"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Prima che sia troppo tardi.

foto di Luigi Ottani

di Michele Nardelli

(28 settembre 2021) Che il mondo della società civile e del volontariato s'interroghi sul proprio tempo e sul senso del proprio agire non è affatto scontato, anzi. Lo dovrebbe essere, certo, ma nel rincorrere le situazioni di emergenza sulle quali tende ad essere piegata una parte importante dell'associazionismo prevale la tendenza a dare risposte immediate e una progettualità funzionale ad intercettare bandi (finanziamenti) tendenzialmente corrispondenti all'orientamento dei decisori politico-istituzionali.

Nel delirio del fare, nel pragmatismo senza pensiero, nel prendersi cura senza andare alle radici dei conflitti e dell'esclusione, possiamo leggere uno degli effetti del malessere che investe la nostra società.

Andare alla radice significa mettere in discussione poteri consolidati che dalle diseguaglianze e dall'utilizzo irresponsabile delle risorse traggono profitti e privilegi. Insomma bisogna cambiare ed essere visionari, perché quello che abbiamo non è affatto il migliore dei mondi possibili.

E' per questa ragione che assume particolare valore la nuova edizione della “Settimana dell'Accoglienza” promossa dal CNCA in Trentino Alto Adige – Südtirol, nella consapevolezza che di fronte alla sindemia – l'intreccio di crisi ambientale, climatica, sanitaria, demografica, migratoria, economica, sociale, ma anche morale, culturale e politica – per costruire non solo politiche di accoglienza ma prima ancora scelte strutturali in grado di prevenire le crisi (compresa quella migratoria) occorre connettere eventi apparentemente estranei l'uno all'altro come altrettante manifestazioni dell'insostenibilità di questo modello di sviluppo. «Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe» scrive Walter Benjamin riferendosi all'“Angelus novus” di Paul Klee. Era il 1921, cent'anni fa. Le macerie ancora fumavano. Il Novecento si era presentato con la prima guerra mondiale.

Un secolo dopo – oltre a decine di guerre tradizionali diventate endemiche – la terza guerra mondiale si svolge, prima ancora che con gli strumenti “convenzionali”, con il suprematismo, i muri materiali ed immateriali, l'indifferenza, l'esclusione.

Nelle crisi che affollano il nostro tempo la via d'uscita non è – come testimonia Francesco – «di far funzionare meglio quello che già facevamo»1, bensì «della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo»2.

Diviene urgente cambiare i vecchi paradigmi che ci hanno portati sin qui, sperimentando nuove strade, prima che sia troppo tardi. Perché, di fronte al rovesciamento del tradizionale rapporto fra tempi storici e tempi biologici, questi ultimi corrono più veloci delle nostre esistenze (tempi storici) precipitandoci in una condizione inedita che ci chiede di cambiare rapidamente il nostro modo di pensare e di vivere, ben sapendo che i processi culturali richiedono tempi lunghi di sedimentazione. Abbiamo anche sperato che la pandemia rappresentasse una sorta di epifania, che potesse emergere «il bisogno spasmodico di fermarsi»3, ma tutto è di nuovo come prima.

Trecento anni di positivismo ci hanno portato ad immaginare il progresso come una freccia irrefrenabile, dove la scienza si sarebbe incaricata di affrontare di volta in volta i “danni collaterali”.

Danni collaterali... Così le magnifiche sorti progressive ci hanno consegnato il “secolo degli assassini” (nel secolo scorso sono morte in guerra un numero di persone tre volte superiore a quelle cadute nei 19 secoli precedenti del calendario gregoriano), i campi della morte, un rapporto predatorio fra uomo e natura, una spirale consumistica che ha generato subalternità alle cose e al loro possesso, un senso di onnipotenza malgrado il concetto di limite sia iscritto nelle nostre stesse esistenze.

Un progresso – per riprendere l'aforisma di Andrea Zanzotto – diventato scorsoio4, nel quale ciascuno di noi è al tempo stesso vittima e carnefice.

La sindemia ci dovrebbe indurre ad un bagno di umiltà e ad interrogarci sul fatto che da questa nostra insostenibilità (l'impronta ecologica ci dice che consumiamo 1,7 volte quel che gli ecosistemi terrestri sono in grado di produrre) o si esce riconsiderando il nostro modo di vivere, oppure con la logica dello scarto.

La cultura del limite, il bene comune, la nonviolenza... un viaggio dentro il genere umano senza reticenze sulle nostre zone grigie, capace di un “nuovo racconto”. «Un comune destino ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene. O tutti quanti o nessuno»5.

1Papa Francesco, Lettera Enciclica “Fratelli tutti”

2Papa Francesco, Lettera Enciclica “Laudato si'”

3Alessandro Baricco, Quel che stavamo cercando. Feltrinelli, 2021

4Andrea Zanzotto, In questo progresso scorsoio. Garzanti, 2009

5Mariangela Gualtieri, Nove marzo duemilaventi.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Paolo Colpo il 01 ottobre 2021 22:20
    Proprio ieri sera stavamo commemorando all'Isolotto la figura di Langer assieme a Boato, Ermanno e tanti altri tra cui la moglie. E proprio lei ci ricorda la reazione alle encicliche da te citate fosse: ma sono copiate dal pensiero di Alex!!
    questo per ricordare quanto certi valori vengano da lontano siano comuni ma ancora tanto troppo da applicare. Ciao Michele
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