"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
La portata di quanto sta accadendo è tale che le nostre piccole cose assumono un significato del tutto relativo. Eppure vivo con sofferenza l'aver dovuto sospendere le presentazioni del libro “Il monito della ninfea” previste nel mese di marzo e, prevedibilmente, anche nel mese di aprile, quand'anche siano ancora, almeno per scaramanzia, segnate a matita nella mia agenda.
Perché sarebbero state una buona occasione per parlare non solo della tempesta che nell'ottobre del 2018 ha spazzato via 42.535 ettari di bosco e di foreste dolomitiche ma di quel che accade intorno a noi, dell'insorgere di una peste moderna che, come per il surriscaldamento del pianeta, il cambiamento climatico, lo sciogliersi dei ghiacci, la frequenza degli eventi estremi, l'invasione delle locuste, è l'esito della nostra insostenibilità. E per connettere gli avvenimenti.
«Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi» scriveva tanto profeticamente quanto inascoltato Walter Benjamin nel suo commento all'Angelus Novus di Paul Klee. Era il 1921, la prima guerra mondiale aveva cosparso di morte il pianeta ma il peggio doveva ancora arrivare. Vedeva la tempesta, «quel che chiamiamo il progresso»*.
Nel “Monito della ninfea” parliamo proprio della catena di eventi del nostro tempo, delle crisi scambiate per emergenze, delle fonti di inquietudine che lo attraversano: della crescita della produzione di anidride carbonica e degli altri gas climalteranti, dell'aumento delle temperature e del susseguirsi di eventi estremi, della scarsità di terre abitabili e di acqua potabile, della desertificazione e del land grabbing, della crescita demografica mondiale e delle forme di abbandono della montagna e della campagna che originano l'insorgere delle megalopoli, della plastica e dei rifiuti che soffocano il pianeta, dell'aumento della mobilità e delle migrazioni, della distribuzione diseguale della ricchezza... una catena di eventi o una sola catastrofe?
Pensiamo forse che l'insorgere di nuove patologie sia estraneo a tutto questo? Che la vita in agglomerati urbani di decine di milioni di persone in assenza di adeguate strutture di servizio e di controllo della salute pubblica non abbia nulla a che fare con le mutazioni virali? Che il peso epidemiologico dell'inquinamento (PM 10 e PM 2,5) nella diffusione delle malattie polmonari e delle allergie non centri nulla?
Ben poche sono le voci che s'interrogano sulla natura di quel che accade, come se ognuno di questi eventi fosse a sé stante oppure una maledizione caduta dal cielo. Non era così per la peste che nel tardo Medio Evo fece morire un terzo della popolazione europea, per l'epidemia spagnola che all'inizio del secolo scorso fece cinquanta milioni di morti, per le guerre che hanno decimato il Novecento. Eppure poco o nulla si riflette su un modello fondato sulla crescita senza limiti che ha portato il pianeta nel territorio dell'insostenibilità. E men che meno indagare sulla fede al di fuori della quale si è condannati all'esclusione di ogni agire pubblico, il progresso.
Ora, di fronte al dilagare della pandemia Covid-19, il problema è ovviamente come uscirne, tutta l'attenzione è sull'emergenza che ha trasformato la vita e la morte in numeri impersonali, peraltro inquietanti. Ma non mi sento di far parte del coro del “tutto andrà bene”, non canterò l'inno di Mameli, non c'è di che essere orgogliosi se abbiamo reso incerto il futuro delle generazioni a venire. Perché quando ne usciremo, se non ci saremo interrogati sulla natura degli eventi, tutto rientrerà nella normalità, noncuranti se quella normalità, nella sua insostenibilità, sia la causa del problema.
Tanto che sin d'ora il tema che desta la maggior preoccupazione è il rilancio dell'economia e della crescita. Intanto il castello di carte finanziario che – malgrado la crisi del 2008 – è rimasto intonso e dove sono ancora i titoli derivati a scandire il ritmo delle borse, sta già inghiottendo risorse imponenti, numeri virtuali che lasceranno sulla strada vite reali.
E, prima ancora di uscire dalla crisi del coronavirus, già si profilano altri scenari non certo incoraggianti. Già ora sappiamo che l'autunno e l'inverno sono stati avari di precipitazioni e che i bacini idrografici, così come gli invasi, sono nettamente al di sotto del fabbisogno di acqua per l'agricoltura e non solo. I mesi di gennaio e di febbraio 2020 sono stati i più caldi mai registrati per il continente europeo da quando si effettuano rilevazioni attendibili. Tanto è vero che le autorità di bacino del Po (ecosistema che investe il 35% delle produzioni agricole italiane e il 55% di quelle zootecniche) sono da tempo in allerta per i livelli idrometrici nelle stazioni di controllo e prospettano razionamenti. E' facile prevedere che, se le tendenze degli anni precedenti saranno confermate, ci troveremo a breve di fronte ad una forte crisi nell'agricoltura ma anche nella produzione idroelettrica. Come saranno i mesi a venire? Ci difenderanno i condizionatori, che peraltro sono parte del problema? C'è da chiedersi che cosa accadrà se crisi agroalimentare e crisi energetica si dovessero intrecciare con quella sanitaria. E poi...
Se fossimo delle Cassandre ci potremmo sbizzarrire su come l'emergenza cambia la vita sociale, culturale e democratica. Temo il frastuono delle padelle, gli eroi, gli inni e l'orgoglio delle nazioni. Credo nella responsabilità e nella solidarietà, verso la quale non serve la retorica di chi se ne accorge solo nel momento del bisogno.
Proviamo invece ad allargare lo sguardo sul nostro tempo, comprendere le connessioni, considerare quel che accade lontano da casa nostra come qualcosa che non solo ci riguarda ma che nell'interdipendenza è casa nostra, che si tratti dell'invasione delle locuste o dello scioglimento dei ghiacci dell'Artico. Questo era l'intento de “Il monito della ninfea”, un modo per leggere questo nostro tempo e per immaginare un cambiamento dei nostri paradigmi.
Più urgente che mai.
PS. Ora che le presentazioni sono spostate nel tempo e che le librerie sono chiuse, lo potete ordinare online su https://www.bertellieditori.it/ In ogni caso stiamo attrezzandoci per fare anche delle presentazioni attraverso zoom, servizio di teleconferenza che in queste giorni permette di realizzare discussioni collettive. Ma saremo più precisi nei prossimi giorni.
* «C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta». Walter Benjamin
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