"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Se la Patria chiama...

Prima guerra mondiale

La rievocazione storica di una adunata degli alpini. Come ai tempi della prima repubblica. In dialogo con Lorenzo Ferrari.

di Giorgio Cavallo *

E’ andata di scena a Trento la 91esima adunata nazionale degli alpini. Il “format" tiene ancora perfettamente e 300.000 persone hanno potuto gioire nel trovarsi assieme e nello sfilare marzialmente in ricordo della “vecchia” appartenenza.

Personalmente provengo dall’aviazione, ho “combattuto” con armi sofisticate dalla parte della “libertà” nella guerra fredda, e gli alpini mi davano l’idea di appartenere ad un mondo di subalterni un po’ tonti pronti ad obbedire ad ordini di cui non potevano valutare la portata.

Poi la frequentazione del Friuli mi ha permesso di capire il profondo legame tra la gente e gli alpini, per aver condiviso e sofferto i pezzi di una storia magari raccontata dalle classi dirigenti in maniera truffaldina, ma che, per chi ci aveva vissuto dentro, era piena di solidarietà e di emozioni umane che ne travalicavano la narrazione politica. Una solidarietà che si fa concreta anche dopo la naja e si trasferisce nelle comunità di provenienza.

Gli anni passano, lo spirito bellico è più una visione stereotipata, e il mal di schiena avanza. Quando vedo i 300.000 che sfilano mi domando sempre come facciano ad esorcizzare i malanni dell’età e ad apparire giovani e prestanti.

Ma gli alpini come corpo militare della tradizione italiana, non esistono più. Oggi sono una “corporate” pubblica che utilizza contractors da spedire in giro per il mondo dove il mercato chiama. Le chiamano missioni di pace per aggirare la Costituzione ma ormai non ci crede più nessuno. E tutto sommato possono anche tornare utili come “commessi viaggiatori” di sistemi d’arma prodotti dall’industria bellica italiana, di proprietà del MEF.

Ma tutto questo c’entra poco con le sempre oceaniche adunate nazionali e con i contenuti ed i messaggi che esse trasmettono.

Lorenzo Ferrari nel cercare di interpretare il recente raduno di Trento coglie un aspetto che attualizza una presenza in profonda consonanza con l’evoluzione politica italiana di questi anni. Si marcia inquadrati in formazioni territoriali che danno un senso di sicurezza e protezione, non più stranieri ma padroni a casa propria. Legati ad una identità territoriale ed al riparo dalle frenesie di chi crede nelle aperture di una dimensione globale.

Si può così essere contemporaneamente patrioti (italiani) ferventi, convinti autonomisti e magari anche nostalgici asburgici. Non contano più i nemici di ieri ma si è pronti a rivendicare una nuova sovranità, là dove la si ritiene perduta: nella propria città o paese rispetto ad uno stato rapace che ti depreda con le tasse, nella dimensione nazionale-statale martoriata dai burocrati delle banche europee, in una nuova Europa cristiana che sappia difendersi dall’islam.

E allora mi domando: a cosa è servita la rievocazione del 68 andata in onda a Trento, con tanto di contestazioni da parte di “anarchici” che ritirano fuori le simil scritte denigratorie della famosa adunata del 68 (non era una adunata nazionale) in cui gli studenti di sociologia vennero menati dagli alpini. Forse, assieme alla impressionante quantità di materiale di auto propaganda prodotto e distribuito dalla Provincia Autonoma di Trento, si volevano esorcizzare o nascondere reazioni territoriali non benevoli verso lo stato italiano.

Scaramucce tra alpini e contestatori si sono verificate periodicamente a Trento, ma l’impressione è quella di una sceneggiata scritta a tavolino. Nella loro storia le adunate degli alpini sono state giocate sul piano politico, anche internazionale, in maniera piuttosto pesante. Segnalo l’adunata del 1949 a Bolzano, vero e proprio insulto al Sud Tirolo e quella di Gorizia del 1951 (che ben ricordo), strumento calibrato sulla questione del confine orientale.

Ma oggi interpretazioni di questo tipo non dovrebbero più esistere. Sono scomparsi anche gli “alpini padani” che riempivano di volantini clandestini le adunate degli anni 90 del secolo scorso.

La mia prima reazione è stata quella di vedere nei fatti di Trento una specie di animazione di un avvenimento turistico: non dimentichiamo che il fatturato dell’adunata contribuisce al PIL per 50-100 milioni di euro. Ma non basta.

In realtà l’incontro annuale degli alpini è sempre un particolare momento di educazione di massa. Il messaggio cambia significato ma è sempre quello: “se la nazione chiama bisogna obbedire”. Pensare che questo messaggio valga ancora oggi nel 2018 può suscitare qualche preoccupazione. Lo stato-nazione pur in una fase di destrutturazione e indebolimento storico è sempre lì pronto a combinarne qualcuna delle sue. Ma il tripudio di bandiere e l’entusiasmo segnalato anche da Ferrari, fa ritenere che il cemento dell’attaccamento allo stato nazionale sia ancora oggi qualcosa di profondo e si cerchi di farlo diventare il collante di quelle identità multilivello che definiscono la propria casa.

Il sovranismo è il valore fondante anche della nuova maggioranza che sta per varare il futuro governo. Uno stato rivoluzionato che si occupa di tutto ed un programma che praticamente non parla di regioni ed enti locali. Figuriamoci di minoranze e di federalismo. Un sovranismo nazionale statale che vorrebbe fare la voce grossa con lo straniero: ed anche casalingo che mi autorizza ad uccidere il ladro che penetra nella mia abitazione.

In questo allora si può cogliere il messaggio politico proveniente dell’adunata degli alpini di Trento: siate pronti ad obbedire alla nuova salvezza che verrà da Roma e ci chiederà nuovamente di difendere i confini.

Gli alpini in realtà possono essere pericolosi. Provengono dai territori e potrebbero diventare una coscienza popolare non asservita nel momento in cui sempre più l’incapacità degli stati nazione di rispondere ad interessi generali dei territori diventa evidente. E’ meglio richiamarli all’ordine e inquadrarli in una nuova catena di comando.

Quanto successo a Trento appare quindi molto al di là del doveroso ricordo per un corpo militare popolare che non esiste più.

Udine, maggio 2018

* Giorgio Cavallo, già consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia e assessore comunale a Udine, esponente del Movimento politico "Patto per l'Autonomia"

 

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