"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Uranio impoverito. Un crimine contro l'umanità.

Kosovo, capannoni colpiti con l'uranio impoverito

Una pagina nera di asservimento e complicità di cui l'Italia (e non solo) si dovrebbe vergognare. Il testo integrale della Relazione conclusiva della Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito.

di Michele Nardelli

Il 7 febbraio 2018 è stata approvata la relazione conclusiva della “Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito” istituita dalla Camera dei Deputati il 30 giugno 2015.

Si tratta di un ponderoso documento di 252 pagine, diviso in 6 capitoli, una riflessione conclusiva sul valore che ha avuto questa quarta commissione d'indagine nel mettere in rilievo la tutela ambientale dei poligoni di tiro, la scomparsa di comportamenti e situazioni contrastanti con le normative vigenti, il fare luce nell'oscuro groviglio di normative militari dietro le quali si sono nascosti i rischi e le responsabilità. Il documento è inoltre composto da una serie di allegati relativi ai lavori della Commissione d'inchiesta (malattie neoplastiche nei militari italiani, missioni, audizioni, testimonianze, collaborazioni esterne) e da un'introduzione dedicata ad una delle vicende forse più simboliche, quella relativa al poligono di Capo Teulada, splendido lembo di terra nella parte sud occidentale della Sardegna che dal 1956 è stato trasformato in zona militare attraverso un accordo con la Nato.

Si tratta come accennavo alla quarta commissione d'inchiesta parlamentare su questo argomento. L'iter del dibattito parlamentare sul tema risale al 2001 a partire dall'utilizzo dell'Uranio Impoverito nelle operazioni della Nato nei Balcani. E pur tuttavia l'istituzione della prima commissione parlamentare avviene solo alla fine della XIV legislatura, cui seguirono quelle istituite nel 2006 (XV legislatura) e nel 2010 (XVI legislatura).

Occupandomi in particolare di Balcani ho seguito dalla fine degli anni '90 il confronto, parlamentare e non. All'inizio particolarmente difficile, quando ancora si negava l'utilizzo del DU (la sigla dell'uranio impoverito). L'uso massiccio che ne venne fatto dalla coalizione di cui faceva parte anche l'Italia nel 1999 in Kosovo, Serbia e Montenegro determinò (e ancora determina) effetti gravi sulla salute dei militari presenti sul territorio nonché ovviamente per la popolazione civile, cosa che però veniva negata per diversi motivi anche da parte dei governi dei paesi che li avevano subiti. O nascosti, magari attraverso gli interventi umanitari (Usaid, Missione Arcobaleno ed altri). Tanto che negli anni successivi, squarciato il velo dell'omissione, io stesso feci parte del monitoraggio permanente cui vennero sottoposti anche i volontari che avevano agito per un arco significativo di tempo sui quei territori.

Era difficile riconoscere come la cosiddetta “guerra umanitaria” si fosse macchiata di simile nefandezze. Potrei raccontare qualche aneddoto su come il contingente italiano di stanza a Pec/Peja (che faceva parte di KFOR) fosse totalmente privo di informazioni e dunque di precauzioni nell'operare in prossimità di siti bombardati con il DU. Figuriamoci la popolazione kosovara, che oltretutto considerava in larga parte la Nato (ed in particolare gli USA) come i liberatori.

Da allora sono passati quasi vent'anni e quella drammatica verità è emersa, quand'anche se ne abbia scarsa memoria collettiva e le popolazioni locali siano ancora esposte al veleno. Il lavoro delle Commissioni d'inchiesta parlamentari ebbero in questo un ruolo importante, approdando ciascuno ad un pezzo di verità. Ed è stato così anche per questa quarta commissione, che ha sviluppato la propria attenzione in particolare sull'uso che è stato fatto di uranio e altri metalli pesanti nei poligoni di tiro in Italia.

Per comprendere la portata del suo lavoro, mi limito a riportare qui di seguito l'incipit della relazione conclusiva della Quarta Commissione parlamentare d'indagine dedicata a Capo Teulada.

§§§

«Mai più una penisola interdetta, mai più militari morti senza un perché.

È diventato il simbolo della maledizione che per troppi decenni ha pesato sull’universo militare: un pezzo di terra del nostro Paese, di rara bellezza, che a Capo Teulada l’uomo ha dovuto vietare all’uomo; quella Penisola Delta utilizzata da oltre 50 anni come zona di arrivo dei colpi (dal 2009 al 2013 circa 24.000 tra artiglieria pesante, missili, razzi), quella penisola permanentemente interdetta al movimento di persone e mezzi.

Le immagini satellitari ritraggono una discarica non controllata: 30.000 crateri sino a 19-20 metri di diametro. Sulla superficie tonnellate di residuati contenenti cospicue quantità di inquinanti in grado di contaminare suolo, acqua, aria, vegetazione, animali. E l’uomo. A Foxi, frazione del comune di Sant’Anna Arresi, in prossimità delle esercitazioni militari con impiego di mezzi corazzati e con attività a fuoco comprendenti missili con raggi a lunga gittata, nel periodo 2000-2013, si registra un raddoppio della mortalità per tutte le cause e un rischio almeno tre volte maggiore di mortalità e morbosità per le malattie cardiache. E in altre aree collocate in prossimità del poligono, quali Sa Portedda e Gutturu Saidu, si rilevano eccessi per patologie respiratorie e digerenti, del sistema urinario e tumorali.

Un decreto del Ministro della difesa del 22 ottobre 2009 impose la bonifica, ma l’area continuò ad essere il bersaglio delle esercitazioni. Non stupiscono, a questo punto, le indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari per il delitto di disastro doloso in seguito alla “presentazione di denunce da parte di cittadini di Teulada o di Sant’Anna Arresi, che segnalavano che alcuni congiunti o loro stessi avevano contratto delle gravi patologie tumorali e assumevano che ciò fosse accaduto a seguito dell’essere entrati in contatto con contaminanti diffusi dalle attività di esercitazione che si svolgevano nel poligono di Capo Teulada”. Un disastro che coinvolge il poligono Delta e il prospiciente specchio acqueo, e che risulta causato da esercitazioni militari addirittura incrementate dopo e in violazione del decreto ministeriale del 2009. Un disastro che non sorprende se solo si riflette sulle regole adottate dall’amministrazione della Difesa in tema di bonifica del poligono Delta all’insegna di una deludente “convenienza”:

I) Norme per l'utilizzazione del poligono di Capo Teulada (approvate l’11 agosto 1987 dal Capo di Stato maggiore della Difesa)

Il poligono "D" (penisola di Capo Teulada) è permanentemente interdetto al movimento di uomini e mezzi. Esso, infatti, viene utilizzato esclusivamente come zona di arrivo dei colpi (proiettili, razzi e bombe) e su di esso non vengono mai svolte operazioni di bonifica”.

II) Disciplinare per la tutela ambientale del poligono di Capo Teulada (approvato il 12 maggio 2008 dal Generale Comandante del Comando Militare Autonomo della Sardegna)

poligono "D"

È situato a sud ed è costituito dalla penisola di Capo Teulada, permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile né conveniente la bonifica”.

III) Norme per l'utilizzazione del poligono permanente di Capo Teulada (approvate il 30 marzo 2010 dal Generale comandante del Comando militare autonomo della Sardegna)

Parte I

poligono "D"

E’ situato a sud ed è costituito dalla penisola promontorio di Capo Teulada, permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile né conveniente la bonifica. Il poligono è utilizzato quale zona di arrivo:

dei colpi di mortai ed artiglierie;

di missili filo guidati;

di tiri navali contro costa;

di bombardamento e mitragliamento aereo;

per sganci di emergenza per gli aerei”.

Parte II

La penisola di Capo Teulada (poligono "D"), permanentemente destinata a zona di arrivo dei colpi delle artiglierie navali e terrestri, delle armi e sistemi d'arma in dotazione/sperimentazione e a zona di sgancio a terra e di emergenza per gli aerei, è inclusa fra le zone interdette ai soli fini del transito e dello sbarco. Al termine delle attività a fuoco, durante le quali la penisola di Capo Teulada è interessata come zona di arrivo colpi, il Direttore di Esercitazione (DE) deve compilare, in 4 copie, la prevista "Dichiarazione di Bonifica" come da Allegato "L"”.

L’omessa bonifica per ragioni di “convenienza”, il prosieguo delle esercitazioni, sono scelte strategiche che stonano a fronte del crescente e assordante allarme prodotto dalla penisola interdetta tra cittadini e istituzioni, e che tornano nell’audizione del 5 ottobre 2017 del Sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari, dottor Emanuele Secci:

EMANUELE SECCI. Alludo al disciplinare del 2008, dove, con riferimento proprio alla penisola Delta, si dice che è una zona rispetto alla quale non è previsto che si debba procedere alla bonifica, per ragioni di convenienza economica, oltre che per la pericolosità di tale operazione per i militari che ne fossero stati incaricati”. “Non abbiamo trovato un provvedimento genetico da cui deriva l’interdizione di quest’area, nonostante lo abbiamo più volte richiesto.

LUIGI LACQUANITI. Ci sta dicendo che non avete reperito un atto di divieto d’accesso, per cui abbiamo una zona del nostro territorio dove effettivamente non è possibile accedere, ma non sappiamo perché.

EMANUELE SECCI. I divieti di accesso sono stati disposti di volta in volta, per esempio per lo specchio acqueo limitrofo alla capitaneria di porto. Ci sono dei provvedimenti specifici, annuali, periodici e successivi, però all’origine un provvedimento, per esempio, del Ministro della difesa o del Comandante generale dello Stato maggiore della Difesa non esiste. Non c’è un provvedimento di questo tipo, o almeno non l’abbiamo trovato”. “Prima di tutto è interdetta per un pericolo per l’incolumità”.

EDMONDO CIRIELLI. Probabilmente ci sono ordigni inesplosi.

EMANUELE SECCI. I missili non esplosi…

EDMONDO CIRIELLI. Sono rimasti lì.

EMANUELE SECCI. Rimangono lì e non vengono fatti brillare. C’è questo primo pericolo. Inoltre, ci sono 166 tonnellate di metalli, che creano le condizioni di un inquinamento da metalli pesanti”. “A seguito degli accertamenti che abbiamo effettuato, abbiamo trovato presenze radioattive. Gli accertamenti radiometrici hanno rilevato la presenza di torio, che era una componente dei missili MILAN. Mi pare che nel corso delle esercitazioni dai primi anni 1990 fino al 2004, quando sono stati tolti dalla circolazione, ne siano stati esplosi oltre 4.200”.

In caso di missili o munizioni inesplosi, esiste l’obbligo di neutralizzarli attraverso gli artificieri e di determinarne l’esplosione, in modo tale che non possano arrecare pregiudizio o pericolo ai militari che si addestrano. La stessa cosa non viene ancora fatta nella penisola interdetta e, quindi, permane una situazione di estremo pericolo per l’incolumità pubblica. Dai dati che abbiamo rilevato, che sono molto empirici, sembrerebbe che finora siano presenti nella penisola interdetta 566 tonnellate di armamenti e che in due anni ne siano state eliminate otto. Di conseguenza, penso che l’intervento richiesto per la bonifica sia massiccio”.

Dal 2008 in poi, nonostante l’entrata in vigore del decreto ministeriale del 2009 che ha imposto la bonifica dei luoghi coinvolti dalle azioni di esercitazione, quest’area ha continuato a essere il bersaglio delle esercitazioni. Certamente bonificare integralmente quell’area non è semplice. Dalla fine del 2014, quando sono iniziate le creazioni dei varchi, ben poco è stato prelevato e portato via, non è stata intrapresa un’azione massiccia. Da quello che ho appreso, in altre realtà, quando ci si è avveduti che una zona era contaminata a seguito delle esercitazioni, l’attività è stata dismessa, anche per non esporre il personale che lì si esercita a ulteriori rischi”. “È un decreto ministeriale che dal 2009 obbliga le amministrazioni militari, quando effettuano esercitazioni, a ripulire ciò che sporcano”. “Non è prevista nessuna eccezione del tipo «fatti salvi i poligoni che hanno una penisola interdetta, ai quali non si applica questa norma».

Mai più militari morti e ammalati senza sapere perché, mai più una “penisola interdetta”: ecco gli obiettivi perseguiti dalla quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito. Mai più una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’autorità militare, senza interlocuzioni con l’amministrazione dell’ambiente, con la regione e con le autonomie locali. Garantire al meglio la sicurezza e la salute dei militari non è un sogno, ed è un atto dovuto alle nostre Forze armate per l’impegno e lo spirito di sacrificio dimostrati ogni giorno al servizio del Paese».

§§§

Il testo integrale della Relazione conclusiva della Commissione Parlamentare d'indagine sull'Uranio impoverito la trovi qui: http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/023/INTERO.pdf

 

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