"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Sebastiano Vassalli
Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia
Rizzoli, 2015
di Federico Zappini
Qualche mese fa – appena letto dell’imminente uscita – scrissi alla casa editrice Rizzoli per poter organizzare a Trento una presentazione con Sebastiano Vassalli del suo “Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia.” (Rizzoli, 2015, 16,50 euro). Non ricevetti risposta. Qualche tempo dopo Vassalli se ne è andato – il 26 luglio scorso – e con lui la possibilità di coinvolgerlo in una chiacchierata attorno alla sua preziosa inchiesta sull’Alto Adige. Il tema rimane però di assoluta attualità. Anche in queste giornate agostane, “riscaldate” ancor più dalle polemiche esplose dopo la decisione degli Schutzen di piantare – nell’anno del Centenario della Prima guerra mondiale – una serie di croci su quello che un tempo fu il confine meridionale dell’Impero austro-ungarico. Qualcuno parlerà di folklore, altri di provocazione politica, altri ancora minimizzeranno in nome di un fascino pangermanista che fa capolino – marginalmente – anche in provincia di Trento.
Fatto sta che dentro l’idea di marcare simbolicamente (usando il ricordo dei propri – propri di chi? – morti ) i limiti dell’Impero si combinano perfettamente le tre dimensioni problematiche che Vassalli raccoglie nel suo libro.
La prima. La presenza dell’odio, protagonista più o meno invisibile, che si alimenta di quelle che l’autore bolla come “coltivazioni di fandonie” travestite da verità. La seconda. La fragilità, e per certi versi l’inutilità e la pericolosità intrinseca, dei confini così come li abbiamo tracciati e conosciuti nel secolo scorso, dentro e fuori l’Europa. La terza. I nuovi errori politici, nel presente, che non possono rappresentare in alcuna maniera correzione per la serie innumerevole di errori già commessi in passato.
Quelle croci infatti sono strumento di una propaganda scivolosa e divisiva, dalle basi storiche traballanti e dal retrogusto d’odio. Sono la rivendicazione (ancora?) di confini, laddove oggi ci si dovrebbe battere perché uno dopo l’altro quelli esistenti vengano meno, superati da altre forme di demarcazione – meno rigide e fittizie – delle differenze e delle particolarità di ogni territorio. Sono un errore, commesso sapendo di commetterlo. “L’amore e l’amicizia vanno e vengono. L’unico sentimento veramente durevole è l’odio” ricorda l’autore. Come dargli torto.
Sui tre assunti sopra elencati si basa la riflessione di Vassalli. Uno sguardo da esterno, cosa che rende la sfida solo apparentemente più semplice. Un libro crudo, ruvido, che non può lasciare insensibili. Un’inchiesta soggettiva, in 143 pagine dai caratteri grandi e dallo stile discorsivo. Da reporter/antropologo/storico, curioso soprattutto di raccontare i sentimenti umani. Frutto di un lavoro di osservazione – più o meno ravvicinata – durato più di vent’anni. Un’analisi secca e graffiante, magari (volutamente) non puntigliosa nell’approfondire ogni singolo passaggio storico ma nel complesso articolata e godibile anche per chi non ha conoscenze eccessivamente approfondite dell’argomento.
Vassalli non è tenero con nessuno degli attori in campo (italiano e tedeschi), ognuno a suo modo chiuso nel proprio giardino coltivato “a fandonie”. Li mette in fila, ne ricorda le azioni e i discorsi. Giustamente ne analizza anche i cambi di rotta, leggere sfumature del pensiero venute a galla con il passare degli anni. Ne sottolinea le responsabilità. Nelle ultime righe del libro lascia ad Arno Kompatscher quella di decidere in che modo gestire l’anniversario del trattato di pace di St. Germain-en-Laye, data in cui il Sudtirolo sarà da cento anni esatti territorio italiano. Che farà? E che faranno i più prossimi vicini del Trentino?
Al netto della memoria (che dentro la ricorrenza del centenario è ben presidiata da mille soggetti diversi…) il presente – se ha l’ambizione di essere propedeutico al futuro – necessita di chiavi di lettura adeguate, che solo un pazzo potrebbe pensare oggi ancora collegate alla dimensione etnica. Tale considerazione vale per la diatriba sudtirolese ma si può adeguare a ogni latitudine del pianeta. Musei per ricordare davvero – come suggerisce Vassalli – e nuova linfa dalla politica per indicare una via praticabile per una migliore e duratura convivenza. Per sostituire a confini e a barriere, così com’è ancora oggi lo stesso Brennero per i profughi che vogliono proseguire il loro viaggio in Europa, dobbiamo mettere in cantiere ponti, strumenti reali di incontro. Opere di architettura non banale, ma obbligata.
Vassalli parla anche di questo. Fa riferimento esplicito all’esperienza langeriana del periodico “Die Brucke/Il ponte”, non nascondendo neppure che le più tignose contestazioni al suo libro “Sangue e suolo”, prodotto del primo viaggio nel 1983, arrivarono proprio dalla sua parte politica. Riconosce però a Langer (definito in maniera sprezzante da alcuni esponenti SVP dell’epoca “una maglia che non scalda”) la capacità di saper imboccare – o almeno indicare – la strada che conduce alla “liberazione dalla logica delle guerre e dei confini”. Quella stessa logica che ha reso il Novecento il secolo delle guerre mondiali e dei totalitarismi. La strada della ricerca di necessario equilibrio, non solo per il Sudtirolo ma per l’intero pianeta, è oggi l’unica che abbiamo a disposizione, anche se in pochi sembrano rendersene davvero conto.
Per quanto riguarda le croci degli Schutzen, non sembra proprio si muovano in questa direzione.
dal blog https://pontidivista.wordpress.com
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