"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Marco Paolini
Gianfranco Bettin
Le avventure di Numero Primo
Einaudi, 2017
Veneland, 2040 (anno più o anno meno). Potrebbe essere questo lo scenario spazio-temporale nel quale è ambientato il romanzo “Le avventure di Numero Primo” con il quale due attenti testimoni del nostro tempo come Marco Paolini e Gianfranco Bettin provano un'incursione nel futuro-presente.
Categoria quest'ultima in genere associata alla fantascienza, ma non in questo caso. E non solo perché il presente e il passato prossimo in questo romanzo fanno da sfondo imprescindibile nelle vite di alcuni suoi protagonisti, ma anche perché in questo gioco di specchi è difficile stabilire dove sia la fantasia e dove la realtà.
Basterebbe immergersi negli ambiti della ricerca per comprendere la fragilità delle nostre (relative) conoscenze, che si tratti del bosone di Higgs o delle tecnologie quantistiche. E allora il romanzo di Paolini e Bettin, oltre a coinvolgerti nella trama fra novelli Stranamore e politici accecati dalla brama di potere, imprenditori postmoderni del parcheggio abusivo e giostrai rom che ancora apprezzano un gesto d'amore nei loro confronti, ha il valore di immaginare scenari e di porre alcune domande decisive sul futuro.
Perché se l'idea di trasformare l'acqua che entra in laguna quando il Mose non funziona (ridotto ormai ad un ferro vecchio che si alza casualmente diventando oggetto di scommesse fra la moltitudine dei diseredati che gravitano attorno a Piazzale Roma) in neve e ghiaccio che si accumulano là dove un tempo c'erano gli impianti del Petrolchimico può forse apparire bizzarra, non lo sono affatto le domande relative agli effetti dei cambiamenti climatici su quel che rimane dell'umanesimo, alla volontà di domesticazione della natura, ad una ricerca piegata alla mappatura e al controllo del genoma di tutto il vivente, all'incontentabilità degli umani e ai loro bisogni trasformati in algoritmi, alla possibilità che un'intelligenza artificiale possa archiviare la politica e che un algoritmo diventi il sindaco di una città.
Domande che il lettore si pone senza che nemmeno vengano poste. Quasi a descrivere il rassegnato scorrere di un tempo avverso ma anche l'irriducibilità di un abbraccio fra chi non ha smesso di fidarsi del prossimo. (m.n.)
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