. “Resistete ai tamburi di guerra – ha chiesto Obama agli americani – pensate meno a essere forti e più a essere nel giusto”. I toni ultimativi, il continuo riferimento all’orrore della guerra, si spiegano d’altra parte con l’importanza per la Casa Bianca della posta in gioco.
Senatori e deputati americani devono dichiararsi sull’intesa con Teheran entro il 17 settembre. Gran parte dei repubblicani hanno già espresso la loro opposizione, così come ha fatto Benjamin Netanyahu, aiutato negli Stati Uniti dalla potente lobby pro-Israele, l’AIPAC, che sta comprando spazi pubblicitari e cercando di agire sui membri del Congresso più incerti. Per Obama, che già nel 2003 si dichiarò contro l’autorizzazione alla guerra in Iraq, l’accordo con l’Iran è invece l’atto in politica estera più importante, e probabilmente ricco di conseguenze, di tutta la sua presidenza.
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