"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Domitilla Melloni *
«Percepiamo gli altri come un’insidia al nostro spazio vitale. E se il nostro spazio è misero, il tasso di aggressività verso di loro diventa ancora più alto».
Questo, leggermente parafrasato, è il passaggio che più mi ha colpito del brano che ho postato ieri su FB. Il libro da cui è tratto (Sicurezza, di Cereghini e Nardelli) è da leggere e non ha solo passi bui, come quello che ho citato. Anzi, è un libro pieno di idee e di segnali indicatori verso vie d’uscita possibili. (Ma niente spoiler).
Quello che mi preme è sottolineare questa relazione fondamentale tra la miseria dello spazio in cui viviamo e la nostra aggressività verso gli altri.
Uno spazio misero non è uno spazio povero: al contrario, può trasudare denaro. Misero è lo spazio al quale non siamo capaci di attribuire significati condivisi, nel quale non siamo più in grado di incontrare gli altri davvero, cioè di lasciare che gli altri lascino un segno. Misero è ciò che (o chi) ha perso memoria del suo passato e si trova a galleggiare in un presente senza fondamenta riconoscibili, sulla cui precarietà è impossibile appoggiare qualsiasi idea di futuro: e senza passato, né futuro ci resta solo questo presente eterno e sofferto, spaventato e annegato nella solitudine.
Ma non siamo condannati a questo. Non nei luoghi (fisici, o interiori, luoghi dell’anima) che possiamo arricchire ogni giorno con gli slanci che ci aprono agli altri, che creano legami, che cercano confronti anche serrati e tesi ma dove l’altro è accolto perché è accolta l’idea della sua legittimità, del suo diritto a essere qui, con me, anche se non me lo aspettavo e lo riconosco diverso da me. Sembra poco, ma orecchie che ascoltano, sguardi disposti al rispetto (re-specto: guardo bene e ancora…), confronti accesi ma civili (degni di un civis, un cittadino, cioè una persona che vive e incarna anche la propria dimensione politica), domande e richieste anche ferme ma che non si trasformano in pretese ottuse… e – perché no? - sorrisi autentici, gesti semplici e gentili. È da qui che si deve passare per sconfiggere la miseria.
Ieri, mentre ero in un ufficio comunale, ho assistito a un momento che non dimenticherò facilmente: un dipendente del comune, appena tornato da una vacanza, si è presentato nell’ufficio di un assessore con un pacchettino in mano. “Ho preso questo per lei, signora”. Si è girato verso di me e mi ha spiegato: “Io la chiamo ‘signora’, non mi importa che sia assessore”. Nel pacchetto c’era un magnete, di quelli da mettere sulla porta del frigorifero, con i simboli della città straniera in cui era andato in vacanza: il sole, il mare, che sono anche i simboli della città italiana da cui lui proviene.
Mi ha incantato quel momento, per la gentilezza di un gesto così minuto, ma così pieno di rispetto e di significato. Non era un gesto dovuto, era il riconoscimento di una persona (“signora, non assessore”) da parte di un’altra persona, che si lasciava osservare, attraverso quei simboli portati in dono che raccontavano insieme della sua vacanza e del suo passato. Come se le avesse detto: “So chi sei tu, ti rispetto e ti mostro chi sono io e da dove vengo”. Un io e un tu a confronto grazie a un pezzetto di gesso colorato e a una calamita. Un gesto ricco di storia e di rispetto, non di denaro, che ha trasformato l’ufficio anonimo nel quale ci trovavamo in un luogo vitale, arioso, dove si aprivano possibilità di incontro impensate.
Sarebbe bello poter sconfiggere davvero la povertà: l’umanità ci prova da sempre e nessuno ci è mai riuscito. Soprattutto non ci si riesce menando colpi alla cieca, senza un’analisi approfondita di cosa la povertà sia stata nei secoli e di cosa sia oggi. La lotta alla povertà deve impegnarci tutti, in un’azione continua e assidua che è fatta, più che di sforamenti del rapporto tra debito e PIL, di conoscenza e di consapevolezza, che si trasformano in pensieri, scelte politiche e gesti concreti quotidiani.
Ma la miseria, quella sì che si può aggredire, fin da subito: ci vuole il coraggio di mettere a tacere la paura e l’ansia di sentirsi stranieri a casa propria. Serve l’azzardo di uno slancio di apertura là dove vorremmo chiuderci in tana a leccarci la nostra ferita, qualunque essa sia. Per sconfiggere la miseria abbiamo bisogno di uno sguardo capace di sollevarsi da terra quel tanto che basta per vedere che non ci sono un “io” e un “loro”, ma solo un “noi”, che ci lega tutti, indissolubilmente (ci piaccia o no), gli uni agli altri, vicini e lontani.
(E se avessimo bisogno di suggerimenti: L’oro di Napoli di Giuseppe Marotta e “Reginella”, la splendida canzone di Libero Bovio, potrebbero essere un buon inizio).
* dal blog http://www.filosofia-biografica.it/blog
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