"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (64)
di Michele Nardelli
«C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi...»
Non ho mai sentito così vicine le parole dell'Angelus Novus di Walter Benjamin, come se lo scritto filosofico di questo grande pensatore del Novecento – morto suicida nella notte fra il 26 e 27 settembre 1940 a Port Bou mentre cercava di scappare dalla Francia occupata dai nazisti e dalla polizia franchista che voleva riconsegnarlo alle autorità francesi – mantenesse più che mai attuale il suo valore.
Sono sconcertato di come ci si avvicini all'abisso senza che questo non determini alcun significativo ripensamento di fondo sulla pericolosa china cui assistiamo. E di come le stesse esortazioni di Papa Francesco, che quotidianamente ci richiama ad una guerra mondiale che si svolge nell'indifferenza e nella quale – consapevoli o no – siamo tutti arruolati attraverso i nostri stili di vita e l'aggressività con la quale ci disponiamo a dividere il mondo fra inclusi ed esclusi, rimangano largamente inascoltate.
In un mondo dove alla congiunzione delle crisi finanziaria, ecologica, sociale, politica e morale si risponde con “lo stato di natura” (e almeno tre miliardi di persone considerate “in esubero”), viene ora evocato come possibile anche l'uso delle armi nucleari, ben oltre quel principio di deterrenza che pure ha avuto come effetto la creazione di enormi arsenali potenzialmente in grado di distruggere il pianeta.
Del resto, che cosa ci si può aspettare da una deriva culturale e politica che trova espressione nei volti inquietanti dei personaggi di questa postmodernità?
Un miliardario arrogante novello “Stranamore” come Donald Trump, un ex agente del KGB con pretese zariste come Vladimir Putin, un personaggio da fumetto come Kim Jong-un ultimo dittatore di un paese che sopravvive a se stesso, un moderno sultano che vorrebbe far rivivere lo sfarzo dell'impero ottomano come Recep Tayyip Erdoan, il “fustigatore” delle Filippine Rodrigo Duterte un assassino eletto a presidente di un paese di oltre 92 milioni di abitanti, una nostalgica paladina dell'imperialismo britannico come Teresa May che sta traghettando il Regno Unito nel nuovo Commonwealth, un falco ultranazionalista come Benjamin Netanyahu secondo il quale Adolf Hitler non aveva alcuna intenzione di sterminare gli ebrei (convinto in questo dal Gran Muftì di Gerusalemme), un tiranno come Bashar al-Assad che al potere personale non ha esitato di sacrificare più di cinquecentomila persone...
Un lungo elenco... che poi altro non è che lo specchio di società smarrite dal vuoto di pensiero e abbruttite dal “prima noi”.
Non può certo chiamarsi fuori l'Europa alle prese con il livello più alto di crisi mai registrato dalla nascita delle sue istituzioni politiche. Nel rivendicare la propria sovranità gli Stati nazionali hanno avviato un processo di delegittimazione politica delle istanze sovranazionali, scaricando sulle istituzioni europee (peraltro non esenti da responsabilità) l'origine di ogni male, quando semmai potrebbe rappresentare lo strumento più idoneo per abitare un tempo sempre più interdipendente.
Analogamente, anche le istituzioni della comunità (e del diritto) internazionale, sembrano ridotte a fantasmi cui ci si richiama nella ritualità ipocrita delle relazioni diplomatiche quando in realtà le grandi scelte avvengono altrove.
La stessa insopportabile ipocrisia riversata intorno all'uso delle armi chimiche in Siria che ha “motivato” la pioggia di missili ordinata da Trump sulla base militare da dove sarebbero partiti gli aerei di Assad. Come se il mezzo milione di morti che questa guerra ha prodotto fossero ordinaria amministrazione rispetto alle vittime del Sarin, come se le convenzioni internazionali per la messa al bando e la distruzione delle armi chimiche non venissero violate a cominciare dalle grandi potenze, come se l'uso delle bombe al fosforo (armi chimiche a tutti gli effetti) nelle guerre del Golfo fosse un'invenzione, come se l'uso fatto dagli USA e dalla NATO di bombe arricchite da Uranio Impoverito (DU) nei Balcani come in Iraq o in Afghanistan fossero poi tanto diverse, come se la ricerca e la sperimentazione di armi chimiche e biologiche non continuasse tutt'ora1. Per non parlare della“GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb”, o abbreviato MOAB (che è anche l’acronimo di “Mother of all bombs”, “Madre di tutte le bombe”), ordigno con un potere distruttivo equivalente a circa dieci tonnellate di TNT scaricata qualche giorno fa come dimostrazione muscolare su un paese, l'Afghanistan, in cui il concetto di “guerra infinita” si è tragicamente materializzato.
In questo “inaudito disordine” «egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti, e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta»2.
2 Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti. Einaudi, 1962
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