"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (114)
di Michele Nardelli
(15 maggio 2021) In queste ore mi chiedo come sia stato e sia possibile il capovolgimento della verità, tanto da far diventare aggressori gli aggrediti.
Potremmo darci le solite risposte più o meno corrispondenti ai nostri schemi interpretativi, scomodando il ruolo delle grandi potenze piuttosto che l'azione degli apparati del consenso o dell'influenza delle lobbies economico-finanziarie. Che pure ci sono e non sono di certo estranee in quella che Nelson Mandela definiva la più grande questione morale del nostro tempo.
Al tempo stesso credo che sulla tragedia che si consuma dal 1948 nella Mezzaluna fertile del Mediterraneo si possa misurare oltre ogni immaginazione la falsa coscienza dell'Occidente.
O forse pensiamo che quel che sta avvenendo in queste ore nel Vicino Oriente sia dovuto all'odio primordiale fra arabi ed ebrei? No, non c'è nulla di più falso di questa contrapposizione di comodo.
Perché arabi ed ebrei, di comune origine semita, sono state nella storia popolazioni culturalmente affini. Protagonisti, insieme, delle antiche civiltà orientali, alle quali dobbiamo le prime forme di urbanità e di architettura civile, la nascita delle religioni monoteiste, le magnificenze e i saperi dell'età dell'oro che creò i presupposti – grazie all'espansione araba nel Mediterraneo e al grande movimento delle traduzioni1 – dello stesso rinascimento europeo.
Semmai lungo questa storia comune arabi ed ebrei sono state vittime degli stessi oppressori che hanno esercitato nei loro confronti logiche di dominio, crociate e guerre di religione, colonialismo e suprematismo razziale.
Una comunione dilaniata nella modernità dal pregiudizio razziale e da pogrom spaventosi, da una prima guerra mondiale che nella deflagrazione degli imperi ha portato le potenze vincitrici a disegnare sulle carte geografiche stati, confini e aree di influenza prima inesistenti; dalle leggi razziali che hanno fatto da sfondo e preparato il terreno al male assoluto dei campi della morte e dell'Olocausto, di cui pure si sapeva e verso i quali si è preferito volgere lo sguardo altrove. La più spaventosa tragedia della modernità, ben rappresentata da quel “Arbeit mach frei” che campeggiava all'ingresso di Auschwitz e su cui non si rifletterà mai abbastanza. Che fece convincere una parte crescente delle popolazioni ebraiche ad aderire al sionismo (l'idea di uno stato religioso degli ebrei), prima fortemente avversato dalle comunità ebraiche di tutto il mondo. E favorito dal paradigma dello stato-nazione (a ben vedere la negazione dello stato di diritto) che ha attraversato ed ancora attraversa il nostro tempo.
Così che arabi ed ebrei si sono trovati ad essere, contrariamente alla loro storia, nemici nella contesa di una piccola fascia di terra che apparteneva alle popolazioni che da sempre l'abitavano a prescindere dal loro credo religioso.
Non intendo certo semplificare in poche righe la complessità di una storia così significativamente e tragicamente densa di tratti simbolici ed identitari, ma credo che proprio la non elaborazione del passato incomba così pesantemente sul presente da rendere possibile non solo narrazioni divise ma storie separate ed una violenza che si consuma da anni nella terra che i credenti di ogni religione del libro vogliono santa.
Un presente influenzato dal processo di trasformazione antropologica e culturale avvenuto in Israele negli ultimi decenni con l'afflusso soprattutto dall'est europeo e dalla Russia dei coloni che, oltre a richiedere spazio vitale, hanno anche portato con sé il fondamentalismo tipico delle diaspore. Che spinge il governo israeliano ad esasperare i processi illegali di insediamento nelle aree abitate dai palestinesi.
E, dall'altra parte, dall'esasperazione crescente che oltre trent'anni di guerre per il controllo geo-strategico della regione hanno comportato nel sentimento diffuso del mondo arabo contro l'occidente, a cui si deve aggiungere la delusione e l'insofferenza che l'insediarsi di un apparato di potere verticistico e spesso corrotto ha prodotto.
Non ho alcuna intenzione di far parti uguali fra diseguali. La responsabilità dello Stato di Israele nell'occupazione, nella pulizia etnica, nell'aver realizzato un regime di progressivo apertheid, nella militarizzazione dello stato, nel sistematico appropriarsi delle risorse come dei beni archeologici nei pur residuali territori palestinesi, nell'illegalità sistematica verso il diritto internazionale ... sono gravi ed incommensurabili rispetto a quelle della leadership palestinese. Ma questo non mi impedisce di vedere gli errori e le responsabilità dell'Autorità Nazionale Palestinese nel non aver adottato una strategia di azione nonviolenta, nell'incapacità di sottrarsi alla farsa di un paese privo di continuità territoriale e di immaginare uno scenario diverso, quello di un unico stato democratico inclusivo tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo fondato sullo stato di diritto.
Le scelte compiute in questi anni dal Governo Nethanyahu, dal proseguire negli insediamenti illegali in Cisgiordania alla pulizia etnica a Gerusalemme est per farne la capitale dello Stato di Israele, la sistematica violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e l'unilaterale applicazione della cosiddetta “pace di Abramo” voluta da Trump e dai peggiori regimi reazionari mediorientali, sono la causa di quanto sta accadendo in queste ore, una rivolta popolare che coinvolge anche le città israeliane dove, malgrado tutto, ancora sopravvive la convivenza, a cui si risponde con la mobilitazione armata dei coloni, con i razzi di Hamas e con i bombardamenti dell'esercito israeliano su Gaza.
Così che in questo infausto destino, arabi e ebrei appaiono vittime di una deriva uguale e contraria, di un comune ingorgo che mai produrrà sicurezza, di un incubo segregazionario il cui orizzonte è fatto di mura e filo spinato.
Si comprende così la ragione per cui da “terra promessa” la Mezzaluna fertile del Mediterraneo sia diventata un luogo dal quale andarsene, come sta avvenendo per israeliani e palestinesi. Un esodo che non aiuterà di certo l'emergere di nuove classi dirigenti e, con essi, di una prospettiva di pace.
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