"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Queste note sono state scritte in due momenti diversi. La prima è nata in risposta ad una serie di articoli che “Il Foglio” ha pubblicato in questi giorni. Complice la calura estiva, la lettura ha subito innalzato la temperatura corporea oltre il livello di sopportazione. E cosi ho preso carta e penna e ho scritto al Direttore. Sono gesti di reazione che si fanno, pur sapendo che il direttore del Foglio mai pubblicherà una riga di quanto ho scritto.
Alla prima è seguita, il giorno dopo, la seconda nota dove faccio alcune considerazioni per analizzare le "ragioni dell'avversario", considerazioni che non mi sentivo di condividere con Cerasa. Ma con questo blog, sì. (a.m.)
di Alessandro Mengoli
Egregio Direttore,
scrivo in risposta all’articolo pubblicato in prima pagina a firma di Maurizio Crippa, pubblicato sull’edizione del Foglio del 12 agosto 2021, con il titolo: Il Cuomo dell’IPCC scriveva balle ma vinceva il Nobel.
Riporto dal testo: “…Ma il clima è cambiato, sì. Fosse stato lo stesso nel 2007 – quando un vecchio marrazzone di nome Rajendra Pachuari, che guidava l’Ipcc come un satrapo, fu costretto a dimettersi per molestie sessuali – assieme a lui avrebbero coperto di merda anche il suo istituto. Invece, siccome era a capo di un comitato alla moda, gli studi sul clima, in quel 2007 gli diedero pure il Nobel per la Pace. Incuranti che Pachuari quello stesso anno avesse diffuso un report che annunciava, sbagliando, lo scioglimento dell’Himalaya nel 2035.Ora siamo nel 2021 e tutti, tranne Franco Prodi e pochi altri prodi, pensano che i report Ipcc siano vangelo. Che clima ”.
Da una breve ricerca su internet riporto quanto segue:
L’IPCC diffonde nel 2007 un report in cui dichiara lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya entro il 2035. Nel 2010 Chris Field, direttore del gruppo di studio IPCC responsabile del rapporto criticato, presenta le proprie scuse al governo indiano ammettendo l’errore nella previsione degli effetti del cambio climatico sui ghiacciai dell’Himkalaya. Nel 2007 Rajendra Pachuari era presidente dell’IPCC.
Nel 2007 il premio Nobel per la pace fu assegnato ad Al Gore e al IPCC.
Rajendra Pachuari fu accusato di molestie sessuali il 18 febbraio 2015. Il 24 febbraio 2015 si dimise dalla carica di presidente dell’IPCC. Il 28 maggio 2015 fu condannato per molestie sessuali.
https://it.wikipedia.org/wiki/Rajendra_Pachauri
Il Report IPCC 2007 fu pubblicato e discusso dalla comunità scientifica più ampia. Lo stesso Franco Prodi dichiarava, a commento del report 2007, nell’azione dell’uomo l’origine della ridotta capacità della superficie ghiacciata di riflettere la radiazione solare:
https://www.corriere.it/scienze/07_ottobre_17/himalaya_ghiacci_rischio.shtml
Alcune considerazioni.
Per Pachuari era impossibile dimettersi nel 2007, per un’accusa contestata nel 2015. In ogni caso “il satrapo” si dimise 6 giorni dopo essere stato accusato.
Il Nobel fu assegnato al “comitato alla moda” e non alla persona di Pachuari che in quel momento ne era il presidente. L’errore presente nel report del 2007 fu ammesso nel 2010: il comitato per il Nobel non poteva saperlo nel 2007. Francamente non si capisce il nesso logico tra Pachuari-satrapo e IPCC-indegno di ricevere il Nobel.
Che gli studi sul cambiamento del clima siano un interesse “alla moda” è un’affermazione priva di senso.
L’errore di previsione sullo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya fu riconosciuto successivamente dallo stesso IPCC. Nel campo scientifico, come in quello economico, le previsioni vengono fatte sulla base di modelli e scenari. Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili, come disse George Edward Pelham Box. Fare le pulci alla previsione dell’IPCC, dimenticandosi di tutte le previsioni errate a cui abbiamo assistito, in tutti i campi, mi fa venire in mente la Fattoria degli Animali: alla scienza sul clima si chiede di essere più uguale (più precisa) rispetto a tutte le altre discipline. Di recente ho visto un documentario che ricostruisce la genesi preparatoria della seconda guerra in Iraq e le risultanze successive alla guerra stessa. In questo caso non si parla di errori ma di vere e proprie falsificazioni. Sulla base di queste falsità è stata condotta una guerra di scala internazionale, un regime è stato deposto, vi sono stati numerosi morti e migliaia di profughi. Oltre alla responsabilità storica di aver alimentato la crescita dello stato islamico e di aver creato una instabilità nella regione rispetto alla quale ancora non si vede una fine. Per tutto questo l’organismo responsabile, il governo degli Stati Uniti, non è stato chiamato in alcun modo a rispondere. Né ne è risultato diminuito il suo prestigio e la sua autorevolezza a livello internazionale.
Alcuni affermano che gli scenari possono essere costruiti sulla base di convenienze politiche. Può essere vero, soprattutto se legato alla descrizione di ambiti particolari. Ma il senso generale del lavoro dell’IPCC va fatto salvo: è un’intera comunità scientifica che lavora su questo da anni. Accostare l’IPCC alle nefandezze compiute da Pachuari, definire un Report Patacca, il report sullo scioglimento dei ghiacciai in Himalaya prodotto sulla base di studi, poi riconosciuti errati, produce come effetto, voluto o no, quello di screditare l’IPCC, privarlo della sua autorevolezza e della sua importanza.
Questo è un articolo del nostro attuale Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, sul Rapporto IPCC 2019 Oceani e Ghiacci, frutto di un lavoro gigantesco compiuto da 107 scienziati che hanno considerato 6.981 pubblicazioni e 31.176 commenti provenienti da revisori e governi di 80 paesi:
Sorprende che il solerte giornalista non abbia ricordato un caso analogo che avveniva proprio in quegli anni. Dominique Strauss-Khan nel 2007 viene eletto Direttore Generale del FMI. Nel 2008 fu accusato da una sua collaboratrice di abuso della sua posizione. Il 14 maggio 2011 fu arrestato per tentata violenza sessuale. Il 18 maggio si dimise dalla carica. L’accusa fu poi archiviata ma Strauss-Kahn riconobbe un indennizzo alla donna a seguito di una causa civile da lei intentata. Quindi il clima che porta Cuomo a dimettersi in realtà non è cambiato rispetto alle dimissioni di Strauss-Kahn. A questo punto una domanda: perché citare il caso di Pachuari e non quello di Strauss-Kahn? Una “licenza giornalistica” per poter intaccare indirettamente la reputazione dell’IPCC (anche perché risulta improbabile tentare di scalfire la reputazione del FMI)?
Nell’attuale contesto di bulimia da informazioni, l’informazione ufficiale svolge un ruolo fondamentale nel diffondere notizie con il crisma dell’autenticità. Vanno distinti chiaramente i fatti dalle opinioni. Ma anche le opinioni dovrebbero essere genuine, generate da presupposti fondati. Se all’ingrediente discredito si aggiunge un pizzico di allarme contro il catastrofismo allora il pericolo è di cadere nel libro delle ricette di cui si nutre il complottismo. E la risposta del complottismo, per vocazione individualista o come forma di opposizione, è quella di rifiutare le “verità imposte” come quella del cambiamento climatico.
In coscienza, si può parlare di catastrofismo? Si stanno costruendo dei rifugi sotterranei dove trasferire piccole arche di Noè? I governi sono in preda ad un incontrollato senso di decretazione ambientale?
Ieri il suo giornale ha pubblicato l’intervista al fisico e climatologo Franco Prodi. La prima cosa che mi sorprende è che nel corso di tutta l’intervista lui, climatologo di fama mondiale, si rivolga contro le tesi dell’ONU senza mai citare l’IPCC, che sarebbe l’International Panel on Climate Change, organismo creato dall’ONU stesso sul cambiamento climatico. Ne fanno parte 195 paesi e migliaia di scienziati. E’ lecito dire che l’IPCC non è un dogma. Affermare che la scienza segua altre strade diverse da quelle seguite dalle migliaia di scienziati che collaborano con l’IPCC può essere vero in alcuni casi, ma appare un po’ ridicolo affermarlo in maniera categorica.
Riporto altre affermazioni in ordine sparso:
… le basi della fisica su cui poggia la climatologia non permettono conclusioni drammatiche come quelle dell’IPCC. Prodi anche se afferma che vi sono stati cambiamenti repentini nel clima durante la storia della terra (repentini quanto? Che strumenti di lettura ha rispetto al passato per dire che siano avvenuti nel corso di qualche decennio?) sa anche che un ritorno alle condizioni iniziali dell’atmosfera richiede molto tempo, non paragonabile ad una scala temporale biologica. I presupposti, secondo il climatologo, sono errati perché basati su una coincidenza tra industrializzazione e scoperta di strumenti di misurazione di fenomeni atmosferici. Volendo accettare la sua tesi, quale sarebbe un tempo di accumulo di dati storici ragionevole per arrivare a conclusioni non affrettate? Secondo lui gli ultimi due e tre secoli sono un battito di ciglia rispetto alla storia dell’umanità. Occorre abbandonare ogni preconcetto, sostiene: non si può discutere di energia fossile in maniera ideologica.
E’ singolare che ogni volta che si parla di ridurre l’utilizzo di fonti fossili, del gas metano, come del gas da petrolio liquefatto, come dell’idrogeno prodotto da fonti fossili, ci si lamenti di una opposizione di natura ideologica. Vorrei ricordare a Prodi e a chi sostiene questa tesi (tranne Chicco Testa che fa finta di dimenticarsene) che i primi a mettere all’ordine del giorno i limiti dello sviluppo e del ricorso alle fonti fossili sono stati quel gruppo di estremisti conosciuti come il Club di Roma, guidati non certo dall’ideologia ma dall’imprenditore Aurelio Peccei, ormai 50 anni fa. Proprio quello ricordato oggi da Ferrara, anche in questo caso per aver bucato una previsione. In quegli anni si accese una grossa battaglia (ideologica?) sul futuro energetico. Da una parte una strada iper tecnologica e accentrata, fatta di sviluppo nel nucleare; dall’altra una opzione a bassa tecnologia e decentrata, attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Oltre alla risposta sul perché non si sia esaurita l’acqua, attendiamo anche la soluzione e i siti dove stoccare in maniera sicura le scorie nucleari, attendiamo l’esito delle soluzioni sulla fusione nucleare (lo aspettiamo anche questo da 50 anni), e ora aspetteremo di conoscere come e dove stoccare la CO2. Nel frattempo il fotovoltaico da 10 $ al Watt ora costa circa 0,2 $ al Watt e ha raggiunto la grid parity.
Le seguenti affermazioni: la catastrofe mediatica è già avvenuta, un’opinione pubblica sempre più polarizzata, è tragico e ridicolo che la scienza si faccia dettare legge da questi movimenti mi sembrano un po’ esagerate e non corrispondenti alla realtà. La realtà, al contrario, dice che il mondo finanziario sta anticipando le decisioni della politica (e anche le tardive conclusioni di qualche scienziato) premiando le imprese che agiscono sugli aspetti ESG (Environmental, Social and Corporate) perché sono le condizioni per ottenere una maggiore sostenibilità dell’organizzazione economica nel tempo. E la stessa UE sta implementando una monumentale documentazione sulla tassonomia degli investimenti sostenibili per identificare i tratti di un investimento in termini di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico.
Guardando quello che accade mi torna in mente un viaggio che ho fatto all’indomani del passaggio della tempesta Vaia nelle foreste dolomitiche. Ero fermo sulla strada che sovrasta il lago di Carezza. La furia della tempesta aveva trasformato le acque cristalline del lago nel piazzale di una falegnameria, con tutti i tronchi accatastati. Dietro di me il corteo festoso di macchine procedeva spedito verso gli impianti di risalita.
L'unica strada possibile. Il cambio di paradigma
Riprendo il discorso iniziato con la lettera al Direttore del Foglio (a.m.).
Il giornale si fa portavoce di una posizione, chiamiamola “responsabile” in quanto “realistica”, sul tema del cambiamento climatico. Non nega che sia in atto. Non si pronuncia su quale sia la causa di questo mutamento. In particolare evita la conclusione, oramai data per certa dalla comunità scientifica, che il cambiamento sia dovuto all’azione dell’uomo. E questo è comprensibile in quanto funzionale alla ricerca di soluzioni che è il tema che a loro appassiona, e che è quello che contestano all’IPCC. In sostanza, dicono, non si può ridurre tutto al taglio delle emissioni di carbonio: anche se tagli le emissioni, al 2050 comunque avrai in aria una quantità eccessiva di CO2. Basterà questo a fermare l’aumento di temperatura, chiedono. E aggiungono: questo prudentemente l’IPCC non lo dice. Però l’IPCC dice che, per evitare che l’innalzamento della temperatura provochi delle trasformazioni irreversibili del clima occorre che l’aumento della temperatura sia contenuto nei 1,5°C. E, rispetto a quanto possiamo sapere oggi, la causa più diretta dell’aumento della temperatura è la concentrazione di CO2 in atmosfera. E’ in ogni caso singolare che all’IPCC si contesti tutto: di avere dei modelli (sbagliati) che generano allarmismi e di non avere modelli (affidabili) su cui basare le politiche ambientali.
Il nodo centrale della questione è quello che già ricordavo nell’esempio di 50 anni fa sulle scelte di politica energetica. Oggi si ripropone un dualismo tra le diverse ipotesi di sviluppo. Da una parte la ricerca di una soluzione interna al contesto che ci ha portato fino a questo punto: la crescita economica come diktat immutabile, la certezza che demografia e sviluppo sono indissolubilmente legati ad una crescita delle emissioni, la cieca fiducia nelle soluzioni tecnologiche. Dall’altra una scelta che oggi si impone come l’unica strada possibile: un cambio di paradigma che sostituisce alla crescita altri indici per valutare sviluppo e benessere, che l’economia si può assolutamente disaccoppiare alla crescita delle emissioni, che si può agire orchestrando una serie molto ampia di soluzioni.
Appare chiaro che il “fuoco di copertura” mediatico serva a riportare la discussione in un ambito noto che vede l’economia come l’unica variabile indipendente di tutti i processi decisionali. Tutto il resto ruota intorno all’economia e si piega ad essa. Oltretutto il modello economico di riferimento è un modello che crede ciecamente nelle virtù del mercato, capace di trovare in ogni situazione la migliore soluzione, come ricordano oggi citando il caso dei vaccini. Quindi, pur di non mettere in discussione tale modello, si invocano soluzioni per rimuovere la CO2 dall’atmosfera. Agitano questa come l’unica soluzione per contrastare l’aumento di temperatura. E’ molto probabile che quello che accadrà sarà un incentivo ad emettere ancora di più. E’ storia già vista con la produzione elettrica da nucleare: la maggiore disponibilità a basso costo provoca un aumento dei consumi. E’ formalizzato nel paradosso di Jevons. Ai nostri figli lasciamo le scorie.
La pandemia ci ha insegnato che nulla è impossibile, anche fermare l’economia, o almeno rallentarla fortemente. Dicono che le emissioni non si possono arrestare con un click. Eppure la società si è fermata con un DPCM. Si, ma si dice che i costi siano insostenibili.
Ciò che si propone è una trasformazione: più è lenta, più è pianificata (per i liberisti un orrore) meno dolorosa sarà. Negli ultimi 50 anni abbiamo assistito a rivoluzioni silenti ma non meno radicali: l’automazione nell’industria, l’economia finanziaria, la logistica, il digitale, l’ITC. Queste rivoluzioni, imposte dagli animal spirits della libera concorrenza hanno creato distruzioni e ricostruzioni. Non si capisce perché la transizione verso un’economia sostenibile debba creare necessariamente solo distruzioni. Le rivoluzioni precedenti per certo una cosa hanno prodotto: un aumento spropositato delle diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Il totem della crescita non serve ad accrescere il benessere ma le diseguaglianze. Il tema oggi è quello di accettare un’economia che non cresce (per i liberisti un concetto ostico: preferiscono urlare contro la decrescita) ma si preoccupa di far accedere quante più persone possibili ad un livello minimo di benessere: il tema è la redistribuzione più equa della ricchezza. Ce n’è d’avanzo per far mangiare tutti.
Dal Protagora di Platone:
«Vi era un tempo in cui esistevano gli dèi, ma non ancora razze mortali. Quando anche per queste giunse il tempo destinato alla generazione, gli dèi le plasmarono all’interno della terra, mescolando terra, fuoco e gli elementi che si combinano col fuoco e con la terra. Immediatamente prima di portarle alla luce, incaricarono Prometeo ed Epimeteo di ordinarle e di distribuire ad ognuna le possibilità confacenti. Epimeteo pregò Prometeo di lasciargli il compito della distribuzione. «Dopo che avrò distribuito, disse, tu verrai a controllare.» Ottenuto il suo consenso, si mise all’opera. Nella distribuzione assegnò ad alcuni la forza senza la velocità; ad altri più deboli assegnò la velocità; dotò alcuni di mezzi di difesa e di offesa; per altri, che aveva provvisti di natura inerme, escogitò qualche altra possibilità di conservazione. Agli animali che foggiava piccoli concedeva ali per la fuga o un’abitazione sotterranea; a quelli che faceva grandi di corpo, dava modo di conservarsi con la loro grandezza. Così distribuì le altre doti in modo che si compensassero. Escogitandole, aveva la precauzione che nessuna razza si estinguesse. Distribuisce cibi e stabilisce l’equilibrio tra predatori e prede... Dopo che le ebbe dotate in modo che sfuggissero alla distruzione reciproca, elaborò espedienti di difesa contro le intemperie del cielo: rivestì le razze di fitto pelame e di dure pelli, sufficienti a proteggere dall’inverno, ma capaci anche di difendere dai calori estivi, e fece in modo che questi rivestimenti costituissero, quando andavano a dormire, coperte proprie e naturali. E calzò alcune di zoccoli, altre di pelli spesse e senza sangue. In seguito fornì ad ogni specie cibi diversi: ad alcune l’erba della terra, ad altre i frutti degli alberi, ad altre ancora le radici. E ve ne sono altre alle quali diede come cibo la carne di altri animali; a queste egli assegnò scarsa prolificità, alle loro prede, invece, grande prolificità, procurando così la conservazione della specie. Ma Epimeteo, che non era un gran sapiente, non si accorse di aver consumato le possibilità in favore degli animali senza ragione: il genere umano rimaneva ancora privo di ordine ed egli non sapeva che fare. Mentre era in difficoltà sopraggiunse Prometeo per esaminare la distribuzione e vide che gli altri animali erano forniti di ogni cosa in giusta proporzione, mentre l’uomo era nudo, scalzo, senza coperte e inerme. Ormai era imminente il giorno destinato in cui anche l’uomo doveva uscire dalla terra alla luce. Preso dalla difficoltà di trovare una via di salvezza per l’uomo, Prometeo rubò l’abilità tecnica di Efesto e di Atena insieme col fuoco (perché acquisire o impiegare questa tecnica senza il fuoco era impossibile) e ne fece dono all’uomo. Con essa l’uomo ottenne la sapienza per la vita, ma non la sapienza politica.»
Dovette intervenire Zeus che, temendo l’estinzione totale della nostra specie, consegnò all’uomo il rispetto e la giustizia affinché costruissero le città nei vincoli di solidarietà e di amicizia. Ma sembrerebbe che l’uomo nei secoli abbia tradito gli insegnamenti dell’Olimpo. E’ rimasto, invece, sempre fedele al mito di Prometeo, il difensore degli uomini, esaltando il dono della tecnica da lui ricevuto.
Il povero Epimeteo è quello che “si accorge in ritardo” secondo la lettura prevalente. Deve intervenire Prometeo per “aggiustare” le cose. Aggiustarle per la visione antropocentrica, squilibrarle per una visione naturale. In effetti, Epimeteo sembra riflettere prima di agire: le sue decisioni appaiono guidate da un approccio ecosistemico.
Ecco, per rifarci alla mitologia, oggi occorre recuperare il sostenibile mito di Epimeteo per scalzare il rovinoso mito di Prometeo che ci ha guidato in questi secoli, portandoci in queste condizioni.
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