"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il Trentino come terra solidale. Fino a prova contraria.

Foto di Francesco Romoli

di Federico Zappini

(24 settembre 2015) Come formula giustificativa – quando avviene qualcosa di spiacevole in Trentino, soprattutto se di stampo razzista e discriminatorio – le istituzioni ripetono in automatico: “Questa è terra storicamente sensibile, accogliente e solidale”. Peccato che il curriculum vitae di una comunità – anche qualora fosse effettivamente immacolato – non ci garantisce per il presente, figurarsi per il futuro. Verrebbe da dire – per comprendere l’impossibilità di descrivere con precisione le traiettorie dell’agire umano – “sono certo di non aver ucciso nessuno, fino a questo momento…”. Questa frase dovremmo ricordarcela tutti quando ci scandalizziamo di fronte all’accusa che anche il territorio trentino sia vittima di un generale imbarbarimento nei rapporti interpersonali e di una crescente insofferenza nei confronti del diverso.

In questo tempo bislacco – dominato dalla categoria della nemicità come fondamento dell’affermazione di una propria identità  – perché mai questa piccola terra di montagna dovrebbe differenziarsi dalle altre. Non certo per tradizione, perché non c’è niente di immutato nelle relazioni che ci uniscono a chi ci circonda, messe in ogni momento alla prova dalla convivenza e dalle sue innumerevoli incognite. Non per comodità, essendo l’apertura verso l’altro da noi posizione scomoda per definizione perché rende lo spazio che abitiamo un contesto in trasformazione, di cui il conflitto è motore potente e dai comportamenti non del tutto prevedibili. Allora perché?

Partiamo dai sintomi del male, per capirne la cura. L’11 agosto 2015 è uscito sul Corriere del Trentino un editoriale di Ugo Morelli dal titolo “Scene di vita, ordinario razzismo”. E’ il racconto dei commenti, non proprio edificanti, di alcuni passeggeri di un autobus di fronte a due addetti dell’azienda dei trasporti pubblici colpevoli di…essere neri e, apparentemente per questo motivo, non degni di quel ruolo di controllo e responsabilità.
E’ come se la chiacchiera “da bar” avesse varcato i confini – spesso alcolici – del bancone riversandosi sulla città, modificandone almeno in parte il linguaggio e gli atteggiamenti.

A distanza di qualche settimana – siamo a settembre – il dibattito che si svolge dentro l’aula del Consiglio Provinciale durante la discussione del disegno di legge di iniziativa popolare contro le discriminazioni sessuali appare totalmente allineato a questo nuovo registro e ne diventa in un certo senso rappresentanza politica. Si parla di armadilli, di masturbazioni in classe, di “putelote” che devono giocare a pallavolo. Uno “spettacolo” poco edificante che temo sia lontano dal potersi dire concluso.

E’ da un po’ di tempo invece che La Voce del Trentino (incrocio le dita sul fatto che il titolo non rappresenti la realtà) e il suo direttore Roberto Conci spingono sull’acceleratore della polemica radicale attorno al tema del degrado urbano della città di Trento. Con il pezzo, dal titolo “Il coraggio delle merde”, pubblicato il 19 settembre 2015 hanno però giocato la carta più alta in loro possesso, tentando di far saltare il banco. Una miscela esplosiva di luoghi comuni e ipotesi più o meno fantasiose dentro un articolo che vorrebbe definirsi (e lo fa davvero) d’inchiesta. Giudizi durissimi vengono espressi con la leggerezza di chi può dire qualunque cosa senza avere bisogno di fonti, di analisi dettagliate dei contesti, di ricerca approfonditi dell’argomento trattato. Eppure migliaia sono le condivisioni, diversi i commenti che non solo confermano la teoria ma suggeriscono soluzioni drastiche, che prendono in considerazione e legittimano l’uso della violenza. Alla base la guerra tra noi e loro, schema che si ripete con sempre maggior frequenza. In pochi accettano di sfidare questo meccanismo contrappositivo, moltissimi preferiscono prepararsi allo scontro, schierandosi imbracciando scudo e lancia.

Non mi stupisco di questo clima, ma ne traggo due considerazione che viaggiano in parallelo. [uno] Si è perso il senso della misura e con essa anche la capacità di trasformare la naturale indignazione per le molteplici ingiustizie del mondo che ci circonda in voglia di porvi rimedio. Ci accontentiamo di essere indignati – lo siamo sempre, contro tutto e tutti -, come questo fosse un obiettivo raggiunto e non una fase transitoria da cui siamo chiamati a sfuggire per non esserne avvelenati. [due] La sensibilità d’animo va costantemente manutenuta, proprio perché non si tramanda come patrimonio genetico ma rischia quotidianamente di sfilacciarsi e di essere soffocata dai sentimenti bui che si rifanno all’odio e al rancore. Ognuno è chiamato a fare bene la sua parte: i rappresentanti politici nell’affermazione e nella promozione della gestione positiva dei conflitti, chi si occupa di informazione nel fare un uso corretto dell’enorme potere che possiede, i cittadini nell’essere protagonisti attivi e propositivi di un rinascimento civico degli spazi urbani che abitano e delle relazioni di comunità.

Il Trentino è una terra solidale. Fino a prova a contraria.

tratto da https://pontidivista.wordpress.com

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*