"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Un anno fa usciva “Il monito della ninfea”. Un invito alla lettura e all'incontro.
(20 aprile 2021) Sono trascorsi quasi due anni e mezzo da quella notte di fine ottobre 2018 quando la furia del vento abbatté 42.500 ettari di bosco e foreste dolomitiche. Si trattò dell'evento di maggior impatto sugli ecosistemi forestali mai avvenuto in Italia, cambiando in questo modo il volto di 494 Comuni, per un territorio complessivo di due milioni e 306 mila ettari spalmati sull'arco alpino orientale.
In un contesto nel quale gli avvenimenti si consumano in pochi giorni, a volte in poche ore, il lasso di tempo che ci separa da quel tragico evento può sembrare sufficiente per metterlo in archivio.
Se pensiamo che in questi due anni è accaduto di tutto, non solo il susseguirsi di altri eventi estremi che hanno scosso gli ecosistemi in ogni parte del pianeta ma soprattutto una sindemia che ancora sta devastando la vita di miliardi di persone, l'uragano Vaia potrebbe oltremodo apparire come un fatto verso il quale non riservare ulteriore attenzione.
Questo mettersi le cose alle spalle senza averne colto il monito non va bene. Allo stesso modo continuiamo a guardare gli avvenimenti come se fossero compartimenti stagni quando invece tutto si tiene. «Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe» scrive Walter Benjamin nel suo scritto dedicato all'Angelus Novus. Un'esortazione che vale anche per questo nostro tempo, che ci dovrebbe aiutare a riconoscere le connessioni fra le cose che accadono e solo apparentemente estranee l'una all'altra.
E' quel che abbiamo cercato di fare con "Il monito della ninfea", ben prima che la sindemia irrompesse tragicamente nelle nostre esistenze. Per questo abbiamo scritto che Vaia è stato un messaggero.
Nella disamina delle crisi ambientale, climatica, demografica, economica, sociale, alimentare, migratoria e sanitaria che attraversano la nostra “amica fragile” (e che spesso scambiamo per emergenze) abbiamo cercato di dar corpo ad una diversa chiave interpretativa che le riconducesse ad una comune matrice, ovvero il malinteso rapporto di signoria fra uomo e natura. Una nuova visione che richiede un approccio sistemico capace di andare all'origine delle crisi e non semplicemente di rincorrerne gli effetti spesso catastrofici cui assistiamo. Nei quali, peraltro, si evidenziano i risultati di un modello che da un lato ha privatizzato i servizi sanitari e la ricerca (la vicenda dei brevetti dei vaccini è esemplare), dall'altro tende a piegare al profitto il nostro rapporto con il vivente.
Così ognuna delle presentazioni del libro che abbiamo realizzato nel corso di questi mesi è diventata l'occasione per riflettere sull'insostenibilità del modello di sviluppo che ci ha portati sin qui. Tanto che quel “monito” ci appare ogni giorno che passa in tutta la sua attualità. Vale per la sindemia in corso ed è così anche per Vaia.
Ormai di Vaia se ne parla poco ma, sciolta la neve copiosa caduta l'inverno scorso e che ancora imbianca le nostre montagne, mediamente il 50% dei boschi dolomitici devastati riappariranno nella loro desolazione, in buona sostanza non molto diversi da come si presentavano il giorno successivo a quella tragica notte, impenetrabili e pericolosi persino da accostare. Rinsecchiti dal tempo e senza nemmeno il fervore delle comunità coinvolte che aveva caratterizzato il lavoro di ripristino delle vie di comunicazione e delle strade forestali.
Non è così ovunque, sia chiaro. Perché se nelle province autonome di Trento e di Bolzano l'esbosco e la vendita del legname ha raggiunto percentuali maggiori, la situazione è ben al di sotto della media in Veneto e in Friuli. Se infatti, e vale per tutte le aree coinvolte, nelle zone impervie e di difficile accesso non è stato realizzato alcun intervento, va rilevato come in alcune Regioni molti dei contratti di esbosco firmati non siano stati implementati, un ritardo che le ditte incaricate hanno giustificato con il Covid-19 ma sul quale hanno influito anche la saturazione del mercato e il crollo del prezzo del legname. Generando così un conflitto fra i Comuni e le imprese, con l'effetto perverso che laddove sei sotto contratto non puoi stipularne di nuovi con altri soggetti. Tanto più che il termine ultimo per il recupero del legno schiantato è stimato per l'estate che viene.
Con il progressivo degrado del legname a terra (adatto ormai solo per farne cippato), i proprietari si trovano sempre più frequentemente a pagare per farsi portar via il legname così da evitare il pericolo di incendi e l'insorgere di problematiche di natura fitosanitaria. E tanto per allargare il divario già esistente, non ovunque ci sono gli incentivi pubblici per farlo.
Aspetto quello fitosanitario che rappresenta una sorta di onda lunga di Vaia: oltre ai milioni di alberi abbattuti dovremmo considerare l'indebolimento delle piante prodotto dall'uragano di due anni fa che ha preparato un terreno fertile per l'azione del bostrico tipografo (l'insetto che s'insinua sotto la corteccia degli abeti indeboliti, facendoli rinsecchire), la cui proliferazione è cresciuta enormemente nel corso del 2020. A titolo di esempio, nello stesso periodo in Trentino in quasi l'80% delle trappole per il bostrico si è superata la soglia critica di 8.000 individui per trappola, oltre la quale si è in fase epidemica di rapida ed intensa crescita. Consideriamo che dopo un anno le piante abbattute non sono più appetibili e il bostrico attacca quelle in piedi ma sotto stress. Gli effetti di questa situazione sono già da tempo visibili nelle aree ai margini di quelle colpite da Vaia. Nel 2021 si aggiungeranno anche gli effetti del peso della neve sulle piante indebolite, che le hanno ancor più esposte all'azione del bostrico.
Tutto questo per dire due cose. Il “dopo Vaia” non si è certo concluso e le ripercussioni di quell'evento sulle nostre comunità proseguirà nel tempo. Questo vuol dire che servirà una particolare attenzione verso le nostre comunità montane ed insieme una nuova capacità di farsi carico di un contesto ambientale, sociale ed economico in cambiamento che richiede una nuova visione.
Il secondo aspetto ci porta all'urgenza di una riflessione sugli assetti amministrativi delle terre alte. Vaia ha evidenziato quanto siano decisive le condizioni di autogoverno dei territori per affrontare le situazioni estreme che la crisi climatica rende sempre più frequenti. Nella scelta di dar vita a questo libro scritto a quattro mani da un bellunese e un trentino c'era un preciso messaggio, quello di una regione dolomitica ovvero di ripensare le nostre geografie politico-istituzionali in una comune cornice europea.
Infine un'ultima considerazione. Come abbiamo scritto nel nostro libro, Vaia ci ha posti di fronte ad un messaggio inequivocabile: l'urgenza del cambiamento. Si è rovesciato il tradizionale rapporto fra tempi storici e tempi biologici: oggi questi ultimi corrono più veloci e sembrano precipitarci in una condizione inedita che ci impone di cambiare il nostro modo di pensare e di vivere.
Ecco perché comprendere le connessioni delle crisi che attraversiamo diventa un imperativo. In questo la presentazione de “Il monito della ninfea” – come abbiamo verificato in questi mesi – ci offre uno spazio per parlarne, in remoto e speriamo al più presto anche in presenza.
E' un invito alla lettura e all'incontro nelle forme che riterrete più opportune.
Diego Cason
Michele Nardelli
PS. Il libro si può ordinare nelle librerie oppure sulle piattaforme online. Per eventuali incontri potete chiamarci (Diego 340 8697570 – Michele 347 4098578) o scriverci.
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