"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Pensare e agire altrimenti

Inverno 2020

di Federico Zappini *

Agitu è morta.

Tutto intorno la montagna buia d’inverno, ancora più silenziosa sotto la spessa coltre di neve fresca e dentro un tempo che al distanziamento ci ha drammaticamente abituati. Ci sentiamo – inutile negarlo – disorientati come nel bosco fitto nel bel mezzo di una bufera. Persa un’esperta e attenta compagna di viaggio, una guida per molti versi, le tracce del sentiero per attraversare la selva si fanno meno chiare. Il nostro passo è incerto, il pensiero confuso, la vista sfocata.

Agitu è stata uccisa.

Spaesati ci troviamo a fare i conti con un atto brutale che interrompe il flusso denso e multiforme di un’esistenza, quella di Agitu, posta nel mezzo di una costellazione composita di centinaia di uomini e donne, attivate e partecipi dentro un campo energetico che in lei aveva il fulcro più vitale e contagioso.

Spazi interrotti.

Si è incrinato uno spazio di possibilità che aveva nell’ibridazione – culturale e imprenditoriale, di genere e di identità – il suo valore aggiunto di innovatività, la sua anima concretamente utopica, la sua quotidiana e faticosa – e perché no, talvolta anche incoerente – prassi operativa e trasformativa. Un margine abitato e reso abitabile, per dirla con Bell Hooks, che non è confine che separa ma soglia verso ciò che potrebbe essere. Resistenza e desiderio, che devono confrontarsi con la natura imperfetta e mai pacificata della natura umana. Essere molteplice e non statico, in costante trasformazione. Un ridefinirsi che gode degli incroci tra diversità e non nega la dimensione conflittuale.

Il lato oscuro dell’umano.

L’uccisione di Agitu ci restituisce il significato più atroce dello stesso concetto di margine, inteso come espressione della frammentazione e dell’incomunicabilità, dell’incertezza e della paura, della sopraffazione e del rancore. Sarebbe stato più esplicito in presenza di un movente razziale. Lo è allo stesso modo – ampliandone se possibile la portata simbolica – di fronte a un omicidio che porta dentro, affastellati in modo disordinato, tutti i limiti e le distorsioni del tempo che stiamo vivendo: la solitudine e la precarietà, le tensioni identitarie e le diseguaglianze sociali, le fragilità relazionali e la normatività patriarcale che Agitu ha tentato di scardinare.

Cechov scriveva che “l’uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato com’è davvero”. Teso all’empatia perchè solo specchiandoci nell’altro possiamo riconoscere noi stessi. Propenso alla cooperazione  alla generatività ma capace di espandere il proprio lato oscuro fino al gesto estremo e definitivo di togliere arbitrariamente la vita ai propri simili.

Neppure di fronte a una mano armata di martello che si abbatte sul corpo minuto di una persona a noi cara possiamo trovare ristoro nella schematica contrapposizione tra vittima e carnefice, ma – come scrive in maniera esemplare Khalil Gibran ne Il Profeta – abbiamo l’obbligo di interrogarci sulla relazione degli opposti che in ognuno di noi coesiste, trovandone una sintesi che aiuti a dare forma a un possibile e migliore orizzonte collettivo.

“Spesso vi ho udito dire di chi sbaglia
che non è uno di voi,
ma un intruso estraneo al vostro mondo.
Ma io vi dico:
così come il santo e il giusto
non possono innalzarsi al di sopra
di quanto vi è di più alto in voi,
così il malvagio e il debole
non possono cadere più in basso
di quanto vi è di più infimo in voi.
E come la singola foglia
non ingiallisce senza che la pianta tutta
ne sia complice muta,
così il malvagio non potrà nuocere
senza il consenso tacito di voi tutti.
Insieme avanzate, come in processione,
verso la vostra essenza divina.
Voi siete la via e i viandanti.
E quando uno di voi cade,
cade per quelli che lo seguono
giacché li mette in guardia contro l’ostacolo.
Ma cade anche per quelli che lo precedono
i quali, benché più celeri e sicuri nel loro passo
non rimossero l’ostacolo.
[…]
Voi non potete separare
il giusto dall’ingiusto,
il buono dal cattivo,
poiché stanno uniti al cospetto del sole
come insieme sono tessuti
il filo bianco e il filo nero.
E se il filo nero si spezza,
il tessitore rivedrà da cima a fondo
tela e telaio.”

Un filo si è dolorosamente spezzato. E’ tempo quindi di un’accurata manutenzione dell’esistente.

Lo scorso 8 ottobre nel negozio di Agitu a Trento presentavamo il libro di Marco Aime, “Pensare altrimenti” (edito da Add). Era l’ultimo incontro in presenza prima delle nuove restrizioni alla socialità dovute al Covid19. Ognuno dei capitoli di quel piccolo dizionario antropologico entrava in diretta risonanza con il luogo che ci ospitava, con la storia della sua animatrice. Essere. Comunicare. Crescere. Specchiarsi. Rappresentarsi. Donare. Credere. Nutrirsi. La forma più appassionata e articolata del convivere.

Tessere fili, dentro uno schema di relazioni che metteva in comunicazione la città e le “terre erte”, i vicini e i lontani, la manualità dell’artigianato e l’idealità dell’attivismo. Mettersi alla prova nella sperimentazione del pensare e dell’agire altrimenti, fuori dagli schemi dati. Questa era la potente ricetta – difficile e anche piena di rischi – per il cambiamento di Agitu. La racconta benissimo Simone Casalini in un suo prezioso ricordo:

“In Agitu noi e loro tornavano ad essere pronomi personali senza accezione, buoni al più per qualche conversazione minimale. Perché lei era il crocevia di un mondo allargato, ibridato, rivoltoso e inedito e soprattutto concreto perché tutti questi aspetti non li traduceva in teorie ma pratiche quotidiane, sguardi e scelte che indicavano la rotta con spontaneità.” […]

“Agitu ha avviato un itinerario dove tutto mutava e dove tutto era oggetto di negoziazione: il significato, la rappresentazione, il lessico, la verità. Ora che ci è stata sottratta, ora che la sua luce gradualmente calerà d’intensità, ripartiamo da qui.” […]

Al venir meno di Agitu possiamo e dobbiamo reagire con la riproduzione in mille rivoli di idee e progetti che sappiano raccoglierne la capacità visionaria e il carico di felicità politica che ci aveva fatto conoscere.

Sembra che questo stia già avvenendo per quanto riguarda la prosecuzione dell’attività de “La capra felice”, con un pezzo di val dei Mocheni (dai Sindaci all’associazione allevatori) pronta ad innescare un processo mutualistico che è frutto di una comunità che pratica la solidarietà e la cooperazione. E’ già attiva una raccolta fondi (eccolo) che servirà a coprire alcune spese vive ma il vero tema che permetterà di valutare il successo dell’iniziativa sarà la capacità di produrre un effetto moltiplicatore di iniziative e di idealità che prenda le mosse dal suo gregge di capre, che erano uno degli strumenti e insieme parte del fine del progetto di vita di Agitu.

In aggiunta due (tra le tante che già in questi giorni nascono) potrebbero essere le campagne da attivare.

Ius soli, subito – A livello nazionale non è più accettabile l’attesa per l’approvazione della legge sullo ius soli, legge necessaria per aprire e ampliare i contorni della cittadinanza, oggi negata a centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze nati in Italia. In questo modo si garantirebbero riconoscimento e opportunità a quelli/e che sono cittadini e cittadine a tutti gli effetti, così come lo era Agitu tanto quanto era etiope, rifugiata, donna, pastora, imprenditrice, attivista.

Comunità educanti e consapevoli – Più vicino invece, in Provincia di Trento, possiamo lavorare per aiutare le comunità a essere contesti formativi ed educanti. Diverso tempo fa veniva approvata la legge provinciale 1 luglio 2013, n. 10. Conteneva l’impegno per l’ente provinciale di valorizzare le esperienze di apprendimento informale e permanente in forma di autonome comunità di studio. A distanza di anni la legge non ha trovato applicazione e relativa copertura finanziaria. Renderla operativa significherebbe offrire a cittadini e cittadine l’occasione di confrontarsi con la complessità di questo tempo e dotarsi di strumenti adatti per abitarla e non farsi sopraffare da essa, così come sembra accadere sempre più spesso.

Agitu è viva.
Lo è nel nostro muoverci nel Mondo con rinnovata e sempre maggiore curiosità e generosità.

* pontidivista.wordpress.com 

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*