"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Riprendo l'editoriale di oggi del Corriere del Trentino a firma Simone Casalini sul voto d'autunno.
di Simone Casalini
(24 giugno 2018) C’è poco da discutere, è il tempo di Salvini. La sua febbre da consenso sta salendo vorticosamente, tracimando nell’elettorato di centrodestra e in quello degli altri partiti con il Movimento 5 stelle a rischio dissanguamento. Persino qualche astenuto cronico si è lasciato ammaliare, nelle intenzioni di voto, dal leader della Lega che ha trasformato un partito regionale in movimento nazionale. Salvini è come un virus senza contrasto in una fase storica che, però, ama divorare le sue guide così come Crono mangiava i figli per timore della loro mostruosità. La parabola di Matteo Rensi (dal 40% delle Europee al 18,7% delle politiche) è durata quattro anni, le sue boutade non sembrano interessare più nessuno.
La politica di oggi è l’istante, il tweet, il post, il selfie, la battuta oscena, la proposta abietta, l’invasione di campo (come sui vaccini), il momento di vita privata. Il «salvinismo» ha un profilo popolare — un aspetto che la sinistra si ostina a sottovalutare — che non può essere derubricato. Ma si fonda su una serie di elementi contraddittori. Da un lato, cavalca l’«illegalismo», cioè la divisione binaria della società tra chi dimora nelle maglie della legge e chi si muove ai margini, per devianza o necessità. E allora migranti e rom diventano il simbolo di questa polarizzazione perché nulla possono opporre. Dall’altro propone una sanatoria fiscale per gli evasori.
Così vengono riportati nella legalità perché sono la piccola borghesia, il ceto medio, potenziali elettori. E perché le risorse recuperate potranno in parte finanziare la flat tax. Una tassa che si muove in direzione contraria rispetto al riequilibrio sociale auspicato perché chi ha pagato il prezzo della crisi economica — gonfiando le vele dei vari Salvini, Lepen, Orban, Strache — non sono i primi (le élite contestate), ma i penultimi. La legalità è come un circuito a intermittenza che talvolta ha come bersaglio il diverso e in altre occasioni le istituzioni di insofferenza collettiva (Agenzia delle entrate, Inps). Non si può omettere che il discorso di Salvini dilaga nella mediocrità delle leadership europee coeve. Come quella di Macron che ha confermato la sospensione dell’accordo di Schengen alla frontiera di Ventimiglia — voluta da Hollande nel 2015 — per sbarrare il passo ai richiedenti asilo e che ora rinfaccia decisioni che lui per primo ha compiuto.
Il riallocamento del consenso, in questa fase storica di rottura, può avere una proiezione locale in vista delle elezioni provinciali di ottobre. Il progetto di Autonomia rischia di non essere più il discrimine del voto, di non orientare la scelta degli elettori che giungeranno ai seggi osservando anche il nuovo assetto nazionale. La Lega vanta un po’ di credito sulla questione del regionalismo — e verrà reclamato per esigere il voto e tranquillizzare —, il resto lo metterà l’impalcatura emozionale di Salvini. Per il vicepremier, con radici tra Caderzone e Pinzolo, espugnare l’ultimo lembo non leghista del nord — con Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia allineate — diventa più di una questione simbolica. È una questione politica essenziale, la torsione decisiva al sistema politico convenzionale e alle sue articolazioni. L’argine può arrivare solo da un disegno politico connotato e radicale che sappia costruire una connessione politica sentimentale con il popolo. Fidarsi solo della responsabilità dell’elettore può rivelarsi insufficiente.
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