"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Valdastico: un'opera dannosa, un'operazione finanziaria avulsa dal territorio, la scelta di un modello di sviluppo insostenibile che non guarda al futuro

Striscione contro la Valdastico nord

Nel corso di questa settimana il tema della Valdastico arriva in Consiglio Provinciale. Una riflessione collettiva dell'Associazione "territoriali#europei"

(ottobre 2015) Avremmo voluto che dopo così tanto tempo la vicenda del completamento a nord della “Valdastico” fosse chiusa una volta per tutte. Se per quasi cinquant'anni la nostra comunità e, in seguito, le sue stesse istituzioni hanno detto no a quell’opera c'erano evidentemente buone ragioni per farlo. E semmai, nel tempo, quelle ragioni si sono arricchite di nuovi argomenti avversi al completamento di un’opera prevalentemente giudicata inutile e dannosa. Ultimo tra questi argomenti: il progressivo “collassamento” del sistema di comunicazione fondato sul trasporto su gomma; “collassamento” che concorre a rendere sempre più urgenti e drammatiche le questioni che ruotano intorno al concetto di sostenibilità e di limite.

In questa prospettiva il tema della Valdastico autorizza una riflessione che, quando ragioniamo di grandi opere, porta allo scoperto anche la portata “etica” di scelte a forte impatto sulla qualità del futuro. Considerando le peculiarità del territorio trentino, sulla qualità del suo futuro impatteranno certamente effetti correlati al completamento quali: le trasformazioni ambientali ed idrogeologiche; l’“impronta” sociale e non solo economica dei grandi cantieri; l’inevitabile rinuncia all’alternativa rappresentata dal potenziamento dei collegamenti ferroviari; il sacrificio di suolo agricolo pregiato e del relativo valore economico; l’inevitabile sovraccarico dell’Autobrennero.

Quali sono dunque i motivi di questo nuovo tentativo di rilanciare la Valdastico? Una possibile risposta è quella emersa nella fase più recente, ovvero di fare di quest'opera il terreno di scambio rispetto al rinnovo delle concessioni autostradali per la Serenissima e l'Autobrennero. Un'operazione finanziaria, dunque; un’operazione insidiosa perché giocata in una dimensione estranea al valore dei beni collettivi che saranno sacrificati e per di più destinata a reiterare un sistema di rendita dove le asimmetrie tra pubblico e privato scaricano tutti i costi sul pubblico (l’utenza, la cittadinanza, il bene comune) massimizzando i profitti del privato.

C'è però anche una motivazione forse più insidiosa sulla quale varrebbe la pena prestare più attenzione e che ci porta a ragionare sul modello di sviluppo che il completamento “trentino” della Valdastico tende a prefigurare.

Il Trentino in questi anni – grazie alla sua speciale autonomia e alla sua positiva anomalia politica – ha saputo resistere alla chimera di uno sviluppo omologante. Non che non ci siano tracce anche da noi di un modello di sviluppo fatto di capannoni e centri commerciali, produzioni senza qualità e spaesamento; ma nel suo insieme la nostra comunità ha cercato di configurare un modello di crescita “altro” rispetto a quello affermatosi nelle economie regionali a forte intensità di sfruttamento ambientale.

Ciò è stato possibile anche facendo tesoro delle lezioni della storia: pensiamo, per fare un solo esempio, alla tragedia di Stava. Sono nati così gli strumenti di programmazione urbanistica ed ambientale: valutazione impatto ambientale e strategico, parchi, scuola per il governo del territorio e del paesaggio; le politiche di riqualificazione del territorio: lo stop alla corsa dissennata alle seconde case; la gestione delle risorse strategiche: la provincializzazione dell'energia; la valorizzazione delle filiere e delle vocazioni territoriali.

Abbiamo iniziato ad interrogarci sulla fragilità di un territorio montano e di un patrimonio ambientale, culturale e sociale che rappresenta il vero capitale di questa terra; sulla necessità di cambiare indirizzo in un settore agricolo che ha teso a privilegiare la quantità sulla qualità; su un tessuto industriale che aveva ben poco a che fare con le caratteristiche del nostro territorio (il modello Acciaieria di Borgo, per intenderci); su un turismo capace di “fare numeri” ma senza rinunciare all'unicità della sua offerta; su un comparto agroalimentare in grado di dare valore alla qualità delle terre alte; sull'idea che la cultura potesse diventare motore di sviluppo.

Anche grazie a questi interrogativi, nel tempo, è andato affermandosi un modello di sviluppo ben sintetizzato nei Piani Urbanistici Provinciali che, di volta in volta, si sono avvicendati e a cui corrispondeva un progetto di riforma istituzionale che avrebbe dovuto trasferire quote di potere e funzioni dall’Amministrazione centrale della Provincia alle espressioni istituzionali rappresentative delle comunità territoriali. E, infatti, proprio alle Comunità di Valle - attraverso la “pianificazione strategica di comunità” - era affidato il compito di valorizzare l'unicità del nostro sistema territoriale promuovendo un approccio insieme distintivo e plurale.

L’idea alla base di quella progettualità – non senza contraddizioni - ha proposto il Trentino come un territorio capace di attrazione sul piano istituzionale, sociale, ambientale, culturale e dell’innovazione. Purtroppo quella progettualità oggi sembra essersi smarrita, fagocitata dalla resistenza burocratica e dal pragmatismo di una politica che, non a caso, rilanciando la Valdastico ripropone formule di sviluppo pensate negli anni ’60 del secolo scorso.

Ed è così, che in un non facile passaggio di sistema, fra il “non più” e il “non ancora” si scontrano modelli di sviluppo che tra loro stanno agli antipodi. Un passaggio molto delicato della nostra autonomia nel quale l'incursione sulla Valdastico rischia far breccia. Perché la Valdastico non è solo una strada, è un'idea di economia ostile alle regole della pianificazione territoriale; il simbolo di un “lasciar fare” che non s'interroga sul futuro, di un governo del territorio nel quale i flussi hanno il sopravvento sui luoghi.

In questo senso la Valdastico disegna anche un modello di governo niente affatto estraneo al processo “neo-centralistico” che caratterizza l’attualità del nostro paese. Siamo di fronte ad un'idea di Trentino e di governo dell'autonomia che contraddice le scelte compiute nella direzione della sostenibilità e che non sembra interrogarsi sulla fragilità del nostro territorio. Che va nella direzione opposta a quella intrapresa da un'area euroregionale che non a caso pone precisi limiti di velocità sulle autostrade; disincentiva il trasporto merci su gomma; dà priorità alla rotaia, in particolare sull'asse nord-sud; sceglie le autostrade fluviali - in primo luogo il Danubio - per la comunicazione est–ovest; guarda alla riattivazione di porti e linee ferroviarie verso un'Europa non più divisa.

E' con uno sguardo attento alla fragilità dell’ambiente montano, al capitale ambientale e sociale del nostro territorio, a quanto abbiamo realizzato in questi anni per valorizzare l'unicità di questa terra, e ad un modello di sviluppo improntato alla sostenibilità che deve corrispondere un cambio di paradigma in senso europeo; un cambio di paradigma rispetto al quale il completamento della Valdastico rappresenta un atto ostile al disegno di futuro su cui è ancora possibile rilanciare la legittimità e peculiarità della nostra specialità.

 

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