"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Francesco Picciotto*
(5 aprile 2016) Credo che sia venuto il momento per introdurre un elemento di relazione fra tutti i post che ho scritto in queste ultime settimane relativamente alle attività di cooperazione che porto avanti in Africa e in Asia con la mia associazione (“L’Acqua non è uguale per tutti“, “Udzungwa Heroes“, “Tessere relazioni“, “Dare credito“) . Si tratta di uno dei principi fondamentali del nostro agire, uno di quelli che abbiamo posto come valore di riferimento per una nuova forma di cooperazione che abbiamo chiamato “di comunità” ed è anche il titolo di una delle sezioni di questo blog: lo spazio neutro di negoziazione.
E’ difficile capire veramente in cosa consiste il nostro lavoro (nella sua forma e nella sua sostanza) senza fornire una chiave e di lettura importante come questa (anche se non unica in questa nostra nuova idea di cooperazione). E mentre molti degli altri principi li dobbiamo alla nostra diretta esperienza sul campo o alla riflessione fondamentale che ci ha offerto Michele Nardelli nel suo libro “Darsi il tempo”, questo invece scaturisce (almeno nel nome) da un incontro della mia associazione con un’altra persona che seppure brevemente ha avuto un ruolo fondamentale nella nostra crescita associativa. Questa persona è uno dei più significativi (almeno a mio avviso) ed innovativi (oltre che provocatori) antropologi italiani e si chiama Alberto Salsa.
Lo abbiamo incontrato durante uno dei nostri Meeting nazionali che si è svolto a Civitella Alfedena qualche anno fa. Alberto ci ha raccontato del suo lavoro (molto ben raccontato anche attraverso una serie di libri da lui pubblicati fra i quali secondo me spicca quello intitolato “Niente”) e poi ha ascoltato il racconto del nostro lavoro, dispensando consigli e critiche costruttive.
Fra tutti i punti di incontro tra il nostro agire e il suo quello dello spazio neutro di negoziazione ci è sembrato fra i più interessanti ed ha aggiunto al nostro tentativo di strutturare nella pratica la “cooperazione di comunità”, un tassello importante, talmente importante da essere diventato uno dei pilastri fondamentali di questa nuova maniera di interpretare la cooperazione.
Ma cosa è per noi lo spazio neutro di negoziazione (per capire cosa invece intende Alberto Salsa in ambito antropologico lascio ai lettori il piacere di farlo da soli attraverso la lettura dei suoi libri)?
Per noi è lo spazio dove incontrare “l’altro”. L’altro nel nostro caso è rappresentato soprattutto dalla persona che abita uno dei villaggi in Africa e in Asia nei quali proviamo a portare avanti la nostra idea di “cooperazione di comunità”.
A questo punto un’altra precisazione è però necessaria: su cosa poggia prima di tutto questa idea?
Siamo convinti che l’idea di sviluppo e sottosviluppo che ha motivato e strutturato la così detta “cooperazione allo sviluppo” nei decenni passati non ha più senso di esistere. Non esistono paesi o popoli portatori di un’idea di sviluppo perfetta così come non esistono paesi e popoli che rappresentino il sottosviluppo per eccellenza.
Ognuno di noi, in seno alla propria comunità, al proprio paese, è portatore di elementi, esperienze, idee di sviluppo (e qui bisognerebbe aprire un’ulteriore parentesi su cosa è per noi lo sviluppo) e allo stesso tempo soffre, rappresenta, subisce condizioni di sottosviluppo.
Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile trovare parametri ed indici che ci forniscano un’idea precisa di chi (persona o paese) possa considerarsi sviluppato e di chi invece appartenga alla categoria del sottosviluppo. L’analisi di indici come quello del PIL si sono rivelati assolutamente inadeguati a dare una rappresentazione chiara e significativa di cosa voglia dire essere “sviluppati”, mentre elementi di sottosviluppo quali la povertà (economica o culturale), l’analfabetismo di ritorno, il crollo del welfare costituiscono sempre di più emergenze con le quali i paesi considerati tradizionalmente sviluppati sono costretti a confrontarsi.
Il principio costituente la “cooperazione allo sviluppo” secondo il quale noi che siamo ben sviluppati adesso andiamo dai sottosviluppati e li facciamo sviluppare bene come noi, non ha più senso di esistere (ammesso che ne abbia mai avuto).
Forse è necessario un altro paradigma che si può sintetizzare con le parole di un direttore scolastico tanzaniano alla fine di un incontro fra docenti italiani e tanzaniani durante il quale gli insegnanti provenienti dai due paesi (uno considerato sviluppato appunto e l’altro sottosviluppato) si raccontarono a vicenda le ragioni di soddisfazione e di insoddisfazione nelle loro vite e nel loro lavoro. Il Direttore (evidentemente dotato del dono della sintesi) alla fine della chiacchierata andò alla lavagna, tracciò un A e una B e disse “la A rappresenta gli italiani. Hanno un sacco di problemi, un sacco di dubbi sul futuro, un sacco di ragioni per non essere soddisfatti delle loro condizioni di vita e di lavoro. Hanno anche però delle idee su come migliorare la situazione. La B rappresenta i tanzaniani. Hanno un sacco di problemi, un sacco di dubbi sul futuro, un sacco di ragioni per non essere soddisfatti delle loro condizioni di vita e di lavoro. Hanno anche però delle idee su come migliorare la situazione” e tracciando un C fra le prime due lettere concluse “probabilmente dobbiamo impegnarci a trovare assieme una terza strada che ci conduca tutti assieme a vivere con maggiore soddisfazione ed equilibrio su questo pianeta che è sempre più piccolo”.
E’ proprio su quella C che fa perno il nostro spazio neutro di negoziazione. Uno spazio che non appartiene a nessuno. Non è il nostro spazio culturale ma non è neanche quello delle persone che vivono nei paesi nei quali portiamo avanti la nostra cooperazione di comunità. Non è lo spazio in cui si parla italiano ma neanche uno spazio in cui si parla lo swahili (nel caso della Tanzania per esempio) ma piuttosto una terza lingua “franca” (che per noi è l’inglese) nella quale sia noi che loro ci troviamo “a disagio” e che ci costringe tutti ad uno sforzo per farci comprendere e per comprendere (e ci invita anche a produrre una comunicazione che va oltre quella verbale). Non è lo spazio nel quale si affermano proprie idee come assiomi incontestabili né d’altra parte quello in cui ci si aspetta dall’altro soluzioni ai propri problemi senza fare uno sforzo ad essere noi per primi a fornire idee per la soluzione di quei problemi.
Lo spazio neutro di negoziazione è alla fine una terra di nessuno nella quale ci si incontra nudi, privi di sovrastrutture, senza risposte preconfezionate, sospendendo il giudizio, ma con una serie di domande in testa, molto rispettosi dei valori altrui, coscienti dei propri, aperti all’ascolto e all’accoglienza, ma inflessibili rispetto a quelli che si considerano valori non negoziabili (che sono pochi ma che ci sono).
E’ lo spazio dell’incontro disagevole, quello al quale si giunge dopo lunghi giorni di cammino e nel quale nessuno abita stabilmente, del quale tutti sono ospiti e che non si può praticare per un tempo troppo lungo perché è necessario ogni tanto tornare nel proprio luogo di origine per riprendere linfa vitale dalla proprie radici.
E’ lo spazio in cui nascono idee innovative a fronte di piccole risorse economiche, dove i problemi divengono opportunità per mettere assieme conoscenze, esperienze, culture con l’obiettivo di tirare fuori soluzioni completamente originali e buone per una nuova “storia planetaria” ancora da venire.
E’ lo spazio in cui si bevono tante tazze di the e si mangiano parecchie pizze. Dove si parla tanto e si ascolta di più, dove ci si da il giusto tempo sapendo che la negoziazione in quello spazio non è mai facile, non è mai superficiale, mai definibile con chiarezza nel tempo e quindi mai immediata.
E’ lo spazio in cui si accolgono volentieri i bambini che rendono il disagio, che è caratteristica di questo spazio, meno acuto; si da la parola ai vecchi perché raccontino la propria storia e quella della comunità in cui vivono, si affida la regola, la gestione del tempo e la cura per i dettagli alle donne che detengono “la mappa” e custodiscono “la bussola” dell’agire umano secondo saggezza.
E alla fine si viene sempre fuori con una soluzione che non era quella che ci eravamo prefigurati prima di mettere piede in questo spazio, che non è frutto esclusivo di una delle parti (parti che già si sono fuse nell’incontro) , che non appartiene ad una delle culture che si sono incontrate, ma che è novità assoluta, patrimonio comune, prodotto veramente rivoluzionario, semplice, efficace, trasmissibile.
E’ questo lo spazio che frequentiamo, con fatica e disagio magari ma al tempo stesso nella convinzione che sgorghi li la fonte delle soluzioni condivise, e che è all’origine di tutti i progetti dei quali ho già parlato in questo blog e di cui parlerò in futuro
* https://adoraincertablog.wordpress.com
0 commenti all'articolo - torna indietro