Questo intervento del presidente dell'associazione "territoriali#europei" è apparso oggi sul "Trentino"
di Alessandro Dalla Torre
(4 settembre 2015) La giornata dell’Autonomia è uno di quegli eventi inevitabilmente destinati ad essere issati sul pennone più alto della retorica politico-istituzionale. Da quell’altezza, assecondando il verso in cui dirige la brezza della storia, sventolerà dunque indifferente le sue buone ragioni. Ci saranno, poi, quanti si limiteranno a guardare a quella bandiera e quanti invece guarderanno anche al verso in cui dirige quella brezza. Si sa: spesso le bandiere, in genere tutte le bandiere, tendono ad illudere, mentre la storia – se la si vuole veramente intendere – difficilmente si presta a questo gioco.
Ma verso dove dirige la brezza della storia? Orientando lo sguardo all’orizzonte, cioè nel verso che anticipa il farsi del futuro, la risposta a tale domanda rivela i caratteri tragici ed ambigui tipici delle transizioni storiche epocali. La violenza dilaga in molte regioni del mondo e, in forme diverse, sembra potersi insinuare ovunque. La disoccupazione cresce su scala planetaria così come sta crescendo la percentuale della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia di povertà: la stima attuale è del 50%. I flussi migratori associati a guerre regionali, povertà, incremento demografico ed effetti del cambiamento climatico hanno ormai assunto dimensioni “bibliche” e, nel breve periodo, sono destinati a modificare radicalmente l’attuale struttura sociale di molti paesi e continenti.
Rispetto a questo quadro, necessariamente sommario, l’armamentario politico, giuridico ed economico ereditato dal Novecento si sta dimostrando inutile e perfino un po’ patetico. Nulla di quel mondo sembra infatti reggere più alla prova del cambiamento: non gli Stati nazionali, non le loro “superfetazioni” internazionali, non gli ordinamenti giuridici, non i modelli di sviluppo ispirati dalla sola logica di mercato. La tecnologia stessa, che del Novecento si proponeva come il paradigma irresistibile, sembra non reggere la sfida del cambiamento.
E cosa dire della nostra Autonomia? In fin dei conti, essa pure – nella sua attuale configurazione – è figlia del Novecento. Reggerà? Naturalmente c’è da sperarlo ma con la sola speranza non si apparecchia né per il pranzo né per la cena. Guardando pragmaticamente al quotidiano della nostra Autonomia, e tacendo gli esempi più o meno imbarazzanti, qualche ragione di preoccupazione sembra invero fondata.
Al momento della verità, tutte le articolate espressioni della nostra comunità autonoma – espressioni istituzionali, economiche e sociali – sembrano infatti incapaci di declinare in termini di futuro quel patrimonio di socialità, solidarietà e sostenibilità su cui, nel tempo, si è andato stratificando lo Statuto materiale del nostro territorio e di chi lo abita.
Eppure l’Autonomia ha avuto origine e ha saputo legittimarsi solo in quanto risposta esigente a conflitti radicali ed a sfide epocali. Conflitti e sfide – penso, a mo’ di esempio, ai conflitti mondiali, alla dissoluzione di imperi, agli esodi ed alle deportazioni di massa – carichi delle stesse stigmate e delle stesse vertigini che ci propone il presente. Solo le bandiere non sono più le stesse; tramontate perché anch’esse indifferenti e appese alle loro buone ragioni.