"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il senso del collettivo non perduto. In ricordo di Franco Calamida

1998. Festa del ventennale DP-Solidarietà a Mezzocorona. In primo piano di profilo Franco Calamida.

(19 giugno 2021) Erano passati ormai una decina d'anni da quando i nostri percorsi politici avevano preso strade diverse. Eppure, nell'incontrarsi, bastava uno sguardo fra noi per dirci in buona sostanza che le cose in fondo non erano cambiate.

In questa sorta di intesa non centrava quel che accadeva nel mondo – grandi mutamenti investivano tempi piuttosto interessanti – quanto il trattamento che veniva riservato al pensiero laterale e a chi quella sensibilità sincretica cercava di interpretare.

Così il carattere aperto, la ricerca, la mitezza venivano scambiate per moderazione e arrendevolezza. Che nelle prerogative verticali, maschili e autoritarie delle strutture (di partito e non solo) diventavano motivo di emarginazione. La forza era data dai numeri, nelle piccole appartenenze forse ancor più che in quelle più robuste.

Avevamo imparato a sorriderne, ma questo non diminuiva certo il dolore e la fatica del sentirsi inascoltati o mal sopportati.

Se lasciamo cadere la memoria nella retorica, le nostre appartenenze erano allora all'insegna della passione rivoluzionaria, dell'impegno rigoroso e della coerenza. Caratteri che non nego affatto (semmai andrebbero rivisitati) ma che nella storia novecentesca si sono spesso accompagnati a culture e pratiche destinate ad una tragica eterogenesi dei fini.

Malgrado ciò, è doveroso riconoscere che qualcuno cercava di far dialogare fini e mezzi, radicalità e concretezza, passione e mitezza.

Ecco, pensando a Franco Calamida mi vengono queste parole. E, insieme, un'altra considerazione. Che riguarda il valore irripetibile di un decennio a cavallo fra gli anni '60 e '70 in cui cambiò il modo di vivere, non solo di una generazione e dopo il quale davvero nulla fu più come prima.

Presero corpo le grandi riforme che investivano il diritto di famiglia e il divorzio, la salute pubblica e la maternità responsabile, le istituzioni totali con l'abolizione dei manicomi, la condizione operaia con la Legge 300 (lo Statuto dei lavoratori), la scuola... Un paese che era uscito da un fascismo fortemente radicato, rimuovendolo ma senza fare i conti sul serio con il suo portato culturale, economico e sociale, nonché sugli assetti di potere. Dovettero passare vent'anni per scuotere in profondità i retaggi del passato. Mi chiedo come si sia potuto ridurre tutto questo agli anni di piombo.

Cambiamenti e riforme che camminarono sull'onda di un grande protagonismo sociale che prese le forme di un movimento dai tratti consiliari e sul quale non si è riflettuto mai abbastanza. Di questi caratteri Franco Calamida era insieme testimone, protagonista, interprete. Nelle forme dei Comitati Unitari di Base come dei Consigli di Fabbrica: nasce qui l'affinità di ricerca e pensiero con Vittorio Foa, Pino Ferraris, Vittorio Rieser, Emilio Molinari ed altri. Esperienze che ne segnarono il profilo umano e intellettuale fino agli ultimi scritti.

Mi rendo conto che, nel ricordare una persona stimata, è facile cadere nel brutto vizio di ricondurre a sé quella storia. E allora devo riconoscere che con Franco avevamo spesso posizioni diverse, anche se la sua matrice libertaria aiutava il nostro dialogo.

Rispetto al tragitto politico comune, ricordo quanto Franco fosse sferzante di fronte alla decisione di noi trentini di andarcene da Democrazia Proletaria e lo potevo capire perché quella separazione non aiutava certo chi in quel percorso aveva cercato di far vivere quell'identità originale non riconducibile né alla tradizione comunista, né a quella ecologista. I “pontieri” si ritrovarono più soli e schiacciati. Ne parlavamo spesso con Massimo Gorla, amico comune, che negli anni successivi con Franco condivise la necessità di sperimentare sul territorio l'idea di ambiti unitari nei quali tenere la barra dell'alternativa di sinistra.

E credo non sia affatto casuale che, pur in presenza di scelte diverse da parte di quel nucleo di persone che – come scriveva Franco – ad un certo punto decisero di fare la rivoluzione1, rimase un profondo legame, un senso di fratellanza, uniti da un destino oltre il tempo. Che voglio immaginare riconducibile proprio a quel decennio nel quale si buttarono all'aria i propri destini personali, i tornaconti, le carriere.

Facemmo coincidere il nostro sentire con l'impegno professionale. “La politica dava senso alla vita” ed era proprio così. Pur essendo di un'altra generazione, negli anni '80 ho vissuto da vicino quel collettivo ed ancora oggi, quasi quarant'anni dopo, molti di quei legami sono rimasti profondi, al di là del rarefarsi delle frequentazioni. Senza nostalgia, se non per la tavola imbandita di Via Gandiglio a Roma dove abitavo e che il lunedì sera, finito l'incontro della segreteria, si animava dei colori regionali del cibo e di quell'ironia che non risparmiava nessuno.

Legami profondi che sarebbero rimasti nel tempo ma che, piano piano, ora scivolano via, per quel senso del limite che non impariamo mai e che in primo luogo investe le nostre esistenze. Quando Massimo Gorla ci lasciò Franco scrisse “Ancora insieme, con il senso del collettivo non perduto”.

Nel lasciare al vento le nostre parole mi auguro solo che qualcuno, leggendole, possa se non altro comprendere come non ci sia nulla di più importante che investire nelle relazioni. Verranno inesorabilmente a mancare, ma intanto che grande privilegio abbiamo avuto nel conoscerci.

Un ultimo abbraccio, Franco caro. (m.n.)

1«Un giorno, ed era un bel giorno, Massimo mi disse Franco, secondo me dovremmo fare la rivoluzione; risposi: va bene, facciamola. In realtà non pensavamo che la rivoluzione fosse vicina e possibile. Tentammo la scalata al cielo, che è impossibile, ma bene abbiamo fatto a tentarla, a sfidare la realtà». Tratto da “In memoria di Massimo Gorla”, AAVV, Massimo Gorla, un gentiluomo comunista. Sinnos editrice, 2005

 

3 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Carlos Schaffer il 16 luglio 2021 15:10
    Grazie per le tue parole di dignità
    Che permettono conoscere un po' di Franco
    Carlos
  2. inviato da carmelo il 01 luglio 2021 10:58
    Ho letto solo adesso che da metà giugno Franco non è più con noi fisicamente. Non so esprimere quanto sia addolorato e ritrovarmi nell'articolo di Nardelli per quanto forse abbiamo percorsi ancora diversi. Sto ancora cercando il mio e cammino senza voltarmi indietro portandomi piacevolmente tutto il bagaglio delle mie esperienze senza togliere niente di niente. In quegli anni '70 ho anche fatto il dirigente sindacale alla fiat di Mirafiori e le discussioni con Franco erano principalmente sugli operai e su come mantenerli coinvolti e partecipati alle scelte e decisioni che come Democrazia Proletaria assumevamo. Non so dire altro in questo momento perché a parte la retorica in cui si rischia di cadere il dolore è molto forte.
    Un tenero abbraccio a tutti quelli che gli hanno voluto bene, Carmelo Inì
  3. inviato da Micaela il 19 giugno 2021 17:47
    Ed è così che succede
    Molti volti incontrati
    Per breve tratto di strada
    attimi di vita
    nel ricordo scolpiti
    Li ritrovi come foglie leggere
    portate dal vento, fino al fiume.
    Che li abbraccia nel fluire
    della corrente e del tempo.
    Ciao Franco, ciao Massimo, ciao Mario, ciao Marina, ed altri ancora. Ad maiora
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