"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
"Il monito della ninfea" è il libro di un realismo che evita l'ideologia e si affida alla verità dei dati per dire quanto sia urgente affermare una cultura del limite per frenare la corsa verso il baratro ambientale. Lo hanno scritto Michele Nardelli e Diago Cason ripercorrendo i luoghi del drammatico shangai degli alberi nell'area dolomitica. Ma non è un viaggio tra alberi spariti. E' un viaggio nel mondo che si gioca il futuro.
di Carmine Ragozzino *
(24 febbraio 2020) Da Cassandra in poi – ma forse anche prima - la storia del mondo è una storia di allarmi ignorati, bistrattati, maltrattati, confutati. È una storia di lacrime. Sempre postume. Di coccodrillo. Il pianeta è un gambero: grande quanto tutti i continenti. Prima il pianeta andava all’indietro. A passo lento. Adesso, oggi, corre. E corre verso il baratro.
E chi s’azzarda, caparbio, a mettere in guardia? Deve fuggire la “sindrome di Cassandra”. Per Wikipedia è “la condizione di chi formula previsioni pessimistiche ma è convinto di non poter fare nulla per evitare che si realizzino”.
Michele Nardelli e Diego Cason - due storie parallele di intrecci ideali tra Veneto e Trentino, un’identica sensibilità che sarebbe riduttivo definire “solo” ambientale – schivano la “sindrome di Cassandra”. Lo fanno nel loro “Il monito della ninfea, Vaia, la montagna, il limite”.
Il loro è un libro – documento. Pagina dopo pagina inquieta un po’ di più: cruda verità dell’incontrovertibile. I dati prima delle considerazioni, ma nemmeno un dato senza una considerazione. “Il monito della ninfea” è un libro che parte da “Vaia”. Parte dallo “shangai” degli alberi abbattuti a milioni quel 29 ottobre 2018: boschi ridotti a nulla, il paesaggio di due regioni sconvolto e stravolto. La sicumera – pubblica e privata - costretta ad una lezione di precarietà. Non si sa come e quanto possa essere servita.
Ma il libro di Nardelli e Cason non è solo un libro su Vaia. Descrive il disastro, certo che lo descrive. Lo fa ripercorrendo i luoghi con lucidità, con amarezza e con passione. È un viaggio, però, che bada ad evitare i fuorvianti fronzoli dell’ideologia senza tuttavia negarsi il bisogno di un obiettivo chiaro: la proposta di un limite. Del limite. Per l’ambiente siamo già oltre l’invalicabile ma non è eretico immaginare una “visione” che rimetta in sintonia l’essere umano e la natura.
“Il monito della ninfea” guarda dentro il disastro di legno e radici. Per guardare oltre. Guarda indietro. Guarda a quando la natura era sì matrigna (perché è nella sua natura) ma forse meno propensa a ribellarsi: chi l’abitava ne rispettava un po’ di più le regole, ne accettava un po’ di più le dinamiche. Ma il libro di Nardelli e Cason guarda soprattutto avanti. Denuncia non una ma mille fragilità di questo vivere sballato. Il vivere dove si “passa da un’emergenza all’altra, senza mai imparare”.
Si può denunciare enunciando principii: alti, vaghi, vuoti e salva coscienza. Si può però denunciare – l’effetto è maggiore, migliore – attraverso l’analisi oggettiva dei fatti.
Nardelli e Cason dunque raccontano – fatti e numeri alla mano – di geografia e di economia, di passato e di presente, di crescita e di decrescita, di scienza e di abbandono, di cultura e di incultura. Sì, perché il viaggio dentro la devastazione di Vaia non può non richiamare la complessità di un progresso che regredisce anche quando sembra incedere verso inimmaginabili “sorti progressive”, verso traguardi sempre più ambiziosi di scienza, tecnica e portafoglio.
Il mondo va veloce e l’anidride carbonica lo avvelena con una produzione esponenziale. L’urbanizzazione spinta è la spinta dello squilibrio demografico verso punti di non ritorno. Il clima si arroventa. L’acqua potabile diminuisce. I rifiuti esplodono. La ricchezza è ineguale. La mobilità è inarrestabile. Le migrazioni a cui assistiamo sono nulla di fronte all’umanità in movimento che scapperà da tutto il peggio che lo “squilibrio planetario” determinerà.
Sono titoli. Ma per ogni titolo parlano numeri che rendono ridicola, ipocrita e infame ogni contestazione strumentale e interessata. Epperò si alimenta ogni giorno di potere e protervia la “direzione ostinata e contraria al cambiamento”, al ripensamento di quello che ancora si può, finalmente, ripensare. L’Antartide è una sauna. l’Australia è un incendio. Venezia affoga? Chissenefrega. Ai posteri, se mai ci saranno i posteri.
In questo quadro più fosco e più disperato dell’Urlo di Munch la tempesta di Vaia è stata tutto meno che un caso. Non sarà un caso isolato.
Il paesaggio dolomitico – dicono i due viaggiatori-scrittori – è il prodotto di un rapporto falsato, inquinato, deviato, tra uomo e montagna. Tra comunità e territorio. Il bosco aggredito (turismo, sfruttamento, guadagno). Il bosco ridotto ad un terzo. Il bosco abbandonato da pascoli e prati. Il bosco indebolito. Ecco Vaia. Un indebolimento che ha molte e molte cause: economiche, politiche e culturali. “La montagna è diventata una merce asservita alle ragioni del consumatore. Le Dolomiti restano estranee ad una percezione che non sia addomesticata alle visioni urbane che le accomuna ad un uniforme stereotipo”.
“Il monito della ninfea” è l’ossigeno di un realismo che pagina dopo pagina toglie ossigeno ai negazionisti dell’emergenza ambientale. Ma il libro, il lavoro di Nardelli e Cason, non si nega la fatica vitale di un po’ d’ottimismo. “Le storie di luoghi che cercano di rinascere” – l’ultima parte del libro editato dalla nuova casa editrice diretta da Stefano Albergoni, (Al limite) – rilanciano l’agire comunitario. Esaltano i tentativi di tessuti sociali ancora in grado di reagire e dettare nuove strade. È l’omaggio, la promozione, di tante piccole grandi esperienze nate nei territori di Vaia. Territori a scavalco tra Trentino e Veneto. Territori che sanno integrarsi nella fantasia di una “visione” praticabile. La banca del legno di risonanza in Fiemme, la Casa Armonica di Val Visdende, la Fondazione Angelini del Bellunese, il Tagliere solidale del Friuli, le Foreste in scena con le Troiane di Euripide, Legnolandia sulle spiagge, la Lettera al Prossimo di Eugenio in via di Gioia e molto, molto altro.
Esperienze creative ispirate alla sobrietà e orgoglio. Esperienze pilota. Esperienze che della consapevolezza del “limite” fanno insieme tesoro e testamento verso le nuove generazioni. A loro è dovuto un risarcimento. A loro è dovuta la “sostenibilità” come antidoto all’autodistruzione. Ragionarci, anche a partire dal “monito della ninfea” non è tempo perso.
* Questa recensione è tratta dal sito www.ildolomiti.it
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