"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Grazie Osvaldo, costruttore di comunità

Osvaldo Dongilli con Alberico Rigoni Stern

(25 aprile 2017) In una stanzetta forse un tempo monacale di una struttura di accoglienza religiosa nel cuore di Belluno il pensiero va all'amico Osvaldo Dongilli che da qualche giorno ci ha lasciati. E quando ci lascia una persona cara che ha grosso modo la tua stessa età, inevitabilmente quel pensiero ti interroga sul senso delle nostre esistenze.

La mia penna mi porterebbe a scrivere del tempo in cui ci siamo conosciuti, di quando pensavamo che il mondo fosse nelle nostre mani e del progressivo renderci conto di quanto i processi di cambiamento culturale potessero essere lenti e talvolta dolorosi. Insomma, delle utopie e del disincanto, per dirla con Claudio Magris. E sarebbe piuttosto naturale, visto che quello è stato il tempo delle nostre maggiori frequentazioni.

Ma la nostalgia è un bizzarro sentimento che non ci aiuta nella nostra navigazione umana, nel suo deformare la realtà secondo i nostri desideri. E allora preferisco parlare di un tempo più recente, quando pur con percorsi diversi abbiamo provato ad abitare quel luogo che avevamo immaginato ospitale per tante sensibilità diverse e dunque anche per chi, come noi, aveva un'idea alta ed esigente della politica.

Immaginavamo che i nostri rivoli potessero portare acqua ad un fiume nuovo e diverso. Per scoprire ben presto che le dinamiche di potere erano sempre le stesse e che dell'apporto del singolo, della sua storia come delle sue competenze, la macchina del consenso non sapeva proprio che farsene. E che le vecchie appartenenze contavano come muri mai realmente abbattuti.

Così per la prima volta, al di là dei ruoli o degli ambiti di impegno di ciascuno, ci trovammo ad essere parte della maggioranza che governava la nostra autonomia, prendendoci responsabilità senza per questo rinunciare allo spirito critico con cui siamo cresciuti e che del resto non era ingrediente particolarmente apprezzato.

Ricordo come guardavamo dall'alto, lungo la strada per Tenno, quel che era diventata la “Busa” negli ultimi decenni grazie alle amministrazioni locali immaginate amiche, quel delirio fabbricato in una delle zone più belle del Trentino dove il Mediterraneo entra nella terra alpina regalandoci biodiversità uniche almeno a queste latitudini.

All'indignarsi verso chi piegava il bene comune agli interessi privati non veniva meno in Osvaldo l'ottimismo con cui guardava alle nostre vicende come alle cose del mondo. Cui corrispondevano sfide sempre nuove che talvolta potevano sembrare improbabili, in un corpo a corpo con tutto ciò che aveva a che fare con le radici profonde del nostro territorio, nel suo modo di amare le creature del bosco che cercava di trasmettere nell'esperienza di “Ars Venandi”, come nell'essere animatore della “Vicinia Granda” di Ville del Monte nel Comune di Tenno, antiche forme di relazione comunitaria di cui le terre alte sanno essere ricche.

Sfide che nel suo mondo di leggere il presente erano profondamente politiche, perché la politica era per Osvaldo la chiave per abitare il suo tempo, per dialogare e fare comunità.

Una passione per il dialogo comunitario che Osvaldo sapeva trasmettere, sempre pronto a mettersi in gioco per il piacere di far corrispondere la vita quotidiana ai valori e alle idee in cui credeva. E la vita quotidiana l'aveva saputo ripagare nella sua piccola comunità familiare in cui due anni e mezzo fa era arrivata Anita, la bimba di Annalia e di Simone, una nipotina che aveva considerato un regalo grande e di cui andava particolarmente orgoglioso mostrandola a tutti ma soprattutto dedicandole tutto il tempo possibile.

E poi... tutto questo s'infrange perché le nostre vite ad un certo punto finiscono, come a sorprenderci di questa umana provvisorietà di cui pure siamo consapevoli. Niente più? No. Credenti o non credenti, rimangono caro Osvaldo le nostre esistenze, testimonianze di quel che siamo stati e di quello in cui abbiamo creduto. Quelle tracce che lasciamo e che nessuno può cancellare perché ciascuno porta con sé il tempo del mondo.

Bon voyage, amico mio.

 

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