"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Vincenzo Calì
(8 settembre 2016) Le cerimonie del 5 settembre 2016 a Trento e Bolzano per i 70 anni dell’accordo Degasperi-Gruber hanno messo in tutta evidenza l’esigenza di por fine ad una stagione, quella in cui la potestà autonomistica derivava da concessioni dall’alto (potenze vincitrici, governi italiano ed austriaco, unione europea) più che da un moto di popolo, manifestatosi solo con l’ adunata dell’ASAR a Trento e della SVP a Castelfirmiano.
Renato Ballardini, autorevole esponente della generazione che ha provveduto a rendere operativo l’impianto autonomistico, afferma oggi ( “Il Trentino” del 7 settembre) che per uscire dalla crisi in atto «La soluzione è in un Europa federale, con un tesoro ed un patrimonio unico, che assorba i debiti dei singoli stati, che li risani con un sistema fiscale equo ed efficiente».
Può un simile processo prendere forma senza una convinta adesione popolare? E’ ancora Ballardini che ci rammenta che la madre di tutte le battaglie è quella contro un potere accentrato in poche mani: «una realtà occulta che va smascherata e che costituisce la vera fonte delle risorse necessarie per risanare i debiti pubblici e per finanziare le iniziative economiche volte a curare un mondo in cui l’enorme ricchezza già esistente sia più equamente distribuita».
Ha ancora un senso, in tale contesto, la difesa della specialità autonomistica delle due Provincie di Trento e Bolzano? La risposta è affermativa, in quanto un impianto federale per definizione poggia sulle basi di governi territoriali solidi ed orgogliosi della propria identità. Quella che va costruita, con una paziente opera di coinvolgimento dei meno abbienti, è una realtà di movimento democratico di cui oggi avvertiamo l’assenza.
A quanti a vario titolo sono preposti a disegnare il percorso verso il terzo statuto di autonomia di una regione in cui i gruppi linguistici vivono da separati in casa, il contesto nazionale ed europeo vive forti spinte centralistiche e la crisi economica colpisce i più deboli, i suggerimenti per un ordinamento regionale del rivoluzionario Michael Gaismair, vecchi di cinque secoli, potrebbero ancora dire qualcosa, a cominciare dall’incipit: «innanzitutto dovete promettere e giurare di mettere insieme vita e beni, di non dividervi l’un l’altro, ma di sopportare insieme vantaggi e svantaggi, di agire dopo esservi consultati fra voi... tutti i privilegi devono essere aboliti... nessuno deve essere avvantaggiato rispetto ad altri».
Proseguendo nella lettura della Landesordnung di Gaismair, nell’ottima traduzione che ne fece Hildegard Eilert nel 1988, leggiamo che per abbattere i costi si propongono poche comunità territoriali con poteri giurisdizionali. Dati i tempi nuovi (in mezzo millennio molta acqua è passata sotto i ponti dell’Adige) si potrà discutere sull’attualità della proposta di fare di Bressanone la sede del governo e dell’Università del Land e di Trento il luogo in cui organizzare “le arti e i mestieri” ma non certo sul fatto di entrare nel merito delle questioni che toccano la vita quotidiana. La storia può venire quindi in aiuto: Merano fu la capitale morale del moto rivoluzionario più significativo dell’età moderna, luogo in cui la dieta contadina si riunì nel 1525 per stendere i 64 articoli considerati dalla storiografia il punto più avanzato sul fronte meridionale della guerra dei contadini (segnalo, dalla vastissima bibliografia, gli atti del comitato di contatto per l’altro Tirolo del 1982 e la sintesi “ Da Muntzer a Gaismair” di Italo Michele Battafarano del 1979). Oggi, le ragioni dello stare insieme, la molla che mosse allora il popolo, non sono venute meno, sono solo entrate in una scala diversa, quella del contesto globale.
Dopo un 5 settembre da separati in casa (Trento con la Consulta su di un binario morto, Bozen chiusa in un Konvent in stato d'assedio da parte dei gruppi isolazionisti) ci rimane Merano, con l'iniziativa della memoria storica a Castel Tirolo e con l’attualizzazione hoferiana di San Leonardo in Passiria. Partiamo da lì, se vogliamo dare vita ad un centro studi dall'alto valore simbolico intestato ad Alexander Langer, in cui assieme, tutti i gruppi linguistici pensino a disegnare gli scenari futuri; nel nome del leader sudtirolese, credo tanti sarebbero disposti ad impegnarsi e a mettere a disposizione il proprio patrimonio documentario, al fine di richiamare in vita la regione dolomitica, istituto principe di una convivenza che, come disse Piero Agostini, non può essere nuovamente “rinviata”, specie in tempi di avventurose modifiche costituzionali.
0 commenti all'articolo - torna indietro