"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(1 gennaio 2018) Iniziare il 2018 con una campagna elettorale non potrà di certo aiutare la politica ad essere migliore. La XVII legislatura della Repubblica Italiana, iniziata il 25 marzo 2013, sembrava essersi esaurita già poche settimane dopo l'insediamento del Parlamento, ma in realtà è giunta quasi alla sua scadenza naturale.
Nonostante in molti auspicassero il ricorso alle elezioni anticipate, non senza motivo (considerato lo stravolgimento degli schieramenti con cui si era andati al voto), abbiamo invece conosciuto una fase di “stabilità condizionata”, dove cioè la scomposizione e ricomposizione delle alleanze (e delle appartenenze) ha favorito la nascita di tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni) all'insegna di un'austerità insincera, del populismo centralistico e autoritario e – dopo la secca sconfitta nel referendum – della gestione dei suoi ultimi mesi nel favorevole contesto di una ripresa globale, fra diffusa precarietà e qualche sussulto di civiltà, anche grazie al manifestarsi di altre maggioranze parlamentari.
Ora siamo anche formalmente in campagna elettorale, ma – a ben vedere – la campagna elettorale dura da tempo: fatta di elezioni vere e proprie (quelle per il rinnovo del Parlamento Europeo che impropriamente legittimarono Matteo Renzi nel suo “stai sereno”, il susseguirsi di elezioni amministrative e regionali, da ultime quelle per la Regione Sicilia), di referendum intenzionalmente plebiscitari, in un contesto dove anche le elezioni in altri paesi europei (e non solo) sono vissute come altrettante indicazioni di voto, di sondaggi settimanali per misurare gli umori elettorali, di riposizionamenti degli eletti per garantire nei vari passaggi nuove maggioranze (nel corso di questa legislatura – stando al Sole 24 ore – sono stati 566 i “cambi di casacca”).
Una movimentazione politica probabilmente senza precedenti che però è tutto fuorché effervescenza delle idee e del pensiero. E pur considerando il mandato imperativo come la negazione della politica, attento altresì a considerare con rispetto lo sforzo di qualche volenteroso nel cercare di introdurre anche in questo passaggio elettorale qualche elemento di intuizione politica (penso ad esempio all'esperienza di “Movimenta” nel dar vita alla lista “+Europa”), faccio sempre più fatica a riconoscermi in questo quadro politico.
Credo peraltro che quello elettorale rappresenti il terreno meno adatto alla sperimentazione politica. Come ho già avuto modo di scrivere anche recentemente su questo blog, considero gli escamotage elettorali e l'emergenza come i terreni meno propensi alla ricerca. Eppure lo sa il cielo di quanto bisogno ci sarebbe di nuovi pensieri e di nuova progettualità. Ma entrambi richiedono percorsi di elaborazione e di gestazione che ben poco hanno a che vedere con la frenesia dell'agenda politica.
Non vivo sulla luna e so bene che l'esito delle elezioni del 4 marzo prossimo ci riguarda tutti e tutte. Come so che l'Aventino, in assenza di questo paziente lavoro di ricostruzione di significati e di nuovi racconti, è destinato all'impotenza. Ma al tempo stesso non possiamo ogni volta farci prendere dalla paura per i cupi scenari che si profilano all'orizzonte, ai quali proprio una politica priva di curiosità e di pensiero ha aperto la strada. Andrò a votare e dirò di farlo, scegliendo dentro questo scenario quelle persone che qualche barlume di ragione e apertura a qualche nuova idea la possono esprimere anche dentro il Parlamento italiano.
Ma per me oggi la via maestra è un'altra. La scelta che con un pugno di amici abbiamo compiuto inoltrandoci nel “Viaggio nella solitudine della politica” prova a coniugare la necessità di uno spazio di astrazione per scandagliare senza affanno il passato per trarne qualche lezione e l'attenzione per tutto quel che cerca di indagare questo tempo e quello che verrà. Convinto che molto sia stato scritto, ma che molto di più sia ancora da scrivere.
L'augurio è che questo nuovo anno possa contenere il danno ed essere fertile sul piano della ricerca di nuovi paradigmi per leggere il presente ed immaginare il futuro. C'è molto da scrivere. (m.n.)
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