"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Interdipendenze. Gli effetti sul clima della nostra insostenibilità, i processi di desertificazione in Africa e l'idea della Great Green Wall

La Great Green Wall

di Francesco Prezzi

(2 marzo 2019) Per inquadrare la grande questione delle trasformazioni dei luoghi in relazione al clima e al peso dell’ingerenza umana sull’ambiente, non è inutile risalire a contesti lontanissimi nel tempo.

In epoca protostorica, individuabile come fase delle gesta umane precedenti alla scoperta della scrittura, l’umanità aveva diretto rapporto con la natura fisica dei luoghi, il Sahara era verde, il ricambio tra piogge e periodi di secche non sbilanciava l’equilibrio naturale.

Di quell’epoca rimangono a testimonianza i disegni rupestri ritrovati dalle ricerche degli archeologi. In quell’ambiente si era evoluta la presenza e l’attività umana fino a giungere alla formazione di grandi città come Cartagine e con la conquista romana di Leptis Magna, entrate nella Storia con la grandezza delle loro gesta e dei loro monumenti. Erano dotate di un’enorme marineria per la quale servivano grandi risorse arboree. Ogni nave aveva bisogno di remi, ogni remo significava un intero albero abbattuto. Per ogni nave, serviva un piccolo bosco dei monti dell’Atlante dai quali provenivano anche gli elefanti con cui Annibale avrebbe attraversato la Spagna fino alle Alpi.

Da lì presero inizio la desertificazione del Sahel e l’inaridimento progressivo dell’Africa, dalla costa mediterranea al più profondo entroterra. Dal 1920 ad oggi il più grande deserto del mondo, il Sahara è cresciuto del 10% arrivando – come documentato dall’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo – «a coprire l’impressionante superficie di 8,6 milioni di chilometri quadrati. Nei mesi estivi l’estensione arriva addirittura al 16% in più rispetto ad un secolo fa»

I cambiamenti climatici, la scarsità di precipitazioni sono la causa di ulteriori desertificazioni e degrado dei territori, e generano condizioni di vita insopportabili per le popolazioni, specie nelle regioni settentrionali dell’Alto Niger dove il deserto minaccia le attività tradizionali di pastorizia e agricoltura. Questo fenomeno, intensificatosi progressivamente, ha raggiunto oggi proporzioni drammatiche: basti pensare che il lago Ciad, in meno di mezzo secolo, ha perso il 90% della superficie.

Per poter porre rimedio a tale deriva, l’Unione Africana si era prefissa di realizzare una Grande Muraglia Verde1 per il Sahara e il Sahel, una barriera di piantumazioni diffuse in tutta l’area che va dalla costa atlantica fino all’Etiopia.

La situazione descritta ha a che fare anche con le dinamiche dei disastrosi fenomeni climatici che si sono abbattuti nella notte del 29 ottobre 2018 nell’area Dolomitica e delle Alpi Carniche, riguardante le province di Trento, Belluno e Udine.

L’aumento della temperatura su scala globale genera un aumento dell’evaporazione delle masse d’acqua oceaniche, favorisce la formazione di tornado, di piogge intense, ecc. Si pensava che i processi di desertificazione seguissero un andamento lineare, secondo leggi deterministiche, ma Ilya Prigogine, fisico-chimico dell’Università di Bruxelles, premio Nobel del 1977, con la termodinamica dei sistemi aperti illustrò il problema dei sistemi lontani dall’equilibrio e parlò dell’attività costruttiva dell’entropia. I sistemi aperti naturali, lontani dall’equilibrio, tendono a fluttuare passando da freddi intensi a caldi improvvisi.

E' necessario studiare la dinamica degli avvenimenti accaduti nella notte del 29 ottobre con lo schianto di milioni di abeti rossi e di altre conifere. Un vento di scirocco con aria molto calda proveniente da sud ha schiacciato in basso il freddo vento di tramontana proveniente da nord. Normalmente, essendo le valli dolomitiche circondate da una corona di montagne che superano i tremila metri, i venti provenienti da nord trovano una barriera che impedisce devastazioni, se non localizzate in piccole zone. In questo caso la forza d’urto dovuta allo schiacciamento in basso a opera dello scirocco, ha convogliato l’aria nelle vie di minor resistenza (i passi) contribuendo a formare vortici. La bufera devastante si è così precipitata su boschi già provati da eccessi di piovosità concentrata in pochissime ore, dando il colpo di grazia a ettari di territorio boschivo.

Siamo infatti in una situazione in cui non avvengono fenomeni lineari, caratterizzata da sbalzi tra eccessi, con grandi fluttuazioni del clima causate da un modello di sviluppo insostenibile e dagli effetti proprio dalla desertificazione del Sahel. L’entropia prodotta dall’eccesso di calore si scarica attraverso fenomeni incontrollati, cui porre rimedio a posteriori risulta difficile e costoso.

Tali fenomeni sono destinati a ripetersi in altri contesti, come peraltro dimostra la nuova situazione di grave maltempo nel sud d’Italia, e in tempi sempre più ravvicinati.

Occorre muoversi a priori con logiche di prevenzione e di tutela dei territori, sia con pianificazione locale da parte delle Amministrazioni, sia con uno sguardo più generale che investe la nostra impronta ecologica. In questa cornice importante diviene anche il sostegno e il rilancio della Great Green Wall, un progetto in grado di proporre un'inversione di tendenza e di rendere quei territori di nuovo abitabili, creando cioè le condizioni per attenuare il fenomeno dei “migranti climatici” e offrendo alle popolazioni locali una nuova possibilità di futuro.

1 La Great Green Wall coinvolge direttamente 11 paesi subsahariani: Nigeria, Senegal, Niger, Mali, Burkina Faso, Mauritania, Chad, Sudan Gibuti, Eritrea ed Etiopia; a questi si aggiungono altri 9 paesi partner africani. È finanziata e sostenuta dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite; ha ottenuto l’appoggio dell’Unione Africana nel 2007 e ha incassato finanziamenti anche dalla COP21, la conferenza sul clima che si è tenuta a Parigi nel 2015.

 

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