Le Edizioni Messaggero di Padova, hanno recentemente dato alle stampe "Sicurezza", di Michele Nardelli e Mauro Cereghini. Del tema e del libro parliamo con gli autori...
Il libricino in questione (agile nelle dimensioni, ma non “poco” nel contenuto) si presenta con un titolo che nel nostro tempo risuona ad ogni angolo e in ogni contesto: “Sicurezza”. Parola usata e abusata, essa richiama questioni che, per com’è e per come ce la vogliono fare intendere, ci toccano senz’altro da vicino e con urgenza. Per capire se questo sia vero, e in quale misura, gli autori Mauro Cereghini e Michele Nardelli ci offrono interessanti approfondimenti e spunti di riflessione.
L’immediatezza dello stile e le abbondanti “illustrazioni letterarie” rendono la lettura particolarmente gradevole, anche sotto l’ombrellone. Se da bambini, al ritorno del mare, ci sentivamo dire “Guarda come sei cresciuto!”, la lettura di questo saggio ci darà l’occasione per irrobustire la nostra consapevolezza di abitanti del pianeta…
Nella prefazione, a chiosa di alcuni esempi riguardanti imminenti stravolgimenti politico/sociali, avete posto la frase “Vediamo solo quel che vogliamo vedere.” Quali sono gli “interruttori” che fanno scattare la percezione del pericolo?
Cereghini: Malgrado la paura si nutra di fantasmi, è giusto riconoscere che l’attuale percezione di insicurezza non è del tutto estranea alla realtà: cambiamenti climatici, desertificazione, perdita massiccia di biodiversità, guerre per l’acqua… sono altrettanti esiti dell’insostenibilità di un modello di sviluppo che ha portato il pianeta sull’orlo del baratro. Da questa situazione possiamo uscire in due modi: riconsiderando i consumi e invertendo la spirale della nostra impronta ecologica, oppure rivendicando un primato nell’uso delle risorse in base all’appartenenza etnica, religiosa o di “civiltà”, condannando però una parte dell’umanità all’esclusione. Il discorso politico – in Italia come in Europa e nel resto del mondo – oggi si svolge principalmente dentro la seconda ipotesi, fotografando gli orientamenti di una società che di tornare sui propri passi non ne vuol proprio sentir parlare. Da qui una lettura del presente che giustifica i nostri comportamenti, senza più nemmeno la foglia di fico di un umanesimo ipocrita e privo di mondo come quello novecentesco.
Quali caratteristiche rendono l’epoca in cui viviamo terreno fertile per facili e sensazionalistiche esternazioni e ancor più semplici e populistiche soluzioni?
Nardelli: Il pianeta vive al di sopra delle sue possibilità, tanto che consumiamo più di una volta e mezzo ciò che gli ecosistemi terrestri sono in grado di produrre. E tuttavia non viviamo bene, crescono anzi ansia, solitudine e rancore, ossia il brodo di coltura dell’egoismo populista. Che è giusto condannare quando viene strumentalizzato dagli imprenditori della paura per proprio tornaconto, ma è sbagliato sottovalutare perché segnala il malessere sociale nato dal fallimento del sogno novecentesco di benessere e progresso per tutti. Un sogno che ha accomunato capitalismo e socialismo, liberalismo e socialdemocrazie, e la cui scomparsa va ancora metabolizzata.
È qui che trova spazio la retorica volgare del “prima noi”. Alla messa in discussione del nostro stile di vita e dei consumi preferiamo la guerra, non solo quella tradizionale ormai endemica in diverse aree del mondo, ma quella che porta all’esclusione nelle sue svariate forme: dalla morte per fame o per mancato accesso all’acqua, alla carenza di sistemi sanitari, di tutele sul lavoro o di inclusione sociale… fino ai viaggi della morte nelle carrette del mare. “Terza guerra mondiale a pezzetti”, la chiama Papa Francesco.
La richiesta di maggior sicurezza, nel senso “poliziesco” del termine, sembra più che prioritaria. È davvero questa l’emergenza?
Cereghini: La parola sicurezza è stata intesa come se dovessimo difenderci in maniera permanente dagli altri. E il senso di emergenza che le è stato attribuito permette di offuscare le ragioni profonde, ossia i motivi per cui ci sentiamo insicuri. L’emergenza, reale o meno che sia, porta sempre fuori strada. Occorre invece dare un volto e un nome al malessere diffuso, che nasce dalla precarietà, dall’incertezza, dalla perdita di senso e di futuro. Mettere mano alla sconfitta del Novecento, non maledire quelli che ne sono soltanto gli effetti, dalle migrazioni ai cambiamenti climatici.
Non si può disseminare il mondo di guerre e poi non comprenderne le conseguenze. Non si può immaginare il mondo a immagine e somiglianza del profitto consumista e poi negarne l’accesso a miliardi di persone. E non possiamo nemmeno chiamarci fuori semplicemente perché siamo caritatevoli e pensiamo – come ricorda Luca Rastello nel suo romanzo “I buoni” – di diventare angeli con un’offerta di qualche euro al mese.
Da chi dobbiamo aspettarci un cambiamento in meglio di questa situazione? Quali pratiche o atteggiamenti vi sentite di incoraggiare?
Nardelli: Fin quando gran parte della politica continuerà a rincorrere gli umori e la ricerca di facile consenso, quando non a soffiare apertamente sul fuoco, è difficile immaginare un cambiamento positivo. Pensare che la sicurezza possa venire da videocamere disseminate lungo le strade o dall’ampliare l’uso individuale delle armi e la legittima difesa, non fa che aggravare la sensazione di assedio collettivo.
Nel libro abbiamo provato a declinare in modo diverso la parola sicurezza, recuperando il senso del “prendersi cura” che pure le risuona dentro. Ci sono molte strade per farlo, attraverso comportamenti virtuosi individuali e collettivi che già sono praticati da molti e in molti settori diversi. Ma insieme alle pratiche occorre la consapevolezza di dover adottare nuove bussole, ossia nuovi sguardi e nuove comprensioni sul mondo e sulle sue dinamiche complesse. Per oltrepassare finalmente il mito – insieme liberatorio e assassino – delle “magnifiche sorti e progressive”.
Mauro Cereghini e Michele Nardelli, Sicurezza, ed.Edizioni Messaggero, Padova 2018
http://franzmagazine.com/2018/07/30/libro-sicurezza-spunti-di-riflessione-e-nuovi-desiderabili-scenari/