"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Per una Politica che si prende cura del mondo

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di Federico Zappini *

(7 luglio 2021) Dal marciapiede al cielo. E’ questo lo slogan scelto da Giovanni Caudo per presentarsi alle primarie del centro-sinistra a Roma. Lo sa bene, da presidente del terzo municipio della Capitale (quasi 100 kmq di estensione e oltre 200.000 abitanti), che va cercato con ostinazione il punto di equilibrio tra pragmatismo amministrativo e visione politica, tra attenzione per la prossimità e comprensione del contesto globale.

Certo serve prendersi il tempo di indugiare sulle cose, avere piena consapevolezza della fluidità e complessità del “grande teatro del mondo” e della necessità – per usare le parole del titolo della rivista Il Mulino nel settantesimo anniversario della sua fondazione – di lavorare per “guarire le nostre democrazie”, colpite da una sindemia che è prodotta dall’intreccio di crisi sanitaria, crisi economiche e sociali (al plurale), crisi culturale e di senso comune.

Guasto è il mondo. Lo scriveva anni fa Tony Judt riferendosi alle fragilità dello scenario geopolitico scaturito dalla caduta del Muro di Berlino e dalla cosiddetta “fine della storia”. La storia – è fatto pienamente emerso di fronte ai nostri occhi – non si è conclusa ma si è ulteriormente ingarbugliata, fuoriuscendo dai binari apparentemente senza alternative del capitalismo occidentale e dell’ottimismo progressista.

Il quadro da analizzare e governare è confuso. Le immagini che ci vengono offerte sfocate, spesso contraddittorie.

Il successo delle criptovalute (un solo Bitcoin vale ancora oltre 30.000 Euro, nonostante un recente e repentino crollo) è forse l’esempio più potente delle dinamiche sovranazionali che tentano di sfuggire al controllo di qualunque istituzione e che rappresentano un ulteriore avvitamento dell’economia finanziarizzata, tossica e pervasiva quanto e più delle sua precedente versione, naufragata nel 2008 a valle dell’esplosione della bolla dei mutui subprime.

La capacità estrattiva delle grandi piattaforme planetarie (Amazon in primis, 44 mld di ricavi e nessun prelievo fiscale su suolo europeo) e la ritardata transizione da un modello di produzione e consumo ben rappresentato dalla portacontainer Ever Given incagliata nel Canale di Suez mantengono aperte – addirittura ampliandole – le diseguaglianze economiche e sociali e richiedono interventi radicali per programmi di armonizzazione almeno continentali dei sistemi fiscali e di welfare, oltre a una stretta decisa sulle posizioni dominanti nel campo dell’innovazione tecnologica e delle sue applicazione.

Ritrovare limiti e regole a un modello di sviluppo scomposto e predatorio è un primo passaggio non più rimandabile nella costruzione di un futuro desiderabile per molti e molte, a diverse latitudini del pianeta che abitiamo.

Esiste però un pericoloso senso di onnipotenza – figlio ed evoluzione dell’esausto mito prometeico – che pervade il genere umano nel momento in cui si è ufficialmente aperta una nuova fase di conquista dello Spazio, contesto fino qui esplorato in modo cooperativo e non competitivo e oggi al centro di una sfida tra potenze globali in nome di una sua prossima colonizzazione, in una sua nuova declinazione cosmica.

Vista dalla Terra ecologicamente boccheggiante – vittima della stesso “successo” di sapiens – questa prospettiva non può far dormire sonni tranquilli. Bruciano infatti ancora nelle strade indiane i corpi delle vittime della pandemia da Covid19 e non si riesce (o vuole?) agire in modo solidale per la vaccinazione di massa anche in quei paesi che economicamente, perché da decenni impoveriti, non riescono ad accedere autonomamente alle forniture mediche.

Non c’è da stupirsi che dentro un momento di così grave incertezza abbiano allora buon gioco e conservino una preoccupante attrattività politiche autoritarie e illiberali. Dalla Turchia alla Cina, da Trump a Orban. Fino ai nostrani Salvini e Meloni.

Vent’anni fa nelle strade di Genova – e prima di Seattle e Porto Alegre – quello che si definiva “movimento dei movimenti” denunciava le magagne, oggi ancora più evidenti di un certo tipo di globalizzazione. Era un’esperienza profetica, fatta di un’agenda definita di temi (ambiente, migrazioni, lotta alle diseguaglianze, accesso ai saperi e ai processi democratici, parità di genere) e dall’inedita alleanza tra parti molto diverse della società, tra loro complementari.

Riferirsi a quel Noi moltitudinario – cercando di rigenerarne le condizioni costituenti – non è frutto di una montante nostalgia ma dal bisogno di pensare e agire insieme.

Compito di soggetti politici e di animatori sociali e culturali, oltre che dei singoli cittadini e cittadine, è quello di orientarsi nel caos che ho tentato sommariamente a descrivere e mettere in moto la necessaria immaginazione e organizzazione che va da esperienze in rete di municipalismo democratico al tentativo – iniziato negli anni da Luigi Ferrajoli – di dare corpo alla prima Costituzione della Terra.

Dal marciapiede al cielo. Perché nella fine di ogni storia si trova l’innesco per un nuovo inizio.

* da https://pontidivista.wordpress.com

 

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