"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini *
(1 febbraio 2019) E’ un tempo di mancanza e di bisogno. Mancanza di Politica e bisogno di Politica. Come pratica della cura e azione che interroga il reale. Della Politica non possiamo fare a meno. Non possiamo ridurla a inseguimento del quotidiano o aderenza a un continuo presente, che non passa. Dobbiamo riappropriarci del desiderio della Politica. Ma come? Come pensare – l’apparentemente – impensabile?
Per Albert Camus “la rivoluzione consiste nell’amare un uomo che ancora non è nato”. Ecco il livello della sfida. Dopo dieci anni di crisi – al plurale – va messo in campo un modello economico capace di impattare sulle crescenti diseguaglianze, di sostituire la competizione con la cooperazione. Con l’approssimarsi del default ecologico dobbiamo ri-farci Natura, rientrando nei limiti che abbiamo superato. Schiacciati dal peso di tecnologie pervasive possiamo rivendicarne il controllo, anteponendo al potere regolatorio dell’algoritmo la mitezza dell’empatia e la meraviglia della creatività. Di fronte a spinte demografiche che cambiano i connotati del pianeta possiamo rimpiangere le identità, riesumare le razze e tracciare confini o impegnarci per definire le caratteristiche di un Mondo nuovo, più giusto ed equilibrato, più meticcio e relazionale.
Ci serve una visione che diventi piano. Ci serve un ritmo diverso. Ci servono spazi.
Cambiare i paradigmi significa andare alla radice delle questioni. Offrendo sponda a tutti coloro che si impegnano – e vorranno impegnarsi – per “un altro mondo possibile”. Alzando l’asticella e superandola cambiando l’agenda politica invece di subire quella che ogni giorno viene proposta da altri. Progettando una fuga in avanti, non ostinandosi a difendere qualcosa – l’attuale condizione delle democrazie occidentali – da molti punti di vista indifendibile.
Uno degli inneschi possibili lo si trova dentro il Green New Deal proposto tra gli altri da Yanis Varoufakis e dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez. Radicale riconversione ecologica, al fine di decarbonizzare l’economia e le nostre esistenze. Tassazione delle grandi ricchezze per finanziarie forme di welfare di natura universale. Un’innovativa relazione tra lavoro, reddito e vita. Strumenti di democrazia deliberativa affiancate ai Parlamenti per la piena democratizzazione delle istituzioni europee e globali. Centralità del municipalismo nell’azione di prossimità. Vasto programma quindi, con alla base l’idea di farsi carico, non solo elettoralmente, della bonifica del terreno che sta tra il sociale e il politico.
L’obiettivo è fermare la giostra e costruire spazi.
Siamo spaesati e arrabbiati, delusi e superficiali. Non tutto inizia con l’avvento dei social network ma questi sono miccia sempre accesa e carburante a buon mercato per masse di solitudini connesse e urlanti. Un contesto (doloso e non ancora del tutto dispiegato) inadeguato alla politica e dal quale serve praticare l’esodo. Va sabotata la giostra che impedisce alla vista di mettere a fuoco un panorama mai così ricco di sfumature. Praticata la pazienza non scambiandola per immobilismo. Vanno rivendicate vite non schiave dell’efficienza ma che permettano di “perdere tempo”, riconnettendosi in relazioni generative e plurali.
Incontriamoci quindi
Facciamolo aiutandoci a vicenda nel rimuovere gli ostacoli che sembrano comprimere i nostri tempi di vita. Troviamoci in piazza. Non cedendo alla retorica della piazza – temporanea e sporadica, oltre che oppositiva e identitaria – ma trasformandola inspiazzo, come suggerito da Giuseppe De Rita. Cornice sottile e porosa dove scorre la vita e si sviluppano (citando Ezio Manzini) preziose politiche del quotidiano. Laboratorio – come nell’esperienza degli Indignados o delle marce studentesche delle ultime settimane a Bruxelles – per nuove coalizioni politiche, oltre gli schemi fin qui sperimentati. Centro di gravità di città e territori educanti, ricchi di opportunità formative tra il formale e l’informale (la scuola che propone Lorenzo Dellai andrebbe messa in strada, nello spazio pubblico) e costante pratica dialogico/progettuale. Spiazzo come luogo del riconoscimento, del presidio, della cura reciproca.
Nello spiazzo la Politica può provare a sviluppare il suo necessario disordine armonico. Improvvisazione jazz che procede per tentativi e per contaminazioni alla ricerca di un linguaggio comune. Valorizzando le dissonanze, non annullandole o mortificandole, verso un orizzonte desiderabile che altro non è che la comunità che verrà.
Solo partendo da qui saremo in grado di amare un uomo che ancora non è nato.
* da https://pontidivista.wordpress.com
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