"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Non ti riconosco

La copertina del libro

Marco Revelli

Non ti riconosco

Un viaggio eretico nell'Italia che cambia

Einaudi, 2016

«Nel corso di questo lungo viaggio erratico tra le pieghe di un Paese sospeso, ho incontrato un'infinità di tracce di metamorfosi istantanea. Di futuri fattisi istantaneamente anteriori. Di promesse appena immaginate e già mancate. Di progetti iniziati e non terminati. E i segni di mappe che non valgono più. Ma non riesco a considerarli simboli di un paradiso perduto».

«... A giudicarla dai numeri la Spina Tre appare l'opposto delle Vallette: anagraficamente più giovane della media cittadina, con un “indice di vecchiaia” molto basso (il venti per cento sta sotto i quattordici anni e appena l'otto per cento sopra i sessanta. Culturalmente più qualificata, con una scolarizzazione mediamente elevata. Professionalmente attiva, con un “indice di dipendenza” ridotto al minimo (il tasso di attività è ben undici punti percentuali superiore alla media torinese), un'alta percentuale di lavoratori dipendenti mentre pensionati e casalinghe sono – anche qui in controtendenza rispetto al resto della città – in minoranza. Il flusso che l'ha popolata non ha certo la tumultuosità selvaggia, da stato nascente, del pionierismo da frontiera anni Sessanta, quando ogni anfratto abitabile della città fu riempito da forze giovani. Allude piuttosto a un nomadismo di prossimità calmo, sedimentato: più di tre quarti dei residenti provengono da Torino. E dei torinesi due terzi arrivano dai quartieri circostanti: hanno percorso poche centinaia di metri tra la vecchia e la nuova abitazione.

Perché allora questo senso latente di spaesamento , che costituisce l'inedito spleen di Torino? Questa difficoltà della “città nuova” a farsi luogo? Sarà il ricorso innovativo allo strumento tanto in voga dell'“edilizia contrattata” che ha fatto della pianificazione urbanistica un tavolo di negoziazione lenticolare con stakeholders dai denti aguzzi, tanto più forti in tempi di bilanci comunali in rosso,. Sarà la connessa disseminazione di “Unità minime di intervento” e di sempre più numerose (e piccole) “Unità minime di progettazione”, per aderire meglio alla struttura frastagliata del mercato e dei portatori di capitali, anche a scapito della coerenza e omogeneità dei risultati. E magari in qualche modo avrà pesato, in questa evaporazione del luogo, l'eterogeneità dei finanziamenti, assemblati via via in base all'opportunità d'intercettare flussi finanziari diversi (il “Passante”, le Olimpiadi invernali, Italia 150, questo o quel Prin o Prut), secondo la logica di un'arte d'arrangiarsi amministrativa da suk mediorientale.

O forse, più semplicemente, è questo – questa vaporizzazione dell'esistenza e introvabilità di un riconoscibile centro di ancoraggio – lo statuto del nostro tempo. La sua implosa natura, che la struttura urbana non fa che incarnare. E riproporre, in ogni anfratto...».

 

 

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