"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Afghanistan, una tragedia moderna. Il cui bandolo non può che stare nella parte migliore della società afghana.

Afghanistan, il paese delle albicocche

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (117)

di Michele Nardelli

(23 agosto 2021) Nell'assistere ai drammatici avvenimenti e nell'ascoltare le informazioni e i commenti sull'evolversi della guerra infinita che devasta ed annichilisce l'Afghanistan, provo una forte ma anche soffocata indignazione. Forte perché nel tempo ho imparato a conoscere e ad amare questo paese; soffocata perché nel mettere al primo posto la necessità di salvare donne e uomini che si sono spesi contro i signori della guerra, m'interrogo se il dire dell'arroganza dei potenti e dell'ipocrisia di chi più o meno consapevolmente ha assecondato quel disegno, non possa mettere in pericolo la vita di qualcuno.

Credo altresì che l'azione umanitaria non vada disgiunta dalla verità, a partire dal fatto che questa tragedia infinita qualcuno l'avrà pur causata, qualcun altro l'ha assecondata per convinzione o fedeltà, altri ancora hanno accettato di agire sotto l'ombrello militare degli occupanti senza esprimere una qualche forma di autonomia politica. Tanto è vero che tutti gli attori di questa guerra durata quarant'anni e non ancora finita – pur con diverse responsabilità – hanno fatto propria l'opzione militare, come se non sapessero che avrebbe lasciato dietro di sé macerie di ogni tipo.

E allora, mentre cerchiamo di rispondere all'appello degli amici afghani per creare vie di salvezza di fronte alla barbarie di chi invoca una tradizione che nemmeno conosce, non si può tacere delle responsabilità di chi ha voluto l'operazione Enduring Freedom e, in nome della civiltà, ha riversato su quel paese distruzione e morte, propaganda e menzogne.

A cominciare con il diffondere un immaginario pietroso e polveroso di un paese grande quanto due volte l'Italia, dove vivono quasi 40 milioni di persone, ricco di ecosistemi, di risorse naturali e di cultura, che lungo la storia ha rappresentato un passaggio cruciale lungo la via della seta e delle comunicazioni fra Oriente e Occidente, ma soprattutto importante sotto il profilo geopolitico stretto com'è fra le grandi potenze della regione. Immagine che corrispondeva a quell'idea di “scontro di civiltà” funzionale ad un Occidente che – non avendo fatto i conti con il proprio passato coloniale – ancora pretende di essere il centro del mondo.

E, per tutto questo, nel mirino degli interessi geopolitici, a partire dal colpo di stato con cui venne posto fine nel 1979 alla giovane democrazia riformatrice nata con la caduta della monarchia, per proseguire con l'invasione sovietica del 27 dicembre di quello stesso anno (dieci anni di occupazione che segneranno anche simbolicamente la fine dell'URSS), cui seguì la caduta dell'Afghanistan nelle mani dei Talebani, per giungere al 2001 quando gli Stati Uniti d'America, dopo l'attentato alle Torri gemelle, faranno di questo paese il capro espiatorio della lotta al terrorismo internazionale e della caccia a Osama bin Laden, wahabbita saudita (paese tradizionalmente alleato degli USA nella regione) che poi verrà catturato e ucciso in Pakistan (altro paese sotto l'influenza statunitense). Un'occupazione al di fuori del diritto internazionale che durerà vent'anni.

L'operazione “Libertà duratura”, secondo lo studio The cost of war”, avrà un costo finanziario complessivo di 6.400 miliardi di dollari ed un costo in vite umane di circa 170 mila caduti (47.000 civili afghani, 66.000 soldati e forze dell'ordine afghani, oltre 51.000 talebani, 2448 soldati americani a cui si devono aggiungere 3846 contractor, 1144 soldati della coalizione internazionale), nonché 444 operatori umanitari e 72 giornalisti.

Sarà così duratura questa libertà che dopo vent'anni i Talebani ritornano al potere dopo un accordo, quello di Doha del febbraio 2020, in cui l'allora presidente Trump scarica senza nemmeno invitarle ai negoziati le fragili istituzioni afghane, legittimando così quelli che prima considerava nemici mortali.

Ora tutti esprimono costernazione e stupore che sanno di ipocrisia. Perché del ritiro dei soldati della coalizione occidentale che peraltro avrebbe già dovuto avvenire nel 2014 e dilazionato fino ad oggi, tutti sapevano. Come dello sfarinarsi delle istituzioni di una democrazia d'importazione e del campo libero lasciato ai Talebani (armi comprese), già piuttosto chiaro a Doha. O della corruzione di una classe dirigente che grazie agli aiuti internazionali si è arricchita. Anche questo un classico. Di un'economia in cui un terzo del budget pubblico andava in armamenti, come di quella parallela fondata sulla coltivazione del papavero da oppio, non certo un segreto. E, infine, del clima di vendetta che ne sarebbe venuto al ritiro della coalizione internazionale, com'era del resto già accaduto quando se ne andarono le truppe sovietiche.

Se ci pensiamo, quello che stiamo descrivendo è uno scenario sempre più frequente nella post modernità. Basta osservare le immagini dei miliziani per comprenderlo, pressoché uguali in ogni parte del mondo. Ma lo stesso potremmo dire del conflitto fra città e campagna, dell'accanimento contro la cultura e gli intellettuali, del disprezzo verso le donne.

Erano esattamente queste le ragioni per le quali, nel 2011, come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani lanciammo “Afghanistan 2014”, un programma pluriennale che cercava per tempo di dar voce all'Afghanistan estraneo alle armi, di costruire relazioni di amicizia e di scambio valorizzando le forme di partecipazione civica e le istituzioni culturali, di dar vita a forme di gemellaggio fra Università e centri di ricerca e formazione, di far conoscere la vitalità di questo paese pur nell'enorme difficoltà della ricostruzione di un tessuto di coesione sociale, nel descrivere ironicamente quel che avveniva nelle istanze internazionali di una diplomazia rituale e fondamentalmente neocoloniale che attraverso gli aiuti aveva contaminato gran parte degli attori accreditati. Ne venne anche un film1, una trilogia che gli autori Razi e Soheila Mohebi avrebbero dovuto completare proprio in Afghanistan se ce ne fossero state le condizioni sul piano dell'agibilità politica. Che non c'era ben prima del ritorno al potere dei Talebani.

Pensavamo insomma ad un processo politico/istituzionale di riconciliazione, ma trovammo le porte chiuse, a dire la verità più qui che in Afghanistan.

Ora tutti o quasi chiamano all'azione umanitaria, se non altro verso chi ha collaborato con le forze della coalizione occidentale, senza nemmeno vedere che c'è una popolazione che alla ricostruzione di un tessuto sociale, culturale e politico – che non si riconosceva né negli occupanti, né nei signori della guerra travestiti da governanti o/e da uomini d'affari, né infine negli studenti coranici ormai invecchiati e diventati armi in pugno un contropotere territoriale di natura etnica o clanistico-mafiosa – ci credeva davvero.

E se una piccola parte di questo “altro” Afghanistan cercherà di mettersi in salvo (del resto sono già oltre cinque milioni gli afghani che nel corso degli anni si sono rifugiati altrove), immagino che larga parte sarà costretta o deciderà di rimanere.

A questa popolazione chi ci penserà? Spero solo che la parte migliore degli afghani (in Afghanistan come nella diaspora) abbia ancora la forza di rimboccarsi le maniche muovendosi nelle pieghe della società e delle contraddizioni di un paese così complesso che per forza costringerà i Talebani a venire a patti. E che, da parte nostra, all'opzione militare si sappia sostituire quella che in questi anni Razi e Soheila ci hanno insegnato a conoscere.

1 Afghanistan 2014 - Campo lungo. https://vimeo.com/43411064 (password: sepanta) e Afghanistan 2014 – Dettaglio. https://vimeo.com/90638382 (password: filmwork2014)

 

 

11 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Sara il 27 agosto 2021 15:52
    Molto, molto interessante. Condivido.
  2. inviato da Ilaria il 27 agosto 2021 11:40
    Grazie. Un po' di ossigeno... che respiro e che diffondo sulle mie chat.
  3. inviato da Fausto Marchi il 27 agosto 2021 11:29
    Grazie Michele. Illuminante per chi come me non conosceva queste dinamiche.
  4. inviato da Mimmo Pontillo il 27 agosto 2021 11:24
    Grazie Michele, rimango impietrito alla lettura del tuo scritto. Il tuo racconto e la tua analisi dono drammaticamente chiare ma come sempre provi a guardare con occhi di speranza al futuro. Un abbraccio.
  5. inviato da Angela Falla il 27 agosto 2021 11:24
    Ottima analisi.
  6. inviato da Marianella il 27 agosto 2021 11:20
    Continua a tenerci informati e facci sapere se si può fare una mano. Lo giro su fb.
  7. inviato da Adel il 27 agosto 2021 11:18
    Ciao Michele, ho letto il tuo intervento con attenzione. E' incisivo e una pertinente lettura critica. Ma nell'oceano dei media main stream galleggiano parzialità, malafede e tanta ipocrisia. Un caro saluto.
  8. inviato da Silvama il 26 agosto 2021 10:22
    Perfetta e lucida disamina
    Grazie
  9. inviato da Micaela Bertoldi il 25 agosto 2021 21:21
    Condivido amarezza e sdegno di fronte all'ipocrisia dei Paesi "occidentali" e non che hanno trasformato l'Afghanistan in zona di sfida tra interessi e poteri economici e militari, terra in cui scaricare strumentalmente resa di conti e vendette contro il Terrorismo apparentemente contrastato, nella pratica invece sostenuto e anche finanziato.
    Di fronte alla catastrofe in corso è acuto il senso di impotenza.
  10. inviato da Dusica il 25 agosto 2021 21:03
    In un momento come questo, essere ottimisti che un'azione civile possa contribuire ad aiutare i deboli e gli indifesi, è veramente difficile.
  11. inviato da agotof il 24 agosto 2021 10:23
    Analisi corretta, soluzioni generiche (la solita presunta contrapposizione fra potenti e popolazione che dimentica secoli di storia) e irrealizzabili in un contesto complesso dove le parole e le azioni hanno significati completamente diversi da quelli che riteniamo esserlo per noi. Rimbocchiamoci le maniche per aiutare l'esigua minoranza che si è illusa di cambiare l'Afganistan con l'aiuto interessato degli occidentali a salvare la pelle.
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