"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (112)
di Michele Nardelli
(30 marzo 2021) C'è un'immagine satellitare che descrive meglio di ogni considerazione la follia di un modello di sviluppo e di consumi nel quale ci siamo incagliati (https://www.kiln.digital/projects/shipmap).
Quell'immagine ci descrive l'ingorgo che la signoria del mercato e del profitto ha prodotto nella circolazione globale delle merci e più in generale nel nostro modo di vivere. E di cui spesso nemmeno ci accorgiamo, tanto consideriamo naturale l'artificialità del mondo che abbiamo costruito in questa infinitesima frazione della storia del nostro pianeta.
Poi accade che una nave portacontainer lunga 399,94 metri e alta come un condominio, che a pieno carico ha una stazza di 220.940 tonnellate, sia investita da una tempesta di sabbia peraltro piuttosto normale nella regione e s'incagli nel Canale di Suez con il suo carico di 18.500 container. L'ingorgo blocca quattrocento navi nel Mar Rosso, nel Canale di Suez e nel Mediterraneo per almeno una settimana (un'altra settimana servirà a ripristinare il corso “normale”). Nel frattempo un numero ancor più considerevole di navi mercantili vengono dirottate verso la circumnavigazione dell'Africa.
A venir paralizzata è la tratta attraverso la quale transita un decimo del traffico navale mondiale. Il danno stimato è di 9,6 miliardi di dollari al giorno, per due settimane sarebbero 134,4 miliardi di dollari. Stime che non si sognano nemmeno di contabilizzare i danni ambientali e sociali.
Di navi come la Ever Given, gestita dalla Evergreen Marine, società di Taiwan ma battente bandiera panamense, malgrado il nome (“mai fatto”) ce ne sono in circolazione altre dodici, ma si tratta solo della punta di un iceberg che conta una flotta mondiale di almeno 100.000 navi cargo.
Quello che poi questi mostri del mare trasportano da una parte all'altra del pianeta ci conferma della follia in cui l'umanità si è incagliata. Grandi navi che trasportano di tutto, dal petrolio al legname, dai pezzi di ricambio al bestiame, dai rifiuti agli scarti di lavorazione: l'elenco sarebbe infinito e le cifre nemmeno ricostruibili. Perché il sistema di controllo fa acqua da tutte le parti e perché il limite fra legalità e criminalità è sempre più incerto.
Si pensi al solo fatto che il mare nel corso del Novecento è diventato la più grande discarica globale di rifiuti speciali, radioattivi e tossici, con il duplice effetto di ingigantire il degrado ambientale e di alimentare la criminalità organizzata e la dark economy, la mafia dei veleni1.
Ma in questo caso non stiamo parlando di azioni criminali ma di una normalità che si svolge almeno formalmente nel rispetto della legalità. Parliamo del trasporto marittimo di merci, parte di un sistema commerciale che non conosce limiti e che genera traffico intermodale (su gomma e su rotaia) lungo corridoi internazionali caratterizzati da infrastrutture sempre più pesanti come terminal portuali e interportuali, sistemi autostradali e trafori che in larga misura alterano gli ecosistemi e stravolgono l'ambiente in maniera irreversibile. Il tutto in nome della velocità e del prodotto interno lordo.
La sindemia avrebbe dovuto insegnarci che qui, in questo modello di sviluppo insostenibile, sta il problema. Questo è il virus che va combattuto. Quel virus che ha fatto sì che nel 2020 il peso di tutto ciò che la nostra specie ha costruito in termini di strade, palazzi, auto, eccetera abbia superato quello dell’insieme di tutti gli organismi viventi (piante comprese) che popolano la Terra.
Quell'altro virus, quello che ha già fatto milioni di morti (quanti non è dato di sapere perché gli esclusi muoiono senza aver accesso non dico ad un sistema sanitario ma neanche ad una visita medica e pertanto nemmeno alle statistiche), non rappresenta che l'esito di quel delirio che ci ostiniamo a non vedere e che si chiama impronta ecologica. Non basterà un vaccino per venirne a capo.
1 S'intitolava così il libro di Antonio Cianciullo e Enrico Fontana (Dark economy. Einaudi, 2012), una ricerca sull'operato delle ecomafie in Italia, nel Mediterraneo e nel mondo intero. Racconta del moto perpetuo dei rifiuti e di navi a perdere.
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