"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Dal Corriere del Trentino di ieri 3 gennaio 2020 un commento di Simone Casalini sull'approssimarsi delle elezioni comunali a Trento.
di Simone Casalini
Alla vigilia del 3 maggio, quando apriranno le urne per le elezioni comunali, saranno venticinque anni di governo di centrosinistra della città di Trento, trenta se si considera che Lorenzo Dellai — padre del moderno centrosinistra trentino — venne eletto sindaco nel 1990 all’età di 30 anni con una coalizione che comprendeva Democrazia cristiana, Partito socialista e Verdi (per la prima volta al governo con due assessori). Era l’epifania di un nuovo ciclo storico che si sarebbe poi trasferito in Provincia e che rappresentò anche la risposta politica a Tangentopoli e al bisogno di un rinnovamento, presto incarnato nell’area popolare e post-democristiana dalla Margherita.
Se Adriano Goio (1983-90) era stato il sindaco che aveva restituito lustro ad un centro storico in decadenza, l’epoca del centrosinistra è stata contrassegnata dal tentativo di incidere sulle caratteristiche urbanistiche — la sutura delle due città divise dal fiume (Piedicastello), il ripensamento delle aree post-industriali (con esiti alterni), i nuovi spazi dell’università, la prospettiva (utopia?) del boulevard dell’architetto catalano Busquets con l’interramento della ferrovia — ritematizzando l’identità del capoluogo con una serie di sguardi da fuori (il citato Busquets, Renzo Piano, Mario Botta e Vittorio Gregotti) che talvolta hanno generato progetti poi archiviati (la biblioteca di Botta in piazzale Sanseverino, la riqualificazione di Trento nord di Gregotti).
Questa stagione appare conclusa. Ha terminato in modo naturale il suo percorso, non senza tradire segnali di affaticamento negli ultimi anni che uniti all’affermazione del centrodestra alle elezioni legislative e provinciali del 2018 hanno animato un dibattito su quale fosse la prospettiva. Il crinale è delicato perché chi rappresenterà il centrosinistra (con o senza Patt) dovrà storicizzare questa lunga stagione e intuire le profonde faglie del cambiamento se vorrà mantenere il governo della città e il ruolo di contraltare della Provincia. Significa ricostituire essenzialmente anche un campo nuovo di relazioni, di prassi e di ascolto e ripensare la rappresentanza/cittadinanza in senso plurale. L’altra matrice sono i cambiamenti climatici che impongono di immaginare subito la Trento del 2050 con una nuova idea di mobilità (senza compromessi), di sostenibilità, di convivenza, di abitudini e persino di urbanistica.
Che questa fosse la prospettiva — almeno sul piano del ragionamento politico — è emerso nel confronto di questi mesi quando i partiti e movimenti del centrosinistra hanno condiviso l’opportunità di aprirsi ad un nome della società civile dopo tre passaggi di testimone (Dellai-Pacher-Andreatta). Sono emerse così le candidature di Franco Ianeselli, segretario provinciale della Cgil, di Barbara Poggio, pro-rettrice alle politiche di equità e diversità, e di altre figure impegnate sui fronti della giustizia e dei diritti degli ultimi (come l’avvocato Andrea de Bertolini) e dell’architettura (Alessandro Franceschini) che in un periodo di profondo appannamento a tutte le latitudini della proposta di sinistra sono sembrate un segnale di un nuovo protagonismo. Anzi, forse si sarebbe dovuto — e si dovrebbe — alimentare un progetto in cui tutte queste disponibilità vengano valorizzate e costituiscano la base di una nuova classe dirigente in grado di allargare lo spazio dell’azione politica per proiettarsi in una stagione del Comune e della politica totalmente differente.
Nell’ultima riunione del tavolo provinciale, il 23 dicembre, però, è accaduto un fatto nuovo. La sentenza sul ciclo concluso è stata sospesa in attesa di verificare se la «ditta» (un concetto che subentra nel lungo periodo) possa ancora scrivere un nuovo capitolo e se magari questo possa coincidere con un ritorno al tavolo degli Autonomisti. La proposta è stata avanzata da Giorgio Tonini, capogruppo provinciale del Pd, con il sostegno (o l’ispirazione) dietro le quinte di Lorenzo Dellai — entrambi sconfitti da Maurizio Fugatti nel 2018 — e rimandando il nuovo confronto al 13 gennaio ha decelerato e intorbidito il percorso di definizione del post-Andreatta. L’ipotesi della continuità — come proposta conclusiva o distrattiva per aprire una nuova mediazione su nomi terzi — conduce a Marco Merler, già assessore nella seconda giunta comunale guidata da Dellai, e poi amministratore delegato di Dolomiti Energia. Merler è il manager pubblico a livello comunale più retribuito e forse questo stride con le coordinate di rottura richieste dal tempo e dalle esigenze espresse dall’elettorato. Ianeselli, in odore di nomination, si è ritrovato indebolito (ma non scalzato) dal partito (Pd) che più convintamente ne sosteneva la scelta e che ora si ripropone come elemento di destabilizzazione dell’alleanza. Ma nello stesso tempo il possibile cambio di scenario ha fatto sobbalzare chi, nelle giunte di centrosinistra (presente e passate), aveva accettato la riflessione sul nuovo ciclo, archiviando le proprie ambizioni. Così potrebbe tornare tutto in gioco.
Questo tatticismo è in contrasto anche con l’esigenza che avrà il candidato sindaco di avere un tempo congruo a disposizione per entrare in relazione con la città, proporre le sue priorità, costruire la coalizione e innovare la rappresentanza anche attraverso liste non partitiche (a maggior ragione se non ci sarà il Patt). Una nuova visione radicale del capoluogo che sappia contrastare l’avanzata della Lega che non accetta mediazioni (su immigrati, Itea, Medicina), che dissemina il suo percorso di conflitti istituzionali (università, Cassa centrale) segnando una discontinuità di sistema che raccoglie consenso. La chiusura del ciclo comunale segue la cesura storica già anticipata nel Paese e in Provincia che ha introdotto una diversa semantica politica e una trasformazione del sociale e delle sue espressioni di voto. La sfida, su cui il centrosinistra rischia di arrivare tardi, è costituire un nuovo modello competitivo. Si può partire solo dal futuro.
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