"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

territoriali#europei, road map per un'associazione politico-culturale

Polena

(21 dicembre 2015) Si è svolta domenica sera l'assemblea dell'associazione "territoriali#europei". Ad un anno dalla sua nascita, l'associazione prova un bilancio ma soprattutto cerca di indicare un proprio percorso attento ma non condizionato dall'agenda della politica, esigente sul piano culturale a fronte di un vuoto di elaborazione in un contesto che richiede invece nuovi paradigmi, autonomo dai partiti e ciò non di meno fortemente politico. Lo fa attraverso un documento che qui presentiamo e che i partecipanti all'assemblea hanno fortemente condiviso.

L'associazione territoriali#europei nasce, nemmeno un anno fa, sulla spinta di una preoccupata lettura della difficile condizione della coalizione di centrosinistra a livello territoriale e più in generale dell'intera architettura autonomistica della Provincia di Trento. Non mancava allora un necessario riferimento alla crisi, non passeggera, della rappresentanza e di tutti quei luoghi che dovrebbero essere deputati alla formazione, all'approfondimento e al confronto, oltre che catalizzatori dell'attivazione politica. Il nome dell'associazione descrive efficacemente le coordinate geografiche – variabili, comunicanti e mai alternative – che stanno alla base del motivo che ha portato alla sua formazione e che ne determina automaticamente ambiti d’interesse, sfide organizzative, orizzonti politico-culturali.

In questi mesi l’associazione non è riuscita, dobbiamo essere sinceri, ad adempiere al ruolo multilivello che si era proposta, rimanendo in un limbo indefinito che oggi – anche attraverso questa riflessione unita a una nuova proposta operativa articolata – vogliamo provare a superare.

Se dovessimo elencare brevemente i motivi dell’impasse la lista potrebbe avere questa forma:

- difficoltà nel descrivere il proprio ruolo (politico? culturale? politico-culturale? partito in fieri?);

- ambiguità di fronte alla balcanizzata geografia politica della coalizione del Csa (collaterali all’ipotesi di un “cantiere civico e popolare” di Lorenzo Dellai? alternativi al PD? al servizio della coalizione così com’è? più o meno a sinistra?);

- incapacità di definire un metodo di lavoro (progettuale? assembleare? online? offline? prevalentemente in città o itinerante?);

- inadeguatezza di domanda e offerta politica (l’inadeguatezza riguarda ovviamente anche t#e) sia essa locale, nazionale e sovranazionale;

- generalizzato sospetto di fronte a tutto ciò che si pone l’obiettivo di rivalutare la centralità della Politica, dentro e fuori i social network.

Per ognuno di questi punti abbiamo speso ore di confronto e di chiacchiere che, da sole, non garantiscono di trovare adeguata via d’uscita. Da un lato perché – se affrontati uno per volta – nessuno degli argomenti sopra riportati riesce a essere autonomo e sufficiente a determinare una scelta di prospettiva. Dall’altro perché ognuno di essi appartiene, citando Bauman, al campo del “non più” e cioè a quella parte di contesto che – più o meno velocemente – perderà centralità e importanza. Del “non più” abbiamo continuato a parlare dimenticandoci che il compito primario dell’associazione è invece quello di provare a immaginare e condividere i contorni del “non ancora”, vera sfida di chi si interroga oggi sulla funzione della politica e sul suo ruolo.

Abbiamo “perso tempo” pensando a come rintuzzare qualche attacco demagogico e in mala fede. Non abbiamo saputo sfuggire al rischio di omologazione a mille precedenti operazione – tutte tattiche e di ceto politico – all’interno del campo del centro-sinistra, produttrici di iniziative dall’incerto futuro. Siamo caduti nella trappola dell’inseguimento delle scadenze e della cronaca politica, più attenti alle insignificanti beghe partitiche e amministrative che alla costruzione di percorsi reali. Non siamo riusciti ad alzare lo sguardo, rimanendo ostaggio di un meccanismo stanco di convocazione, senza costanza e qualità, che non ha prodotto risultati rilevanti. Non siamo stati innovatori nel nostro agire politico, che si è poco alla volta spento così come si spegne una fiamma che non trova l’ossigeno necessario per la combustione.

Fatte tutte queste necessarie premesse autocritiche è giusto dirsi che le motivazioni che avevano originato l’iniziativa  non sono venute meno e che anzi oggi si ripropongono se possibile con maggior evidenza.

La complessità del contesto globale si è accentuata ulteriormente dimostrando che era corretta la lettura che avevamo dato di una somma di crisi a livello globale (economico/finanziaria, ambientale, umanitaria, valoriale, politica, culturale) che non possono trovare soluzione se non dentro un cambio dei paradigmi - economici, sociali e culturali - che di quelle crisi sono alla base. La “terza guerra mondiale per capitoli” che Papa Francesco aveva descritto è oggi una realtà impossibile da negare dentro la quale fatichiamo a orientarci, schiacciati come siamo tra cambi di fase repentini e la non linearità dello svolgimento della storia.

Non si è mitigato il rancore nei confronti di tutto ciò che abbia a che fare con l’offerta politica presente nel circuito dell’organizzazione della rappresentanza A poco serve (e servirà) che nascano nuovi contenitori se questi non si faranno carico della sfida – per l’appunto non esclusivamente rappresentativa e identitaria – che i corpi intermedi negli ultimi anni non hanno saputo fare proprio, scontando oggi una crisi apparentemente irreversibile. Non può essere solo il consenso a determinare il successo di una proposta politica, laddove oggi il consenso è per definizione qualitativamente e quantitativamente difficile da valutare tanto è frammentato e schizofrenico il contesto socio-culturale dentro il quale si cerca di costruirlo. Alla disaffezione radicale e rabbiosa alla politica così come la conosciamo oggi non è sufficiente contrapporre il richiamo all'appartenenza ideologica o al sentirsi parte di una battaglia contro qualcuno o qualcosa. La sfida è oggi quella di invertire la tendenza che vede cittadini e cittadine scarsamente interessanti anche “solo” a qualificare una domanda politica all'altezza della situazione. A poco serve il richiamo (certo non nuovo) alla partecipazione per come l'abbiamo concepita fino ad ora. Ciò che va riaffermata è la necessità di “fare società” (riprendendo Bonomi in un suo intervento a proposito dell’esperienza comunitaria olivettiana) attraverso una costante e paziente opera di animazione di comunità.

A livello locale non ha trovato soluzione l’emorragia di senso e di progetto attorno ai temi fondamentali dell’Autonomia, anche in questo caso da leggere nella transizione tra il “non più” e il “non ancora”. Non sono rientrate le fibrillazioni coalizionali, mentre non si è mossa di un centimetro l'opera di ri-socializzazione dei fondamenti di un modello di autogoverno che ha perso via via la sua capacità di immaginarsi anomalia comunitaria e non solo specialità istituzionale, finanziaria e gestionale. A questi due livelli di debolezza si aggiunge anche la fragilità politica dei contesti urbani – Trento e Rovereto – sia per quanto riguarda la gestione ordinaria della convivenza e delle conflittualità cittadine che per la necessità di un interrogarsi originale rispetto al proprio essere città dentro un territorio montano. Non va sottovalutata infine la conferma di un crescente scontro tra centro e periferia che ha in questo momento il suo epicentro nella riforma sanitaria ma ha la sua origine nella controriforma dell’assetto istituzionale della Provincia e del suo decentramento (per capirsi le tanto vituperate Comunità di Valle).

Questa riflessione – per punti non totalmente esplosi e certamente non completi – forse non chiarirà in pieno cosa potrà diventare t#e ma certamente aiuta a rendersi conto di ciò non vuole assolutamente essere. Se c'è una cosa di cui non si sente il bisogno è lo scimmiottamento del passato (neppure troppo remoto, e in realtà mai passato) che riconosceva già nella sola nascita di un soggetto politico, di un nuovo simbolo, di una corrente, un risultato a cui guardare con interesse. Così non è più, e forse non lo è mai stato.

T#e sarà le idee che riuscirà a condividere con altri. Sarà i percorsi formativi che attiverà realmente. Sarà i progetti comunitari che saprà rendere operativi. Sarà cullare l'ambizione di poter collegare luoghi distanti attraverso la passione per la politica. Sarà la capacità di risvegliare l'inquietudine nei cuori e nelle menti di molti. Sarà un processo che mette quotidianamente a verifica la propria non autoreferenzialità. Sarà un esperimento che non da nulla per scontato.

Appunti di contesto, per uno sguardo al “non ancora”.

*Locale e (almeno) europea

I fatti di Parigi, e ciò che ne è conseguito, dovrebbero averci aiutato a riflettere sulla definitiva variazione del contesto geografico – ad assetto variabile – su cui necessariamente si gioca la partita politica del presente e del futuro. La Marsigliese cantata dentro e fuori i confini francesi, la messa in dubbio del trattato di Schengen, il tentativo degli Stati nazionali di offrire una prova di forza nei confronti di Daesh, la debolezza delle istituzioni (e della narrazione) europee e sovranazionali sono segnali preoccupanti di riaffermazione di un modello di governance frammentato e litigioso che speravamo di aver lasciato nel secolo scorso. Parlare oggi di superamento degli Stati nazionali potrebbe sembrare operazione ardita, così come probabilmente lo era ai tempi della scrittura del Manifesto di Ventotene che, in questa prospettiva, declinava l'ipotesi europeista.

Dato per scontato che siamo in un'epoca nel quale sono i flussi (finanziari, di dati, di conoscenza, di esseri umani) a determinare le condizioni e la trasformazione di qualsiasi luogo, la politica non può che darsi lo stesso ambizioso obiettivo. Essere flusso – nell'immaginare scenari così come nelle forme organizzative – che parte dai territori e sa lavorare a scavalco di qualsiasi confine. Territoriali#europei porta la sana doppiezza del locale e del sovranazionale nel nome, scommettendo sul crepuscolo degli Stati nazione.

*Partiti e rappresentanza. Bisogno di comunità

I partiti (e in generale tutti i corpi intermedi) sono oggi in difficoltà sia nel relazionarsi con ciò che sta fuori dai confini nazionali – ancora colpevolmente inteso come politica estera – che con le particolarità/unicità dei territori. Non serve dilungarsi sul concetto di “crisi della rappresentanza”, già ampiamente dibattuto negli ultimi anni, ma piuttosto interrogarsi sul come oggi possano coesistere la cura della più stretta prossimità senza per questo cadere nel localismo e l'orizzonte sovranazionale senza ripetere gli errori d'interpretazione e di metodo dell'internazionalismo novecentesco. Il qui e l'altrove non sono da gestire come dentro e fuori ma come dimensioni complementari e parallele di un unico nuovo modello organizzativo dell'iniziativa politica. Ben lontana dal pensare che la scomparsa dei corpi intermedi potrebbe migliorare le condizioni della vita democratica e sociale, territoriali#europei crede di doversi muovere dentro la continua messa in contatto dei due livelli che ritornano costantemente in queste pagine di riflessione. Il territorio e la sua comunità (con specifico riferimento alla particolarità autonomistica, dell'autogoverno, della ricerca delle unicità) come primo luogo di sperimentazione e verifica. Lo spazio sovranazionale come naturale area di riferimento delle relazioni, del confronto tra diversi, della non autosufficienza e dello sguardo ampio.

*Futuro. Riprendere coscienza del limite

Sempre da Parigi – in questo caso dalla recente Conferenza sul clima – ci arriva un'altra sollecitazione importante. Il tema non è quello della sostenibilità, intesa come aggettivazione che dovrebbe qualificare positivamente la crescita economica. Non è neppure la rincorsa affannosa al raggiungimento di un accordo vincolante sulle emissioni che permetta di tenere sotto i due gradi centigradi l'aumento della temperatura globale. Della crisi economica iniziata nel 2008 si possono oggi cogliere le caratteristiche strutturali e non temporanee, dato che ci dovrebbe indurci a scelte radicali rispetto ai paradigmi economici ai quali continuiamo a fare riferimento. La riscoperta del limite – concetto con cui abbiamo deciso di non voler far i conti – è una necessità rispetto ad ogni tema che affrontiamo (le risorse energetiche, l'urbanistica, la mobilità, la produzione e il consumo, il lavoro) e a ogni livello, da quello connesso ai modelli globali di sviluppo agli stili di vita di ogni giorno. Scopriremmo che “che il problema è proprio la crescita economica, indipendentemente dal fatto che si aggiunga l’aggettivo “sostenibile”. La verità è che non solo non affrontiamo questa contraddizione, ma addirittura pochissimi osano anche solo parlarne. Come se il problema fosse troppo grande, troppo spaventoso per essere contemplato. Sembriamo incapaci di affrontare il fatto che la nostra utopia è anche la nostra distopia, che la produzione sembra essere inscindibile dalla distruzione.”

*Precondizioni culturali. Il perché della formazione

Cambiare le abitudini quotidiane (smettere di fumare, scegliere un bar diverso da quello di ogni giorno) non è per nulla facile. Figurarsi mettere in discussione paradigmi sedimentati, sentimenti radicati, organizzazioni dai tratti monolitici. Se è vero che non si parte mai da zero - nella definizione del futuro la conoscenza e l'analisi del passato rivestono un ruolo fondamentale - non possiamo nasconderci che molte zone del campo sul quale territoriali#europei intende agire risultino oggi impraticabili o fortemente inadatte all'essere abitate politicamente. Dalla “bonifica” delle aree maggiormente colpite dall'imbarbarimento culturale, dalla disaffezione alla partecipazione e alla politica, dal rancore e dalla sfiducia, dall'esclusione e dalla marginalità si deve partire accettando di intraprendere un percorso strutturato e costante di formazione e informazione, di approfondimento e comprensione dei contesti, di inchiesta e di confronto, di ascolto e condivisione. Una fase, questa, per nulla secondaria e che si propone di ridefinire le precondizioni necessarie per poi immaginare i successivi passi che l'associazione sceglierà di fare. Quali? Sarebbe prematuro per pensarci, e distoglierebbe energie e attenzione da un compito già abbastanza gravoso. Sarebbe sbagliato dal punto di vista del metodo, che ci richiede oggi di essere assolutamente rigorosi nel definire il metodo che sta alla base della nostra idea di associazione politico-culturale.

*Alla ricerca di un metodo

Fabrizio Barca ci ha offerto spunti interessanti con i suoi “Luoghi Ideali”. Nella memoria di molti c'è ancora l'emozionante fase fondativa del percorso ulivista di inizi anni Novanta (fatta di comitati, di generosa attivazione di tanti, di innovazione organizzativa). Non si può negare l'emergere di nuove esperienze civiche – non ci riferiamo nello specifico alle liste che si definiscono tali – che innervano i diversi territori di interessanti esperienze di collaborazione, sussidiarietà e responsabilità nella gestione del bene comune. Frammenti di società che spesso trovano scoperto soprattutto il lato politico, con il rischio – poco per volta – di vederne svanire la stessa utilità ed esistenza.

Serve una narrazione che si riconosca come condivisa e che nasca da più voci e più sguardi capaci di mettersi vicendevolmente in discussione. Serve quindi la periodicità del vedersi, del confrontarsi, del comunicare. Servono tempi d'azione che non si appiattiscano sul presentarsi incessante di emergenze, lavorando sul doppio binario dei processi (intesi come visioni di lungo periodo, strategie, culture) e dei progetti (campagne specifiche che sappiano coniugare gli scenari con la capacità della sintesi e del pragmatismo). Serve una rete di persone - uomini e donne, giovani e meno giovani, professionisti e semplici cittadini - che ritengano urgente la creazione di uno spazio ibrido, molteplice e senza confini che faccia della cultura e della politica i suoi due driver fondamentali.

*Strumenti

L'incontro quindicinale. Lo spazio di incontro che t#e offre all’intera comunità e quindi non solo l’assemblea periodica dell’associazione. Un luogo aperto e (speriamo) accogliente. Un’opportunità di confronto, formazione, approfondimento, progettazione. Ogni due settimane due ore a disposizione che potranno - di volta in volta - essere dedicate ai temi dell’attualità (a quelle che si ritengono urgenze e mai emergenze), all’analisi e alla condivisione di argomenti che si sceglierà di affrontare più in profondità, alla presentazione di un libro, alla visione di un film o di uno spettacolo teatrale, alla condivisione di esperienze interessanti provenienti da altri territori. Obiettivo primario quello di muoversi attorno a quello che potremmo definire il “km0 delle relazioni politiche”, con l’obiettivo solo apparentemente prepolitico di riattivare le comunità ed offrire ad esse una cornice di confronto riconoscibile e stimolante. A questo fine è già stato predisposto un programma di massima che si dispiegherà lungo tutto l’anno 2016, offrendo una serie di contenuti formativi.

Periodico europeo. Ezio Manzini, uno dei maggiori esperti al mondo del design applicato all’innovazione, parla di scenario SLOC per descrivere un modello di approccio metodologico votato alla resilienza e alla sostenibilità organizzativa. SLOC sta per “small, local, open, connected”. Piccolo, locale, aperto e connesso sono caratteri che - tutti insieme - potrebbero essere applicati anche al design di un’azione politica che si ponga l’obiettivo di legare locale e sovranazionale, comunità e capacità amministrativa, formazione e attivismo politico, orizzontalità del confronto e della partecipazione e verticalità della decisione, visione e pragmatismo. Uno degli strumenti di t#e sarà un periodico (in formato carteceo e web) che dal territorio trentino incrocerà gli sguardi di quelli che da altri territori europei - e non solo - vorranno dire la loro in un dibattito che vuole superare gli angusti confini nazionali. Un formato flessibile che si adatterà ai contenuti che sapremo raccogliere e stimolare. Un formato, soprattutto quello cartaceo, che ha l’obiettivo di far sedimentare pensieri che aiutino a comprendere il cambio di paradigma politico, economico, sociale e culturale che t#e si propone di accompagnare.

I progetti. L’esperienza di Fabrizio Barca ci viene in aiuto per chiarire quale può essere la strada da percorrere nel tentativo di riaffermare la centralità della politica e nel ridefinirne le forme organizzative. I progetti, come luogo materiale e sperimentale della messa alla prova di comunità spurie e multiformi che fanno riferimento a un territorio ben specifico e hanno bisogno di un appiglio pragmatico alla propria realtà geografica e sociale di riferimento. Per potersi riconoscere e iniziare a lavorare insieme. I processi, lenti e costanti, che favoriscono e si cibano della sedimentazione di buone pratiche, di rapporti di fiducia, di linguaggi condivisi. Il metodo non inteso come vezzo teorico e tecnico ma come quotidiana verifica della propria non autoreferenzialità e della reale animazione di comunità che tendano al cambiamento. I progetti hanno bisogno di bravi disegnatori, materiali da costruzione di qualità, manovali capaci e creativi, di ipotesi da vagliare e, se confermate, da mettere in cantiere. I processi necessitano invece di pazienza, costanza, curiosità, un pizzico di fortuna. Solo raccogliendo questa sfida progettuale/processuale ci accorgiamo di come prima venga l’attivazione e la creazione di quelle che da tempo definisco precondizioni (un tempo si sarebbero dette condizioni pre-politiche) e che solo successivamente possono sfociare in una più articolata riflessione sulle forme dell’organizzazione da darsi.

Si può aderire all'associazione attraverso il suo sito www.territorialieuropei.it

 

5 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Marta il 13 gennaio 2016 19:41
    Carissmo Michele,
    grazie perle tue sempre positive e interessanti analisi poitiche e proposte. Se puoi iscrivemi nella mailing list mi fai un grande piacere. Mi interessa seguire il vostro lavoro anche se mi è diffcile partecipare. un augurio per un sreno 2016 con un grande abbraccio. A presto. Marta
  2. inviato da Pier Giorgio il 11 gennaio 2016 11:07
    Michele ciao,

    dopo una lunga pausa invernale che mi sono finalmente preso con la famiglia, tra Reggio Emilia, Falcade e Innsbrueck, sono a risponderti: sulle Alpi ho viaggiato nella crisi "climatica" e nella perplessità inadeguata dei decisori locali, Dolomitici o Tirolesi che siano..., dinnanzi alla neve che non c'è e al cambio di prospettiva repentino e per certi versi rivoluzionario ...

    Riguardo alla tua proposta, ovviamente sono e sarò dei tuoi, molte categorie che hai così bene sintetizzato, appartengono anche all'itinerario politico e culturale di Cittaslow... Ma è la prospettiva euro-alpino-balcanico-mediterranea la novità potente che porti tu a seguito delle tue pluridecennali esperienze,

    ci risentiamo, un abbraccio e a presto,

    Pier Giorgio


    Ps Salorno/Salurn è diventata convintamente Citaslow...good news...
  3. inviato da Gianguido il 08 gennaio 2016 20:01
    Caro Michele
    innanzi tutto grazie della condivisione di un bel progetto in atto sociopoliticoculturale che pur essendo concentrato sul vostro "territorio" proverà a coinvolgerne altri in Italia e in Europa.

    Proverò in qualche modo a seguirvi e davvero vi auguro buon lavoro e soddisfazione.

    Mi ha colpito e incuriosito la citazione di sole due persone italiane che conosco : Ezio Manzini e Fabrizio Barca. Il primo, pensa un po', era uno dei dirigenti di AO Avanguardia Operaia dei mei anni di militanza a Venezia ( 1972-5 ) e lo ricordo bene nella sua mitezza e intelligenza. Il secondo mi è piaciuto molto come Ministro e poi come analista del PD Romano con la sua ricerca provocatoria che si è conclusa con una presentazione pubblica quasi drammatica alla festa de L'unità di Roma lo scorso luglio cui ero presente e mi ha emozionato e colpito positivamente. Chissà Barca cosa sta facendo e farà nel PD.

    Io continuo a credere che Renzi e la sua squadra dirigente attuale, pur "antipatica" umanamente, stiano svolgendo un ruolo politico e socioculturale nel complesso POSITIVO di trasgressione, di rottura schemi, di trasversalità ideale e politica, fattori necessari in un'Italia ingessata, retorica, ignorante, paurosa. Nell'azione di Renzi nel PD e nel Paese ci sono certo anche errori, ambiguità etc ma davvero sono convinto che siano di più le spinte positive , le riforme positive e necessarie e sopratutto POSSIBILI.
    Rimango comunque una persona autonoma, vigile, critica, impegnata e non certo passivamente consenziente.
    Quindi grazie ancora, buon lavoro e teniamoci in contatto.

    Ciao Gianguido
  4. inviato da Steven il 07 gennaio 2016 14:24
    Caro Michele,

    sono contento che le cose ripartano, con un bel progetto e linfa nuova.

    Sai che io da qui (Barcellona/Lisbona) sono della partita. Non potrò partecipare agli incontri, ma se posso essere utile in qualche modo, tienimi da conto. Per raccontare quel che succede in Catalogna e Spagna, ad esempio, o per un incontro futuro su queste questioni.

    Un abbraccio e buon anno anche a te
    Steven
  5. inviato da Marisa il 04 gennaio 2016 16:58
    Grazie per le informazioni, mi interessa seguire il percorso proposto.

    Mi permetto di suggerire come interessanti le esperienze di LABSUS sulla sussidiarietà, per un diverso rapporto fra privato e amministrazioni pubbliche.
    Sto in questo periodo leggendo l'ultimo libro di Luciano Gallino "Il Denaro, il Debito e la Doppia crisi" che contiene molte interesanti riflessioni e proposte.

    Buon lavoro e buon 2016.
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