"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«…resta pure sempre valido il monito espresso dall’immagine della ninfea che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che, il giorno che precede la copertura dell’intera superficie dello stagno la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato intimamente a credere all’imminenza della catastrofe.» Remo Bodei, Limite
di Roberto Burdese *
(28 maggio 2020) Ognuno di noi ha letto, nei mesi del lockdown, un gran numero di articoli e libri per cercare di comprendere questa pandemia: da dove viene, quali segni lascerà nelle nostre vite, come ne usciremo, che insegnamenti possiamo trarne.
In queste pagine digitali, nelle scorse settimane, vi abbiamo parlato di alcune di queste letture, cercando di metterle in relazione con l’esperienza di Slow Food, nel tentativo di comprendere meglio il cammino che ci attende, con l’auspicio di affrontarlo con il giusto atteggiamento. Io le pagine più utili a comprendere quanto ci è accaduto le ho lette poco prima del fatale 21 febbraio. Naturalmente quando mi sono capitate tra le mani non potevo immaginare che mi avrebbero guidato nella comprensione di quanto avremmo vissuto di lì a pochi giorni, tanto più che non parlano di virus influenzali. Ma andiamo per ordine.
Il monito della ninfea è un libro pubblicato a fine gennaio 2020: quando l’ho ricevuto, fresco di stampa, il virus sembrava circolare liberamente solo in Cina e pochi altri Paesi dell’estremo Oriente, mentre il resto del mondo si illudeva di poterne restare immune. Michele Nardelli, che lo ha scritto assieme al sociologo Diego Cason, è un Consigliere nazionale di Slow Food Italia con un ricchissimo curriculum nella politica delle istituzioni e in quella della società civile. Il libro mi era stato anticipato da Michele con alcune telefonate, nelle quali mi raccomandava di fargli avere le mie opinioni dopo la lettura, convinto che questa potesse contribuire alle riflessioni perennemente in corso in seno alla nostra associazione. Certo nemmeno Michele immaginava, in quel momento, cosa sarebbe capitato da lì a poco…
La tempesta Vaia
Vaia ce la siamo quasi dimenticata, eppure è l’evento di maggiore impatto sugli ecosistemi forestali mai avvenuto in Italia. Una tempesta che nella notte del 29 ottobre 2018 ha abbattuto 42.525 ettari di boschi delle nostre meravigliose Dolomiti, con venti che hanno raggiunto una forza assimilabile ad uragani di categoria 3, superando i 190 km/h e versando fino a 700 millimetri di pioggia in 3 giorni in alcune aree. Un’immensa tragedia che per fortuna non è stata anche un’ecatombe di vite, ma che non di meno ha segnato un territorio molto ampio e i suoi abitanti, lasciando cicatrici che non si rimargineranno del tutto nel ciclo di una vita.
Il libro di Cason e Nardelli prende le mosse da questo evento, che evidentemente tocca personalmente i due autori – che quei territori vivono e amano – ma non al punto da condizionarne la capacità, straordinariamente lucida, articolata ed esaustiva, di partire dall’analisi della tempesta Vaia per muoversi verso una riflessione che riguarda il futuro della montagna, del pianeta che abitiamo e in ultima analisi degli stessi uomini.
Capitolo 1: cronaca d un disastro
Il primo capitolo del libro è dedicato al racconto della tempesta, a quanto accaduto in quelle ore tremende e alla scia di distruzione che Vaia ha lasciato alle sue spalle. Se amate la montagna, se avete dedicato tempo della vostra vita a camminare in quota, a esplorare boschi, a godere l’incanto dei giganti di pietra, non potrete non provare dolore nel leggere quelle pagine. Persino quando si susseguono i numeri di un dettagliato resoconto sui metri cubi di legname abbattuto in ciascuna delle province toccate dalla tempesta, vi sembrerà di essere in quei luoghi, assieme agli autori, a misurare l’incommensurabile.
In parallelo, sin dalle prime righe del racconto e del riassunto numerico che lo sorregge, scorre una attenta analisi, quasi una dettagliata lista, degli errori e delle responsabilità. Dal modello di sviluppo che non pone alcun freno alle emissioni di gas climalteranti e subisce dunque la furia degli elementi naturali, al progetto economico e culturale che vuole la montagna come un «divertimentificio» allestito per il tempo libero dei cittadini, fino alla somma di errori nelle politiche nazionali, regionali e locali che consegnano il governo del territorio montano e dei suoi boschi a una immensa quantità di varianti, figlie di confini politici ed autonomie che la fisica dei territori non conosce e non rispetta.
La tempesta, il messaggero
Nei capitoli successivi vi troverete ad affrontare diversi generi letterari condensati in un solo libro: un piccolo saggio che invita guardare alla tempesta come a un messaggero (l’ennesimo, ma – ora sappiamo – non l’ultimo) che cerca di ammonire l’uomo sul destino che lo attende, come nella storia della ninfea che ispira il titolo del libro; il diario di un viaggio nelle terre colpite dalla tempesta, che svela alcuni personaggi e alcuni episodi attraverso i quali si possono tornare a leggere – e comprendere meglio – le pagine che avete appena lasciato alle vostre spalle.
Seguirete Cason e Nardelli quando spiccano il volo, lasciando le Dolomiti per allargare il proprio sguardo al pianeta intero, alla nostra terra madre ferita e affaticata. E ci saranno di nuovo i numeri, questa volta dei dati demografici e delle emissioni di CO2, della distribuzione della ricchezza e della produzione di rifiuti, e così via: tutti quanti analizzati con sintesi efficace e connessi tra loro per tracciare un quadro che forse a chi legge queste righe è già noto ma che tuttavia torna utile ripassare alla luce del racconto svolto nelle pagine precedenti.
Manca ancora un passo per arrivare in cima alla montagna della consapevolezza e lo si affronta nel quinto capitolo, che ci aiuta a comprendere meglio il rapporto tra la città e la montagna. Gli autori ci hanno avvertito sin dall’introduzione, quando ci hanno parlato di «comunità provate e oltremodo lasciate sole da istituzioni lontane, dove sono le città a governare la montagna». Si torna a parlare di Dolomiti e del rapporto con la pianura e le sue città nella storia e nella nostra epoca recente, fino al dopo Vaia. Ma chiunque potrà leggere analogie con molte altre montagne d’Italia e non solo.
Nel proseguire il proprio discorso, gli autori segnano ancora un altro cambio di passo nello stile narrativo, nell’ultima parte del libro, completando una visione che più esaustiva non poteva certo essere, in 240 pagine. Un’escursione nei miti e nelle leggende della natura e degli alberi nelle religioni e nelle diverse epoche storiche, un libero adattamento di un racconto tradizionale trentino, una carrellata di buone iniziative che segnano alcuni dei possibili sentieri da prendere se si vuole provare a cambiare strada.
Riflessioni per il mondo dopo l’epidemia
E così le riflessioni conclusive sussurrano parole che al mondo di Slow Food suonano famigliari:
«Vaia ci pone di fronte a due ordini di problemi, peraltro fra loro connessi. In primo luogo, la capacità di risposta da parte dei territori e delle comunità locali verso emergenze sempre più intense e frequenti. E, contestualmente, di prendere coscienza della necessità di ritornare sui propri passi, mettendo in discussione il modello di sviluppo che ci ha portati a questa deriva.»
Le pagine di questo libro, appena lette e ancora vive nella mia memoria, mi sono tornate in mente molte volte dall’inizio del lockdown. La tempesta Vaia diventa metafora dell’epidemia e le Dolomiti racchiudono l’interno pianeta. Nel racconto di Cason e Nardelli più volte si sottolinea come il giorno dopo la tempesta i montanari delle Dolomiti dovettero constatare che il mondo di prima non esisteva più. Esattamente come ci diciamo tutti quanti da oltre due mesi, riferendoci al post epidemia. Nella dimensione locale però è più facile comprendere la profondità delle ferite ed è anche più facile immaginare di poter ripartire su basi davvero nuove, per provare veramente a uscirne meglio.
Ecco perché la lettura di questo libro, adesso, è particolarmente preziosa: il dopo Covid-19 lo possiamo affrontare meglio se guardiamo alla nostra comunità e se all’interno di essa iniziamo ad agire il cambiamento, da subito! Non aspettiamo le scelte della politica, il cambio di rotta delle imprese, i miracoli della scienza e della tecnologia. Il più grande potere è nelle nostre scelte quotidiane.
Non andrà tutto bene se non sapremo governare il limite, se non cambieremo rotta, se non metteremo finalmente in discussione in maniera radicale il nostro stile di vita. Sappiamo già tutto dell’origine delle minacce più gravi che incombono sul nostro avvenire, delle possibili soluzioni, di dove andarle a trovare e di come attrezzarci per un cambio di vita. Adesso è il tempo di agire, adesso o mai più.
Mi raccomando: cominciate bene, ordinate una copia di questo libro alla libreria vicino a casa vostra e non fatevi tentare dall’ipermercato digitale!
* Roberto Burdese, coordinatore della comunicazione di Slow food - r.burdese@slowfood.it
IL MONITO DELLA NINFEA
Vaia, la montagna, il limite
Diego Cason e Michele Nardelli
Bertelli Editori, gennaio 2020
pp. 240€ 15
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