"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
“Si sta vicini per fare miracoli, / non per ripetere il mondo che già c’è. / Che già siamo”.
Questo il monito di Franco Arminio, poeta e paesologo, al termine del suo risveglio poetico nel Tempio Civico di Trento. Un modo diverso e prezioso di cominciare la giornata.
Fare insieme, per trasformare l’esistente. Questo è il compito della Politica, l’orizzonte di una comunità. Una comunità consapevole di essere artefice principale dell’elaborazione delle strategie che la tengono insieme e le permettono di desiderare il futuro.
Se tutti condividiamo il fatto che stiamo vivendo tempi straordinari – con il Covid19 a sparigliare ulteriormente le carte di un mazzo già impazzito – appare chiaro che il nostro agire dovrà possedere tratti inediti e spirito generativo. Non basta ripartire, se rimettendosi in moto non si mette in discussione il contesto precedente allo stop pandemico. Il sovrapporsi di tre crisi – sanitaria/ambientale, economico/sociale, politico/istituzionale – rende urgente cambiare i paradigmi che hanno retto fin qui la nostra società, proponendone di migliori.
Per farlo serve attivare capillarmente cittadini e cittadine restituendo spazi politici adeguati e moltiplicando le occasioni per mettere in relazione energie e competenze.
“La salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti” diceva Martin Luther King. Creatività, curiosità, passione unite a un certo tasso di inquietudine devono guidarci nell’uscita dalla tempesta in corso.
Come farlo? Conoscere. Coinvolgere. Connettere. Cooperare. Coprogettare. Costruire. Convivere.
Le città sono luoghi della biodiversità. In quest’ottica la partecipazione è chiave di lettura indispensabile per affrontare ogni tema. E’ il metodo – in prospettiva un’attitudine – per far sentire ognuno parte di un quadro più grande, di sintonizzare corpi e spirito, aspettative personali e visioni collettive.
E’ riformando e rafforzando le Circoscrizioni – non dimenticando le proposte fin qui emerse per armonizzare la vita di rioni e sobborghi – che vogliamo attivare le comunità e ricucire il tessuto sociale. Mettere al centro i quartieri significa distribuire funzioni – ascolto, proposta, co-progettazione e gestione di servizi – e competenze: cultura e commercio di prossimità, lavoro di cura e transizione ecologica. Per farlo servono volontà politica, il coinvolgimento di professionalità su cui investire con continuità e la pazienza di costruire le condizioni per un movimento cittadino in nome del Bene Comune.
Dobbiamo agire da vicino. Da vicino la città (con innesti di welfare comunitario) è più sicura perchè si occupa delle fragilità e delle paure, delle persone e dei loro bisogni primari. Ce lo conferma la disponibilità massiccia e puntiforme di centinaia di volontari e volontarie durante il recente lockdown, intervento che non dobbiamo ridurre a risposta emergenziale ma stabile e sistematico.
Da vicino (attraverso Piani Giovanili di Zona di nuova generazione e l’istituzione della figura del manager di territorio) la creatività e l’attivismo civico possono diventare la leva per scoprire vocazioni e intercettare innovazione culturale e sociale, fattori allo stesso tempo di ritrovata coesione e dinamismo imprenditoriale.
Da vicino le sfide planetarie per la difesa dell’ambiente diventano proposte concrete per una città a dimensione di cittadino. Ciclabilità e trasporto pubblico prendono il sopravvento sul traffico privato. La rigenerazione verde migliora la qualità dell’aria e della vita, rendendo più adattivo e resiliente il tessuto urbano. La costruzione di reti efficienti di distribuzione delle produzioni agricole locali (sincronizzando GAS, il progetto Nutrire Trento e i vari mercati contadini) rafforza l’ipotesi di una comunità orientata alla sostenibilità e alla cooperazione.
Da vicino le differenze spaventano meno. L’educazione alla cittadinanza globale non è un’ipotesi di studio ma pratica quotidiana di riconoscimento, ibridazione e aiuto. Quelli che un tempo chiamavamo nuovi-cittadini – 14mila uomini e donne, il 12% della popolazione cittadina – devono perdere quel prefisso che ne vorrebbe certificare la perenne temporaneità e diversità e diventare parte integrante – nelle istituzioni, nelle famiglie, nella quotidianità – di una Trento plurale e accogliente, coraggiosa e plurima.
Lo stesso deve avvenire per gli studenti universitari – altri 15mila cittadini e cittadine “a metà” -, non più intesi come corpo estraneo e ingombrante ma come linfa vitale dentro le vene di una città che gli ultimi dati Istat ci mostrano ancora un po’ più anziana e statica.
Futura (il cui programma riporta nel proprio capitolo 0 una proposta articolata e radicale sul come attivare la partecipazione) si muove da questa geografia delle prossimità e dei prossimi per guardare lontano.
Perché da vicino – se ci si prova – si possono fare davvero miracoli.
* da https://pontidivista.wordpress.com/
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