"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Un modo diverso per seguire gli europei
https://ultimoeuropeo.wordpress.com/
«La vita che ci circonda è priva di concetti ordinatori. I fatti del passato, i fatti delle singole scienze, i fatti della vita ci sovrastano disordinatamente. La filosofia comune e le discussioni giornaliere o si accontentano di frasette liberali di una fede infondata nella ragione e nel progresso oppure si inventano il famoso feticismo dell’epoca, della nazione, della razza, del cattolicesimo, dell’uomo d’intuito, il cui comune elemento negativo è una critica emotiva contro l’intelletto e l’elemento comune positivo è il bisogno di un supporto, di gigantesche ossature fantomatiche, a cui si possono appendere le impressioni, l’unica cosa di cui siamo ancora costituiti».
Robert Musil, “Europa inerme”, 1921
di Federico Zappini
E’ dentro uno scenario paragonabile a quello che Robert Musil descriveva all’inizio del secolo scorso che ci stiamo muovendo. “E’ come nuotare sott’acqua in un mare di realismo, trattenendo il respiro, ostinatamente, ancora un po’ più a lungo: semplicemente con il pericolo che il nuotatore non riemerga più.” Non abbiamo alle spalle una guerra mondiale (anche se scenari di guerra non mancano a ogni latitudine) ma siamo in una fase storica di transizione caotica e spesso violenta.
Lo stato di salute – o forse sarebbe meglio dire di malattia – dell’Europa deve essere raccontato, accettando di sfuggire alla velocità straniante della cronaca e delle continue emergenze, provando ad approfondire e interpretare i fenomeni sociali, politici e culturali che la attraversano. Lo si può fare solo stimolando l’attivazione di sguardi tra loro diversi, capaci di mostrarci una molteplicità di sfumature e di punti di vista.
Un lavoro d’inchiesta quindi, necessariamente in forma collettiva. Troppi i fronti – geografici e di contenuto – che andrebbero presidiati, troppe le storie che meriterebbero di essere raccontate. E’ necessario immaginare la costruzione di un spazio di ricerca e osservazione – diffuso sul territorio europeo – dentro il quale ognuno si senta libero di contribuire nel modo che ritiene più adatto al progetto narrativo. Servirà anche uno strumento (un blog, una piattaforma web) che garantisca la raccolta e la visibilità dei materiali, siano essi in forma scritta, audio e video, oppure fotografica.
Il “pretesto” sono i campionati europei di calcio che si terranno in Francia a cavallo tra giugno e luglio prossimi. Il calcio – e tutto il caleidoscopio di sentimenti, relazioni e conflitti che riesce a generare – rimarrà sullo sfondo, senza però concentrare l’attenzione sulle sfide che si svolgeranno dentro gli stadi. Anzi. Sui match saranno puntate decine di telecamere. Ci mostreranno gol, assist e giocate dei migliori interpreti del pallone. Al centro dell’inchiesta sarà invece il rapporto tra il grande evento sportivo che “unirà” per un mese l’Europa – allargandola ben oltre i suoi confini politici – e la montante crisi delle istituzioni europee e dello stesso sentimento che sta alla base del sogno unificatore del continente.
Il punto di partenza vuole essere provocatorio, al fine di rendere più stimolante la sfida di raccontare più sfumature possibili di uno contesto attraversato da contraddizioni che quotidianamente assumono forme e dimensioni sempre più radicali e preoccupanti. Per sintetizzare – e chiarire il titolo del progetto – potrebbe essere davvero questo l’ultimo Europeo di calcio della storia? Saranno gli scontri su ogni fronte dell’attualità politica (economia e finanza, immigrazione e politica estera, ecc.) sufficienti a far venir meno l’esigenza dell’Europa unita riportandoci – non solo nella forma simbolico/sportiva del torneo calcistico – allo scontro tra gli Stati nazionali? Oppure lo shock imposto dalla crisi di legittimità dello spazio comunitario porterà- sotto la spinta di una ritrovata lucidità e lungimiranza – ad un cambio di passo nel processo di integrazione, mettendo in discussione (mi rendo conto, parlarne oggi sembra frutto di allucinazione) addirittura l’utilità degli inni che sentiremo suonare e delle bandiere che vedremo sventolare prima di ogni calcio d’inizio? In entrambi i casi ci potremmo trovare di fronte – so di estremizzare – all’ultimo Europeo, almeno per come fino ad ora lo abbiamo conosciuto.
C’è qualcosa di tristemente comico nel constatare l’assenza di sincronia tra le prospettive della politica e le esigenze organizzative del mondo del calcio, e dei suoi affari. Partiamo dal futuro prossimo. Fa riflettere che nel 2020 per la prima volta i campionati europei – dopo alcuni esperimenti a cavallo degli anni 2000 di co-organizzazione – si dovrebbero svolgere in forma diffusa in tredici città ospitanti in rappresentanza di altrettanti Stati. Dalla Spagna all’Azerbajian (sì, l’Azerbajian), dall’Italia alla Russia. L’Europa del calcio si allarga e guarda a est – oltre che con meno coraggio verso il Vicino e il Medio Oriente – mentre quella politica rafforza sulle proprie carte i confini e costruisce muri per presidiarli. Lì dove un gioco (e ovviamente la volontà di conquistare nuovi mercati) basa la sua fortuna sulla libera circolazione dei calciatori che lo praticano ai massimi livelli, l’orizzonte politico del continente è caratterizzato dalla chiusura, dalla resistenza ai flussi dei migranti e dal richiamo alla sovranità nazionale, oltre che da un crescente sentimento di diffidenza e rabbia nei confronti dell’altro da sé.
Ha certamente contributo al verificarsi di un tale terribile scenario un anno – il 2015 – caratterizzato anche dai due attentati che hanno colpito Parigi (compreso lo Stade de France, sede prevista per la finale) generando in tutta Europa un clima di tensione direttamente collegato all’emergere dello Stato Islamico e di una più generale instabilità del quadro mediorientale e nordafricano. Su guerre, tensioni indipendentiste e fenomeni sempre più diffusi di euroscetticismo calcio e politica si trovano a dover fare i conti con situazioni complesse. Come regolarsi per un’eventuale sfida Russia-Ucraina nella fase ad eliminazione diretta? O che dire di un’Inghilterra (con all’orizzonte il referendum per il Brexit) o di una Spagna (magari con gol decisivo di un catalano apertamente favorevole alla secessione) possibili vincitrici del trofeo? Contraddizioni di difficile soluzione, così come ancora non è chiaro il futuro – se ancora siamo convinti ce ne sia uno – dell’Europa in quanto tale, alla luce anche delle sempre più pressanti richieste di sospensione del Trattato di Schengen (uno dei pilastri fondamentali del sogno europeo) e l’ostilità diffusa nei confronti di un approccio che anteponga condivisione e solidarietà alla sovranità e agli interesse nazionali.
Ognuna di queste storie merita di essere raccontata. Non andrebbe dimenticata la Grecia – malinconicamente fuori dalla competizione così come qualche mese fa qualcuno ne immaginava l’esclusione dall’Ue -, l’impresa della piccola Albania o dei semiprofessionisti dell’Islanda. Così come, ritornando a chi con l’Europa in questo periodo non ha un grande rapporto, sarebbe molto interessante prestare attenzione alla Turchia, impantanata tra guerra allo Stato Islamico al confine con Siria e Iraq e repressione antidemocratica delle minoranze interne, e a quei paesi (Ungheria in testa) che sono protagonisti della “gestione” dei flussi di immigrati impegnati nel loro viaggio sulla rotta balcanica. Non ci sono limiti ai temi e al formato del racconto. La cornice è ampia, lo spazio di elaborazione e di messa in comune tutto da scoprire.
L’ultimo Europeo quindi? Partire dal calcio – cosa c’è di più popolare? – per restituire popolarità e spirito rivoluzionario all’Europa che appare oggi sfibrata e confusa di fronte alle sfide che si trova a dover affrontare. Cerca ossigeno – come il nuotatore di Musil, che fatica a riemergere – o il colpo ad effetto, così come il fuoriclasse chiamato a risolvere la più importante partita della carriera, inchiodata sul risultato di pareggio. Si tratta però di un campione un po’ stanco, o forse senza più la gioia di dare un calcio in libertà al pallone.
Perché? Le motivazioni possono essere molto diverse tra loro. Certamente il tratto comune dovrebbe essere l’ambizione di contribuire a una narrazione che sappia incrociare la moltitudini di sguardi che guarderanno all’Europeo di calcio non solo (ma anche) per la dimensione sportiva.
Chi? Videomaker, giornalisti/e, fotografi/e, musicisti/e, attori e attrici, cittadini e cittadine che siano o si sentano europei.
Come? Video, fotografie, articoli, racconti, interviste, canzoni, poesie. Non c’è limite alla fantasia nella scelta degli strumenti di narrazione.
Quando? Da oggi fino al giorno della finale di Parigi.
Dove? Il prossimo passaggio sarà quello della progettazione e della costruzione di una piattaforma web che possa raccogliere i materiali che verranno raccolti. Intanto cominciamo a dar forma e solidità alla rete.
Per info:
f.zappini@gmail.com – 3473242667
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