"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

The battle of Rome… (1)

dal sito https://pontidivista.wordpress.com

Registro che la crisi del Comune di Roma tende ad attraversare molti dei nostri momenti di conversazione e che tale dibattito va assumendo, come spesso accade, i caratteri manichei di un pregiudizievole pro o contro. Convinto peraltro del fatto che le vicende che si susseguono nella capitale ormai da qualche anno abbiano una valenza che ne travalica i confini, ho pensato di riprendere in questo spazio di pensiero le voci più interessanti che trovo (o che vorrete segnalarmi) attorno alla questione. Iniziamo dunque con questo intervento di Federico Zappini (dal blog https://pontidivista.wordpress.com), cui farà seguito Silvano Falocco, anomatore a Roma della scuola di politica Danilo Dolci.

di Federico Zappini

(10 settembre 2016) Mi sono tenuto alla larga dal “dibattito” attorno alle vicissitudini della Sindaca Virginia Raggi, ma l’amico Alberto mi ha regalato un’immagine così meravigliosamente nostalgica e irriverente per non condividerla. Sulla proprio non efficace azione di governo del M5s in questi giorni si è fatta un sacco d’ironia (come è giusto che sia, ci mancherebbe) e si è segnalato come a scricchiolare sia l’intera impalcatura del modello che la coppia Grillo/Casaleggio aveva immaginato per il proprio movimento politico. Un modello pieno di contraddizioni – che non starò qui a elencare – ma che ha avuto l’innegabile intuizione di interpretare  la crisi e l’insufficienza conclamata della democrazia rappresentativa non come un passaggio transitorio ma come di lungo periodo, tentando di costruire una possibile alternativa ad essa. Dove questa ipotesi abbia portato (qualche verifica la si può avere sul campo, e non è certo confortante) e dove porterà (la situazione è fluida, quasi gassosa, non solo dentro il Movimento) non è dato saperlo con assoluta certezza.

Mi sento però di condividere tre spunti di ragionamento, tra loro concatenati, che spero aiutino a capire quali sono – a mio modo di vedere – le questioni che si dovrebbero salvare dal marasma di queste giornate.

1) Se cade la giunta di Roma – e certo in queste ore non gode di ottima salute – non è detto venga meno la fiducia e il consenso per il Movimento e per la sua originale pars destruens. Il M5s è forse l’unico partito – uso non per caso questo termine – che conservi un certo grado di solidità identitaria. Un’acerba e non troppo definita coscienza collettiva. Non certo coscienza di classe, ma un bagaglio di sentimenti (rancore soprattutto) e linguaggi (e luoghi) comuni sufficientemente ricco da rendere il popolo grillino piuttosto resistente agli ondeggiamenti di questi giorni e impermeabili alle critiche degli agenti esterni. I sondaggi a venire forse mi smentiranno ma non prevedo una cospicua fuga dall’elettorato Cinque Stelle. E’ altrettanto vero – ad essere sinceri – che da mesi è esaurita la capacità del Movimento di smuovere e attrarre la massiccia area di non voto e, soprattutto, di indifferenza che si allarga nel paese.

2) Il campo democratico è addirittura più malconcio di quanto si potesse prevedere fino a poco tempo fa. Al netto di una pericolosa carestia di classe dirigente (a ogni livello), del venir meno da un lato delle elitè e dei corpi intermedi dall’altro, dello sfarinamento di ogni dimensione collettiva, della messa in crisi della coesione sociale e delle reti comunitarie è proprio la scarsa qualità del livello medio del pensare e dell’agire politico, sociale e culturale a pesare sul senso di spaesamento che in molti vivono, io compreso. Chiunque abbia a cuore i processi democratici dovrebbe occuparsi oggi non esclusivamente del proprio settore di riferimento, qualunque esso sia, ma impegnarsi nella “bonifica” dei terreni inquinati della politica e della società e nella messa in sicurezza delle condizioni minime perché la democrazia possa essere nuovamente riconosciuta e praticata. E’ un lavoro preliminare, pre-politico se così lo si vuole chiamare, decisivo e che oggi non vede all’opera un numero sufficiente di addetti alla “manutenzione”. Perché di uno smottamento si tratta – nelle forme, nei contenuti, nei linguaggi e nelle relazioni – e sta prendendo velocità sotto i nostri piedi.

3) In queste ore è un susseguirsi di dichiarazioni che oscillano tra il “è finita l’utopia del M5s” e il “si sono accorti anche loro che è difficile governare”. In esse si legge tutto il compiacimento di chi – personalità sparse su tutto l’arco costituzionale e dentro l’intero mondo editoriale – non vedeva l’ora di poter mettere uno in fila all’altro gli errori che avrebbero commesso i pentastellati, che certo non hanno fatto nulla per evitare anche solo una delle innumerevoli bucce di banana che nell’ultimo periodo hanno calpestato. Quei volti sfacciatamente sorridenti di fronte alle topiche della Raggi e del rumoroso circo che – insieme a lei – da un paio di mesi si è insediato in Campidoglio sembrano credere che le contro-performance romane del M5s siano sufficienti per far provare a cittadini e cittadine qualche tipo di nostalgia nei confronti dei loro predecessori. Illusi.

Oggi – se si vuole affrontare seriamente la crisi della politica, dei partiti e della fiducia nei loro confronti – non è sufficiente riconnettere le comunità alla politica, laddove è propria la politica a essere ritenuta diffusamente inutile o peggio dannosa. Vanno ricostruite le comunità (abilitando cittadini e cittadine a farne parte in maniera consapevole a attiva) dentro nuovi schemi di governance non più solo verticali – lì dove la democrazia rappresentativa ha ampiamente fallito – capaci di dialogare e muoversi costantemente in sinergia con l’orizzontalità della partecipazione e del coinvolgimento nel confronto e nella decisione di fette sempre più ampie di popolazione. Verificando se (aspetto che meriterebbe un’inchiesta approfondita) la popolazione stessa sia davvero interessata all’attivazione di processi di questo tipo.

Interessante a tal proposito è la lettura dell’ultimo libro di Stefano Sarzi Sartori “Comunità e democrazia nei quartieri”, edito da Erickson. “La crisi del bene comune nasce quindi dal basso (un basso che include tutti, a prescindere dai ruoli) col venir meno delle relazioni di condivisione. Tale crisi è cresciuta contestualmente al dissociarsi del livello istituzionale dal livello della cittadinanza come altro effetto dello stesso processo di disgregazione.” nella certezza che “la dimensione politica parte dal principio che ogni atto da noi compiuto costruisce la polis in quanto insieme di persone, prima ancora che di case, di esercizi commerciali, di fabbriche o di strade. Questo insieme primario legittima tutto il resto, inclusi i servizi e le istituzioni.”
In città sempre più ingovernabili, da tutti e non solo da Virginia Raggi, ripartire dal piccolo e dalla prossimità e dalla validazione dei processi di democrazia partecipativa sarebbe uno scenario da approfondire e da praticare. “Senza avere fretta – come ci insegna Marianella Sclavi, in L’arte di ascoltare e mondi possibilidi arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.”

 

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