"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (83)
di Michele Nardelli
Il dibattito, meglio sarebbe dire le grida, sul tema delle migrazioni sta occupando la cronaca politica in tutto l'Occidente. Di per sé potrebbe essere positivo, se almeno questo comportasse la volontà di farsi carico della vita di tante persone e insieme di comprendere le ragioni di un esodo che almeno in queste forme non ha precedenti. Ma purtroppo così non è, tanto è vero che il problema per le cancellerie è in genere come evitarne l'approdo dentro i propri confini nazionali e di come all'interno di questi cavalcare il mantra della sicurezza per trarne consenso.
Lo scopo di questa nota non è quello di trattare la questione, ma più semplicemente di mettere in evidenza la sostanza del problema e l'ipocrisia con la quale lo si affronta.
La sostanza. Il modello sociale e culturale che è prevalso nel confronto novecentesco è insostenibile (anche quello perdente, per la verità, lo era). Lo racconta più che ogni altra valutazione il cambiamento del clima, la perdita delle biodiversità, la desertificazione del pianeta, l'impoverimento del suolo e dei mari, con la conseguente esclusione di milioni di persone. Le quali, è naturale, non possono di certo accettarle di essere condannate alla deriva come un fatto ineludibile, riversandosi ad insidiare l'inclusione (per quanto relativa) nel suo giardino (anzi, nelle sue periferie). Oltretutto, il prevalere dell'Occidente è avvenuto anche sul piano culturale per cui il modello di riferimento delle masse dei diseredati non è certo quello della sobrietà quanto piuttosto quello del consumismo. Del resto, nel tempo dell'interdipendenza, le mirabilie cromatiche del successo e della ricchezza arrivano ovunque, facendo immaginare un mondo di cui proprio non c'è traccia (se non come aspirazione) nelle periferie desolate del cosiddetto primo mondo. Certo, si scappa anche dalla guerra, di cui l'Occidente è parte, tanto nel suo esercizio come nella produzione bellica. Ma la stragrande percentuale dei migranti se ne va dal luogo di nascita in cerca di fortuna, esattamente come hanno fatto fra la fine dell'Ottocento e per tutto il Novecento i nostri progenitori e, nei secoli precedenti, tutte le popolazioni. La storia del pianeta è fatta essenzialmente di spostamenti.
L'ipocrisia. Oltre a questa assurda distinzione fra aventi diritto e no, come se il diritto di circolazione (evocato nel tardo medio evo per legittimare le conquiste coloniali da parte europea) per gli esseri umani non esistesse, si assiste all'indignazione verso le politiche sull'immigrazione del nuovo governo. Indignarsi è giusto, s'intende. Però qualcuno mi deve spiegare che differenza c'è fra i respingimenti e l'accordo con la criminalità organizzata per evitare le partenze. Quel che non si vede non esiste. E' questa la differenza fra centrosinistra e l'attuale governo Di Maio-Salvini? Tutti si ritrovano sull'altro mantra di questo tempo, quello che corrisponde allo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Lo vogliamo dire o no che due secoli di colonialismo e settant'anni di cooperazione internazionale (ovvero di aiuti ad un'idea di sviluppo mutuata dall'occidente) hanno avuto come esito quello di impoverire aree del pianeta che di loro non lo sarebbero?
Prendiamo come esempio l'Africa. Ancora oggi il continente africano è il più ricco del pianeta, almeno sul piano delle risorse naturali, delle materie prime e anche dell'incidenza demografica. Le difficoltà nascono con il colonialismo, con la depredazione della terra e dei mari, con l'asservimento di classi dirigenti corrotte, con gli esiti dell'invasività di un modello di sviluppo che non aveva e non ha nulla a che fare con le culture locali. Con i suoi 30.370.000 chilometri quadrati l'Africa è come estensione il secondo continente del pianeta con una popolazione di 1,216 miliardi di abitanti, per una incidenza demografica fra le più basse del pianeta (36 abitanti per km quadrato contro i 73 dell'Europa e i 96 dell'Asia). E questo nonostante la crescita esponenziale degli ultimi anni – dovuta proprio all'impoverimento – se pensiamo che all'inizio degli anni '60 la popolazione africana superava di poco i 200 milioni di abitanti cui corrispondeva una densità di 6,7 abitanti per km quadrato (quando l'Europa contava una densità di 51 abitanti per km quadrato).
Cosa cavolo vuol dire aiutiamoli a casa loro. Per diventare insostenibili come lo siamo noi? O forse non vogliamo sapere che l'impronta ecologica dell'Africa (la tabella allegata va presa per difetto) è un terzo della media mondiale (1,8 pianeti) quando quella degli Stati Uniti e dell'Europa sono rispettivamente più di 5 volte e quasi 3 volte tanto? Chi è insostenibile? Se proprio vogliamo dirla tutta, potrebbe esistere un problema di risarcimento, difficile da riconoscere ancor prima che da attuare.
Il problema dunque non sono loro, siamo noi. E' quello di uscire da questo modello di sviluppo, per tutti. Un cambio di paradigma e dei nostri stili di vita insostenibili, come vado dicendo da tempo.
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