"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
(31 ottobre 2019) E’ un dato di fatto. Le elezioni che indicheranno il prossimo Sindaco di Trento si avvicinano senza la vitalità che ci si aspetterebbe da una scadenza così importante. Certo per fragilità dei partiti, ma parallelamente per il colpevole immobilismo della società civile trentina. Alla città servirebbe una scossa che liberi energie, incrini consuetudini, predisponga spazi. Servirebbe ricercare l’inedito più che affidarsi al conosciuto, al già visto. Non è un’invocazione al cambiamento per il cambiamento, ma la richiesta di interpretare adeguatamente l’urgenza di ri-definire il ruolo della Politica e con essa dell’essere Comunità.
Non volendo dare vita – per mancanza di spazio, necessità e probabilmente capacità – all’ennesimo soggetto politico che rivendica la propria carica innovativa e assoluta indispensabilità vale la pena fare i conti con la realtà. Perché il tempo stringe e – di settimana decisiva in settimana decisiva – arriverà il momento in cui ognuno sarà tenuto, se non per coraggio almeno perché costretto, a spiegare quale sarà la geografia politica che ci accompagnerà fino a maggio 2020 e quali saranno gli obiettivi che, in una proiezione temporale speriamo più lunga e ambiziosa, ci si vorrà dare per il governo della città capoluogo di Provincia e, contestualmente, del territorio che la circonda. Ci sveglieremo una mattina con il nome (a mio modo di vedere non decisivo, almeno in prima battuta) del candidato Sindaco e con la definizione dei contorni della sarà coalizione di centro-sinistra.
In attesa serve quindi praticare il pensiero laterale, lì dove la via maestra risulti ostruita. Non è un caso che negli ultimi giorni abbia letto con interesse un vecchio articolo di Giancarlo Sciascia, un editoriale di Mauro Magatti, un pensiero di Michele Kettmajer e l’ultima pubblicazione di Riccardo Mazzeo, trovando in essi più di un punto di contatto. A sperimentare l’idea di una Politica P2P (inclusiva e dialogica, aumentata e abilitante) ci invitava il primo, fin dal 2013. In tempi non sospetti.
A rimettere al centro dell’azione politica la persona – per dare vita a una socialità capillare e quotidiana, contro l’individualismo di questo tempo – guarda il secondo, anche lui non da oggi. E se Michele Kettmajer tenta di approfondire il rapporto tra passato, presente e futuro in nome di una più consapevole predisposizione a un Avvento che dobbiamo impegnarci a praticare giorno per giorno, nella pubblicazione di Mazzeo si va alla ricerca delle tecniche del rammendo delle nostre esistenze sfrangiate, tanto individuali quanto collettive. Una serie di spunti che descrivono l’impegno del farsi artigiani rammendatori, pazienti tessitori di alleanze, federatori per la coesione sociale. Tenere insieme quindi. Ridare forma al vortex temporum dentro il quale troviamo a stento l’equilibrio. Chi vuole occuparsi di Politica (e di base della vita concreta su questo Pianeta, in questa epoca) dovrebbe avere chiara questa missione ricompositiva, agendo di conseguenza.
Qualche giorno fa una piccola esperienza è stata per me illuminante da questo punto di vista. Per chi non li conoscesse i Kapla sono barrette in legno lunghe 11,7 cm, larghe 2,34 e spesse 0,78. Inventati nel 1987 in Olanda abituano alla costruzione senza l’aiuto di incastri e l’uso di colle. Solo gravità e attrito a garantire connessioni stabili, capacità di reagire agli errori e alle imperfezioni. La perfetta metafora di ciò che dovrebbe essere una comunità vitale, ecosistema creativo pronta a mettere a valore le specificità di ognuno (mattoncino su mattoncino…) e polifonia curativa capace di farsi carico di eventuali difficoltà o tensioni all’interno del proprio tessuto connettivo. Ho visto un gruppo di cinque bambine tra i sette e i dieci anni costruire spalla a spalla un’ardita architettura circolare. Quattordici piani snelli e leggeri, eppure stabili. Una sorta di Colosseo. Tutto attorno decine di opere simili che durante la giornata altri giovanissimi hanno realizzato, muovendosi con abilità grazie a un linguaggio condiviso e alla sperimentazione di una crescente autonomia rispetto agli adulti presenti, “incaricati” di offrire loro uno spunto – le fondamenta, il livello 0, il linguaggio di cui prima accennavo – da cui lasciar muovere l’abilità dei giovani costruttori.
Questo è il metodo che una Politica moderna e coraggiosa dovrebbe mettere in campo, dentro una campagna elettorale che deve emozionare, per innescare una pratica partecipativa che accenda il desiderio di guardare all’unisono con gli occhi del futuro. Abilitare, come condizione fondamentale per prendere parte. Dialogare per conoscere e conoscersi. Immaginare per progettare e contribuire, cooperando. Per creare senso comune e terreni condivisi di azione. Fare Politica, per dare coralità alle tante sfumature che ci compongono.
Come adattare il modello Kapla alla città di Trento e a un programma politico per essa? Cinque grandi pilastri, le fondamenta su cui edificare i prossimi trenta anni della città: Ambiente, Luoghi e Territori. Persone, Comunità e Cittadinanze. Economie, Generatività e Cura. Culture, Ibridazione e Futuri. Per ognuno, su linee guida e cornici generali – ma non generiche – vanno innestati, grazie all’intervento di mille mani sapienti, gli interventi particolari necessari all’amministrazione minuta di una città laboratorio che si riconosce comunità politica.
da https://pontidivista.wordpress.com
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