"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il futuro che abbiamo cercato di costruire

Anni '70

di Fabiano Lorandi

(20 novembre 2016) Lasciatemi dire. Sono a disagio quando sento “ quelli del PD che hanno fatto la scelta di votare NO rubano il futuro e vogliono che stiamo tutti in una palude”. Non è vero. Buona parte di loro l’hanno costruito, il futuro e risanate tante paludi e continuano a farlo.

Dal 1968 al 1978 la mia generazione, con la lotta e l’impegno politico e sociale, fuori e dentro le scuole, le università, le fabbriche, i luoghi di lavoro, le istituzioni, hanno conquistato: lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, l’istituzione degli asili nido pubblici, la tutela delle lavoratrici madri, la scuola a tempo pieno, l’obiezione di coscienza al servizio militare, il nuovo diritto di famiglia con la parità uomo/donna, l’istituzione dei consultori sanitari, la riforma penitenziaria, la prevenzione e cura della tossicodipendenza, la legge Basaglia con la chiusura dei manicomi, l’equo canone, la legge sull’aborto.

Si è cambiato davvero il Paese. Il tutto in 10 anni e pensare che c’era il bicameralismo perfetto!

Dico questo perché nelle semplificazioni di Renzi, che non conosce la storia oppure la deforma a proprio vantaggio, il sistema bicamerale attuale sembra aver assunto il ruolo di principale responsabile delle difficoltà del Paese. Renzi liquida i predecessori con denigrazioni del tipo “noi siamo quelli che hanno fatto i bonus, gli altri i malus”. Ignora o tace che i due governi Prodi – guarda caso con Bersani ministro dello sviluppo economico - sono stati gli unici a ridurre il debito pubblico.

Nel sostenere il NO, meritiamo rispetto per quanto abbiamo fatto in passato e perché quando abbiamo partecipato alla fondazione del PD, pensavamo che nessuno potesse rappresentare tutti. Che stare insieme tra diversi fosse faticoso, ma che il risultato della somma delle nostre storie non fosse solo algebrica ma valesse molto di più.

Pensavamo che in politica venissero prima i comportamenti, il più possibile coerenti, prima i fatti e poi il modo di raccontarli, non il contrario. Accettato e condiviso che il bicameralismo perfetto ha fatto il suo tempo e che sia necessario dar vita a una Camera delle Regioni, la riforma Boschi non raggiunge gli obiettivi. E’ scritta in quella che Italo Calvino chiama l’antilingua. Quella dei funzionari dei gabinetti ministeriali in preda al "terrore semantico" che provoca la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato.

I padri costituenti, pensatori colti e raffinati, hanno scritto la prima Carta costituzionale ponendo molta attenzione al fatto che la maggior parte dei cittadini fosse in grado di leggere e capire il testo.

Il processo di approvazione della riforma è in violazione di un’altra Carta costituzionale e cioè il Manifesto dei Valori fondativi del PD del febbraio 2008, nel quale si dice che il partito “si impegna a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”.

Forse qualcuno dei promotori della Riforma non conosce tale Manifesto, se n’è dimenticato oppure pensa “I Valori fondativi? Mettiamoli da parte. A noi interessa il cambiamento. Se ne faranno una ragione, i Valori. Il fine giustifica i mezzi”.

Napolitano ha accettato di essere rieletto a condizione che si facessero le riforme. Curioso che si sia dimesso prima di quella che lui stesso e Renzi hanno definito, esagerando, la riforma delle riforme. Essendo stato eletto con il consenso di tutto il Parlamento, tranne i 5Stelle, a fronte della crisi delle istituzioni e della democrazia rappresentativa avrebbe potuto suggerire un processo maggiormente partecipativo per evitare di spaccare il Paese com’è accaduto e di avvicinare i cittadini alla politica, invece che allontanarli.

Come? Dando il mandato a un’Assemblea Costituente eletta con il sistema proporzionale che si prendesse un anno di tempo, coinvolgendo maggiormente il popolo. Sarebbe stato un atto coraggioso politicamente e giusto eticamente, considerato che la Costituzione è la legge di tutte le leggi, governa e orienta la vita politica, sociale, culturale, personale di tutti gli italiani.

Si dice che con la riforma si è eliminato il bicameralismo perfetto. Bene, se fosse vero. Ma non è così. Date le competenze rimaste al nuovo Senato, la cosiddetta navetta ci sarà ancora, così come qualche conflitto.

Il nuovo Senato rappresenta le Regioni. Anche qui il dichiarato non corrisponde al vero e questa è la parte più pasticciata. Sarà composto da 21 sindaci, nominati dai Consigli regionali, 74 consiglieri regionali, forse eletti dai cittadini o forse no, 5 Senatori nominati dal Presidente della Repubblica che rimangono in carica 7 anni, mentre tutti gli altri 5. Avranno tutti l’immunità parlamentare. Come si farà a distinguere in caso di reato se questo è stato commesso in una funzione piuttosto che nell’altra?

I senatori, saranno senza vincolo di mandato e quindi davvero rappresenteranno i territori e le Regioni oppure il partito che li ha nominati/eletti o solo se stessi? In che modo si formeranno le maggioranze e le minoranze in Senato?

Alle Regioni a Statuto ordinario vengono tolte le competenze concorrenti con lo Stato. La valorizzazione dei territori e delle autonomie, non è più patrimonio del centrosinistra?

Le Regioni a Statuto speciale rimangono. Forse che la Sicilia (in default) in questi anni ha dato miglior prova di governo della Lombardia o del Veneto? Vedo in tutto ciò una volontà centralista che non si è ancora esplicata del tutto e temo anche per la nostra Autonomia.

C’erano due soluzioni alternative praticabili.

L’abolizione del Senato oppure istituire una specie di Bundesrat con esponenti dei governi delle Regioni.

Nella riforma si parla di Statuto delle opposizioni rinviato a un regolamento che si approva a maggioranza assoluta con il paradosso che la maggioranza deciderà i diritti della minoranza. Singolare in una democrazia, non ancora oligarchica.

Votare SI non sarà fare un balzo nel futuro e votare NO non farà fare un salto nel vuoto. D’altra parte è stato Renzi che, sconsideratamente, ha voluto giocarsi il futuro suo e del governo su questa partita, mandando in fibrillazione l’UE e la finanza con annessi e connessi.

Ha la necessità di una legittimazione plebiscitaria che gli consentirà di perseguire al meglio la dimensione personalistica e oligarchica nel PD e nel governo. Insomma qualcosa che assomiglia al peronismo.

Tutti, ribadisco tutti, i suoi interventi, le sue iniziative, la legge di stabilità dello Stato con i bonus e le mance, il ponte sullo Stretto, il rilancio della sicurezza delle scuole per la quale nel febbraio 2014, tre giorni dopo aver sostituito Letta, disse “ogni settimana andrò nelle scuole perché l’Italia diventa grande solo se investe nella scuola” e annunciò 7 miliardi in un piano triennale di cui ad oggi ne sono arrivati poco più del 10%, i manifesti in cui chi vota SI ridurrà i politici (non i senatori!), lo scontro con l’UE al punto di togliere le bandiere nelle conferenza stampa a palazzo Chigi, rappresentare scenari foschi, paludi e paralisi se si vota NO, sono diventati strumenti per creare consenso e costringere gli elettori a votare SI per il bene supremo del Paese.

Si è spinto al punto di dire che il SI è un voto antisistema. Addirittura lui (il Presidente del Consiglio!) ha dichiarato “ho 41 anni, non mi sembra di rappresentare il sistema con il mio governo e la mia generazione”.

Lo sappiamo: le cose che sa fare meglio sono le campagne elettorali. Un altro paio di maniche è governare, considerati i pochi risultati ottenuti sul piano della crescita del Paese e sulla riduzione delle disuguaglianze e delle povertà.

Con queste premesse non ci sto a votare per disciplina di partito, in nome di qualche logica superiore, che peraltro non condivido, o del meglio poco subito che niente mai.

La democrazia italiana, quella fondata sulla nostra Carta costituzionale possiede gli anticorpi per qualsiasi deriva sia autoritaria, sia populista e ha le risorse per produrre una riforma costituzionale di gran lunga migliore di quella che verrà sottoposta al voto il 4 dicembre.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Flavio Ceol il 25 novembre 2016 18:31
    “Questa riforma è una puttanata” Massimo Cacciari a otto e1/2; “la peggior delle soluzioni possibili” Roberto Bin in un suo contributo a proposito della composizione del Senato; “passeremo da Regioni senza Camera delle autonomie a una Camera delle autonomie senza Regioni” Francesco Palermo in una sua intervista ad un quotidiano locale; “Il punto dolente... è quello della legge elettorale, non quello della riforma costituzionale, che è una cosa modesta, diciamolo molto francamente.” Michele Salvati in una intervista alla rivista “Una città”.
    Quattro persone autorevoli che voteranno sì al referendum confermativo e che parlano della legge costituzionale. Come tutte le citazioni è bene avvertire che sono parziali in quanto inserite in contesti più ampi che varrebbe la pena leggere per intero ma che mi pare diano un'idea di come il consenso sulla legge costituzionale da una parte considerevole dei favorevoli si basi più su considerazioni di tipo politico sulle conseguenze di un'eventuale bocciatura che sui contenuti della legge in discussione. Per correttezza verso i citati è bene dire che essi portano argomenti simili per quanto riguarda molti voti negativi. Per citarne solo uno, Roberto Bin titola un suo altro contributo “cercasi ragioni serie per il NO”. Ed è vero che questa campagna referendaria ha assunto toni decisamente insopportabili e che è una dimostrazione di come non si dovrebbe discutere di riforme costituzionali. Le responsabilità sono diffuse ma la principale non può che riferirsi al Presidente del Consiglio che ha volutamente trasformato un quesito referendario in un plebiscito sul suo governo se non addirittura sulla sua persona. E' evidente che su questo piano oppositori come i cinque stelle o la lega non possono che trovarsi a loro agio essendo questa la loro cifra comunicativa caratteristica. Vogliamo forse dimenticare di come la lega sia stata la prima che ha uniformato il linguaggio politico a quello del bar sport, nel senso più deteriore, o, detta alla Trump, a quello di uno spogliatoio maschile o che per il capo dei cinque stelle non si riesce mai a capire se quando fa un comizio ci regala uno spettacolo di cabaret gratuito o se quando fa cabaret ci propone un comizio a pagamento.
    Ecco in questa situazione cercare di argomentare il voto negativo non è semplice ma diventa indispensabile per coloro che pensano che la Costituzione sia un bene da preservare nel suo valore universale. La ragioni di merito sono state dette in altre sedi e da persone con una certa competenza di Costituzioni, voglio solo citare gli ex presidenti della Corte Costituzionale, giuristi come Ferraioli o Toniatti, politici e anche esperti di diritto come Ballardini (persone che non mi sembra abbiano la caratteristica di “cerca poltrone” che il Presidente del Consiglio appiccica ai sostenitori del NO con una volgarità indecente) e che sottolineano nei loro contributi come questa riforma non possa funzionare e che, per questa ragione, sono contrari. Accanto a queste, che sono preminenti e importanti, esistono, però, anche ragioni di metodo che, ripetendo quanto detto prima, si sostanziano nella necessità di salvaguardare la natura della Costituzione come patto indispensabile del patto di cittadinanza comune di una società, tanto più se complessa e articolata come l'attuale. L'approvazione di questa costituzione in questa maniera può creare un precedente che giustificherà qualsiasi mutamento successivo da parte della maggioranza (o maggiore minoranza) pro-tempore e questo fatto è, a mio avviso, grave e pericoloso. Quindi anche per queste ragioni BASTA UN NO.
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