"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Se n’è andato alla soglia della sua 87esima vendemmia. Un cultore della tradizione, viticola anzitutto. Curava i suoi vigneti con ritmi ancestrali, usando legare le viti con le ‘strope’, per rispettare l’habitat, per non disperdere la gestualità rurale e pure per non inquinare con qualche legaccio sintetico
di Nereo Pederzolli *
Ha raggiunto la quota suprema. Quella riservata agli angeli. Giulio Poli, patriarca tra i Mastri Distillatori del Trentino è salito lassù, tra quegli spiriti alcolici che evocano l’ebbrezza, gioia effimera, ma anche lungimiranza e devozione.
Ha lasciato alla sua famiglia, il figlio Mauro al comando, gestire la loro micro quanto suggestiva distilleria, nel cuore del borgo grappistico per eccellenza. Quella “Piccola Nizza de Trent” rinomata già ai tempi del Concilio, ameno enclave tra Castel Toblino, l’omonimo lago e le montagne che guardano la Paganella. Borgata alchemica per eccellenza. Dove il peccato “alto grado” dei contadini senza speranza è condiviso anzitutto da ben cinque distillerie, tutti con Poli nel nome. Una rarità, un modo d’interpretare l’evoluzione della vite e dimostrare l’autorevolezza distillatoria tra le Dolomiti, e non solo.
Perché il “lambicar”, anche in Valle dei Laghi, ha un duplice importante significato: fatica e sollievo, caparbietà e lungimiranza. Che i Poli, a Santa Massenza, hanno sempre interpretato al meglio. Giulio e Mauro hanno avuto – e continuano a farlo – pure l’intuizione di abbinare la grappa all’arte. Con una micro produzione di Schiava, un cru voluto da un loro stretto parente, Pierguido Poli, imprenditore nel settore dell’impiantistica elettrica. Che ogni anno, inizio luglio, riunisce “dal Giulio” un variegato convivio artistico, sotto la direzione di Mauro Cappelletti, l’artista sospeso tra il neo astrattismo, l’informale cromatismo e una spazialità essenziale davvero a tutto campo. Con tensioni cromatiche pienamente in sintonia con quegli stimoli eno/grappistici. Con “el Giulio” che dispensa pillole di saggezza, aneddoti e tanti sorsi di sapere che ogni anno suscitano curiosità tra gli artisti che giungono “in caveva”, per una goduriosa mangiata e altrettante dissertazioni pittoriche.
Giulio Poli se n’è andato alla soglia della sua 87esima vendemmia. Un cultore della tradizione, viticola anzitutto. Curava i suoi vigneti con ritmi ancestrali, usando legare le viti con le “strope”, per rispettare l’habitat, per non disperdere la gestualità rurale e pure per non inquinare con qualche legaccio sintetico. Era contro lo spreco. In tutto. Del resto distillare è anche sinonimo di pacatezza e sfida al futuro. Recuperava il suo passato, dove la tradizione è slancio per tradire tutto quello che non vale la pena conservare, custodire. Il suo alambicco e i marchingegni in rame, il piccolo duomo sopra le serpentine, sono archetipi di una artigianalità davvero a rischio d’estinzione. Che “el Giulio” conservava, tramandandole.
Che gli spiriti ti siano soavi. Lassù, tra la quota degli angeli. Quella che i mastri distillatori riservano ai fumi carichi di sentori (e sentimento) che s’innalzano al cielo.
* da www.ildolomiti.it
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