"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (102)
di Michele Nardelli
(24 aprile 2020) Che cosa significa allentare il confinamento (lockdown) mentre ancora la pandemia miete ogni giorno solo in Italia centinaia di vittime? Ho dei cattivi presagi, peraltro confermati dallo studio pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista «Nature Medicine» dall’Università di Trento in collaborazione con l’Università e il Policlinico San Matteo di Pavia, l’Università di Udine, il Politecnico di Milano e l’Istituto di elettronica e di ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni (Ieiit) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). «Pensare di allentarlo ora sarebbe impossibile senza mettere in conto delle conseguenze disastrose» afferma all'Ansa Giulia Giordano, prima autrice dello studio e ricercatrice del dipartimento di ingegneria industriale all’Università di Trento.
Perché dunque tanta fretta di allentare le misure di restrizione che hanno sin qui – malgrado il ritardo iniziale – avuto l'effetto di contenere gli effetti del Covid 19, rischiando di rendere vano quel che sin qui è stato fatto?
Sin dal primo diffondersi del virus, nell'incapacità di comprenderne le caratteristiche e nella difficoltà di trovare un antidoto, le risposte messe in campo sul piano globale sono state sostanzialmente due:
- quella del distanziamento, fermando (quasi) tutte le attività che non fossero indispensabili, impedendo la circolazione delle persone sia sul piano internazionale che su quello nazionale e regionale; scelta assunta a fatica e spesso in maniera contraddittoria (si pensi al blocco dei voli da e per la Cina, senza fermare per quanto riguarda l'Italia le triangolazioni da altri paesi);
- quella dell'immunità di gregge ovvero l'idea che l'unico modo di fermare il virus fosse nel suo diffondersi e nella maturazione di un'immunità diffusa, mettendo in conto una quantità significativa di infezioni e di morti.
La prima opzione è stata quella adottata sin dal primo momento in Cina, in Italia e in altri paesi europei, anche se in forme più o meno rigorose. E più o meno responsabili, se pensiamo che quasi un terzo dei decessi nel nostro paese sono avvenuti nelle RSA perché la terapia intensiva non era disponibile per tutti i contagiati (grazie al taglio dei finanziamenti e alle politiche di privatizzazione), decidendo chi dovesse sopravvivere e trasferendo “gli scarti” nelle strutture per anziani.
La seconda è quella che sin dal primo momento avevano sostenuto i leader sovranisti, da Trump a Johnson, da Putin a Bolsonaro (ma anche i loro epigoni nostrani). Alcuni dei quali – di fronte all'esito catastrofico sul piano delle conseguenze in termini di contagi e di morti e di fronte all'insorgere delle loro opinioni pubbliche – successivamente si sono ricreduti (le conseguenze di questo atteggiamento le possiamo vedere negli Usa e nel Regno Unito). Altri invece (Russia e Brasile) nascondendo semplicemente il problema e ora allestendo fosse comuni che si vorrebbero segretare.
Poi è iniziata l'offensiva del sistema, l'onda di un modello di sviluppo che si autodifende: “l'economia non si può fermare”, si dice, “oltre al coronavirus moriremo pure di fame” si insiste... anche il lavoro nero – che coinvolge almeno 3,7 milioni di lavoratori (il 4,5% del PIL) – viene legittimato come parte di una “normalità” desiderabile e così via. Il crollo del PIL, quello del prezzo del petrolio, seguito a ruota dai mercati finanziari (la cui bolla può scoppiare da un momento all'altro) sembra spaventare molto di più del Covid 19, perché questa è l'impalcatura su cui si regge questo modello di sviluppo che di fronte all'impoverimento di quote crescenti di popolazione preferisce gettare i prodotti agroalimentari invenduti.
L'opzione “lockdown” richiede infatti almeno tre condizioni fondamentali: il rispetto delle disposizioni di confinamento, il dirottamento di ingenti risorse pubbliche verso forme di welfare e di sostegno pubblico al lavoro e alle imprese che rispettano le regole, infine, tempi lunghi di confinamento nei quali ridurre gli effetti in attesa dell'antivirus. Tutte cose che il neoliberismo non ama: perché magari la quarantena aiuta le persone ad adottare stili di vita più sobri, perché al welfare è proprio allergico, perché la ricerca o è funzionale al profitto (e all'industria bellica) oppure la si affida al buon cuore (Telethon e affini).
A questo si deve aggiungere il fatto che gli individui, ormai ridotti a consumatori seriali (per lo più di cazzate), non ne possono più della quarantena. Lo vediamo in questi giorni, dove già si allenta il distanziamento proiettando il proprio desiderio di normalità nel convincimento che ormai il peggio sia passato. L'allentamento, diciamo così, ha una sua forte base sociale. Richiamo irresistibile per una politica piegata alla ricerca di consenso.
Spero di sbagliarmi ma ho la sensazione che l'opzione immunità di gregge cominci a riprendere quota di fatto, senza dichiararlo (e forse senza nemmeno volerlo): “dovremo ritornare alla normalità convivendo con il virus” è l'argomento usato in questi giorni. Il cinismo di un modello di sviluppo che non può fermarsi. Il virus corona e il virus normalità (che ne è all'origine e di cui ho scritto nella puntata precedente http://michelenardelli.it/commenti.php?id=4445 di questa rubrica) si riconoscono.
Delle cause profonde di quel che accade (non solo il Covid 19, o forse pensiamo che gli effetti del cambiamento climatico come l'invasione delle locuste, la desertificazione crescente, lo scioglimento dei ghiacciai, i tornadi... siano svaniti?), delle richieste dei giovani di Friday for future, delle raccomandazioni degli scienziati dell'ONU, delle esortazioni dell'enciclica Laudato sì proprio non se ne parla, proprio non vogliamo parlarne, insieme vittime e carnefici di questo “progresso scorsoio”1.
Usciamone con calma, facendocene carico ciascuno per quello che può (compresa la patrimoniale), estendendo i contratti di solidarietà ridistribuendo oltre che la ricchezza anche il lavoro (lavorare meno, lavorare tutti dicevamo già quarant'anni fa), riconsiderando i nostri consumi e stili di vita, tagliando le spese militari e le grandi opere inutili e costose. Con un progetto politico europeo profondamente rinnovato, scevro da sovranismi. Serve un'altra rotta, fare meglio con meno.
PS. Lo Stato del Missouri (USA) intenta una causa miliardaria contro la Cina per aver taciuto sull'epidemia. Ci si accanisce sull'origine geografica del coronavirus, e questo a mio avviso è un vero e proprio meccanismo di distrazione di massa. Già a gennaio il focolaio era attivo negli Stati Uniti e non solo. Lo dico perché parlando con diversi amici, in Trentino come in varie parti del mondo, sento continue testimonianze circa la diffusione di “una strana e cattiva polmonite” nel corso del 2019, ben prima dunque del febbraio 2020. Non fake news ma racconti diretti di persone strappate alla morte. Penso che il virus di cui parliamo abbia radici ben più profonde del mercato di Wuhan e che il tema del limite rappresenti il nodo cruciale se davvero vogliamo uscirne insieme.
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