"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Giovanni Pascuzzi *
L’influenza sociale viene definita dalle scienze che la studiano (psicologia, scienza politica e sociologia) come la capacità di orientare i comportamenti degli altri. Gli strumenti attraverso i quali si attua sono essenzialmente tre: il denaro, il potere e il prestigio.
Chi è ricco può comprare beni e prestazioni lavorative. L’esempio tipico è rappresentato dal capitano d’industria che costituisce e organizza le imprese: avendo la possibilità di ristrutturarle, chiuderle, delocalizzarle può incidere sulla vita di tante persone e pure sulle entrate fiscali di uno Stato.
A ben vedere il denaro costituisce anche un potere di fatto (e veniamo al secondo strumento) come contrapposto al potere di diritto, ovvero dell’autorità, che per definizione orienta il comportamento degli individui attraverso ordini, leggi o incentivi. Il prestigio, infine, deriva da una particolare considerazione sociale e varia da contesto a contesto. In passato era legato all’essere anziani o all’aver rivestito ruoli militari. Oggi è legato più alla cultura: per questo gli intellettuali hanno (o dovrebbero avere) grande prestigio sociale.
Denaro, potere e prestigio non sono nettamente separati. C’è, ad esempio, chi usa il potere per accumulare denaro (a volte anche in maniera illecita, come purtroppo testimoniato da molti esempi recenti). Il denaro può essere usato per conquistare potere (anche qui la storia degli ultimi anni ci ha insegnato qualcosa) come pure prestigio. Ma anche di quest’ultimo ci si può servire per propiziare l’afflusso di denaro o per acquisire potere (si pensi a chi si giova del titolo di professore per competere sul mercato delle consulenze).
Può così succedere che un capitano d’industria (titolare di denaro e potere) ami ricevere titoli accademici ad honorem come prova tangibile del possesso anche del prestigio culturale. E può succedere che chi fa del prestigio culturale la sua ragione di esistere (ossia l’Università) conceda titoli accademici nella speranza di ottenere finanziamenti.
Il rischio di essere tacciati di moralismo è alto e, dato lo stato delle cose, forse non vale più la pena nemmeno correrlo. Ma una considerazione conviene tenerla a mente. Chi ha potere e denaro continua ad averli indipendentemente dal prestigio. Chi vive di solo prestigio può perderlo con facilità ed essere condannato all’insignificanza quando si mette al servizio di denaro e potere.
* Editoriale pubblicato sul Corriere del Trentino del 3 ottobre 2017
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