"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Per essere davvero Capitale…

Artista di strada

di Federico Zappini

(11 giugno 2016) «La cultura è portatrice di valori universali e non può essere ridotta a un mero fenomeno commerciale. La cultura è per la qualità della vita e identifica al tempo stesso una società più libera dal bisogno economico e più aperta ai valori della solidarietà, della crescita dei beni comuni, dello sviluppo nella cooperazione e nella fiducia. Insomma la culturaper lo sviluppo non si appiattisce sui mercati e le loro regole egoistiche, ma ambisce allo sviluppo nell’equità e giustizia delle forme distributive». Così si esprime Walter Santagata nelle conclusioni del prezioso Il governo della cultura (Il Mulino, 2014). L’Amministrazione comunale di Trento dovrà prendere fortemente in considerazione questo richiamo alla valutazione dell’impatto sociale della cultura in relazione allo spazio urbano se vorrà rendere credibile e – auspicabilmente – vincente la propria candidatura a Capitale italiana della cultura per l’anno 2018.

Perché se è vero che a un primo sguardo gli aspetti maggiormente rilevanti di questi veri e propri “contest” tra città sono quelli legati al vantaggio economico (1 milione di Euro di extra budget, fuori dal Patto di Stabilità) e a quello promozionale (un anno da “eletta”, da Capitale appunto) non ci sarebbe niente di più sbagliato che fermarsi a quest’analisi superficiale. La cultura – e con essa l’opportunità di esserne temporaneamente rappresentanti per l’Italia – è strumento per agire insieme alle comunità sulla città, è uno dei fattori determinanti all’interno di un processo articolato di azioni che sappiano portare al miglioramento delle condizioni di vita e della partecipazione dei cittadini, e che proprio nella partecipazione può trovare il carburante più efficace. La cultura è in fin dei conti il tentativo di rappresentare noi stessi, dentro la molteplicità pulsante del nostro essere diversi. Attraverso la cultura esprimiamo sentimenti e desideri, diamo forma alle caratteristiche più profonde del contesto dentro il quale cresciamo, provando a farne emergere i tratti di unicità. Le società traggono dalla cultura (come ci ricorda Ugo Morelli in una sua interessante riflessione sul tema) «la pensabilità del presente e del futuro e la capacità di formulare ipotesi innovative rispetto all’esistente».

Capite bene che ambire a diventare Capitale per tale materia – anche solo per una parentesi lunga un anno – non ha nulla a che fare con la sommatoria della pur sterminata offerta di Festival e appuntamenti culturali (in gran parte figli del finanziamento pubblico para-pubblico) che punteggiano il fittissimo calendario della città di Trento. Non si è Capitale proponendosi come “eventificio” o ragionando sul saldo positivo atteso nel conteggio dei pernottamenti o negli incassi di musei, ristoranti e bar del centro storico. Non lo si diventa se non mettendo in conto di assumersi la responsabilità di tratteggiare l’immagine di città che si sogna e – almeno per sommi capi – l’azione collettiva che si vuole favorire e guidare per trasformare quell’ambizione, ancora abbozzata, in realtà. Uno sforzo di visione (seppur da condensare in un solo mese di elaborazione e scrittura) che può – e deve – far dialogare la cultura con le principali aree della progettazione, della manutenzione e della valorizzazione di ciò che sta dentro la dimensione urbana. Urbanistica e architettura, mobilità e sostenibilità, sociologia e scienze sociali, smart city e animazione di comunità. Ancora prima di entrare nel merito dell’elenco di attività che Trento si impegnerà a realizzare sarà fondamentale offrire una cornice coerente alla candidatura, pronta successivamente a ospitare e ad accrescere l’efficacia e la ricaduta di ogni singola iniziative. Una cornice che – oltre a definire fino a dove la città e l’Amministrazione sono disponibili a spingersi nella sperimentazione anche conflittuale che la cultura spesso esprime – sarà anche la prima verifica di qual è l’altezza dell’asticella che la Trento (aspirante Capitale) vuole darsi.

Prendendo in prestito ancora le parole di Morelli, le traiettorie che andranno seguite – pena, in caso contrario, il fallimento – «devono essere caratterizzate dalla profondità; devono generare occasione per pensare e riflettere; devono essere almeno in parte discontinue e, perciò, quasi conformi, ma non schiacciate sull’esistente; devono aprire le teste e non addormentarle nel compiacimento di ciò che è solo rassicurante ripetizione; devono consentire confronti tra mondi e linguaggi diversi; devono aumentare il numero delle possibilità».

Come muoversi allora? Scegliendo procedure di progettazione e di realizzazione che sappiano essere davvero inclusive per tutte le energie e le competenze presenti sul territorio, senza paura – per quanto riguarda soprattutto l’Amministrazione – di perdere, consapevolmente e gradualmente, il controllo di processi che devono essere caratterizzati da livelli elevati di creatività, propensione all’innovazione e tensione costante alla sperimentazione. Certo il valore aggiunto frutto di una tale regia, plurale nella composizione e diffusa nel metodo di lavoro, non basta se non trova nella comunità un humus fertile, capace di cogliere le opportunità, di riconoscere e tradurre diversi linguaggi, di rivendicare il ruolo della cultura come fattore di trasformazione del contesto urbano e delle relazioni che in esso trovano quotidianamente spazio. Dalla qualità dello sviluppo di questi due ambiti, per ora non sufficientemente presidiati nel contesto trentino, si potrà capire la capacità della città di Trento di essere davvero ecosistema (ancor prima che Capitale) della cultura.

* Articolo pubblicato dal Corriere del Trentino, 11 giugno 2016

 

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