"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Roberto Spagnoli *
Il 10 febbraio si celebra il “Giorno del ricordo” istituito nel 2004 per conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra, e della più complessa vicenda del confine orientale».
Purtroppo ogni anno il 10 febbraio viene preso in ostaggio da forze politiche a cui non interessa rinnovare la memoria della complessa vicenda del confine orientale ma solo usare in maniera strumentale la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo. Del resto una sorta di “peccato originale” è insito nella stessa legge che ha istituito questa solennità dove si parla “dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre”. Quelle terre, tuttavia, non erano soltanto loro.
Ricordare la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo senza ricordare ciò che è accaduto nel ventennio della dittatura fascista e negli anni della guerra e dell’occupazione nazista significa non riconoscere che su quello che per noi è il confine orientale ci sono anche altre memorie e narrazioni diverse dalle nostre. Significa perpetuare quelle divisioni e quelle contrapposizioni che portarono al conflitto e che vediamo oggi pericolosamente riaffiorare nelle pretese “sovraniste” di talune forze politiche che altro non sono se non la declinazione odierna di quel nazionalismo e di quel protezionismo che in Europa, nella prima metà del ‘900, nel giro di venticinque anni hanno provocato due guerre mondiali.
Per commemorare questo 10 febbraio 2019 preferiamo allora fare riferimento ad un altro episodio tragico della storia del XX secolo, più vicino a noi nel tempo.
Sarajevo, 5 febbraio 1994: venticinque anni fa, nella capitale bosniaca sotto assedio da quasi due anni, muoiono 68 persone e 142 rimangono ferite nella prima strage di Markale, il mercato coperto al centro della città. Ma cosa c’entra la commemorazione della strage di Markale con il ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia?
Per spiegarlo citiamo quanto scrive il giornalista, scrittore e storico Alessandro Marzo Magno nella post-fazione al libro “Anime baltiche” dello scrittore olandese Jan Brokken: «I territori di frontiera, le località miste, le città multietniche hanno purtroppo un tratto comune, qui sull’Adriatico, come sul Baltico o sul Mediterraneo orientale […]: chi vince prende il piatto. A prescindere da chi sia il vincitore. Anche nel lessico la vicenda è simile».
Alessandro Marzo Magno parla delle città “che hanno più nomi, nelle diverse lingue che vi sono – o vi sono state – parlate”. E cita tra le altre Trieste “italianissima per i nazionalisti nostrani” ma che si chiama anche Trst in sloveno e Triest in tedesco o Gorizia/Gorica/Grz. E quanti italiani sanno che Caporetto, luogo così importante per la nostra storia, si trova in Slovenia e si chiama Kobarid (e anche Karfeit in tedesco)?
«Il punto è che ognuno di questi nomi ha la sia dignità e la sua storia, mentre i vari nazionalisti vogliono dimenticare il nome degli ‘altri’ ricorrendo soltanto al proprio», commenta Alessandro Marzo Magno.
Accade qualcosa di simile da noi ad ogni “Giorno del ricordo”: c’è chi vuole dimenticare gli altri che hanno vissuto e vivono sul confine orientale: dimenticare i loro nomi, le loro storie, le loro memorie. E’ un gioco pericoloso che in questo periodo in Italia piace a molti, ma è come giocare con il fuoco: prima o poi ci si scotta e magari si finisce per bruciare la casa intera.
* Giornalista di Radio Radicale. Editoriale ripreso da http://www.eastjournal.net/
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