"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

G20, l'inversione di rotta che non c'è.

futuro presente

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (119)

di Michele Nardelli

(1 novembre 2021) Roma in questi giorni è stata la capitale dei potenti della Terra.

Se è vero che il nostro pianeta sta correndo verso il baratro, se è realistico il Rapporto dell'IPCC ovvero della Commissione per il Clima delle Nazioni Unite (https://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=4671), se sono attendibili le previsioni dell'Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), agenzia dell'ONU che nel suo Bollettino annuale sui gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto) afferma che siamo ben oltre le previsioni di aumento di 2 gradi entro il 2030 oltre i quali le conseguenze sarebbero catastrofiche, i rappresentanti dei 20 paesi più “grandi” della Terra avrebbero dovuto in primo luogo chiedere scusa. Non facendolo, non mettendo in altre parole in discussione i modelli di sviluppo che ci hanno portati a questa situazione, non hanno né la credibilità ma, a guardar bene, nemmeno la volontà di invertire la rotta. Ed in effetti, malgrado i proclami di successo e i riconoscimenti formali, il summit non ha fatto altre che dilazionare gli impegni. 

Il riposizionamento dei 20 “Grandi” – come ha scrtto Bruno Neri, uno dei promotori del The last Twenty, si sarabbe soffermato «sugli effetti delle crisi che attraversano il pianeta, senza toccarne le cause», senza cioè affrontare le ragioni che hanno portato alla sindemia in atto, l'intreccio delle crisi sanitarie, ambientali, climatiche, economiche, sociali, militari, demografiche, migratorie, che non sono un incidente di percorso lungo il tragitto inarrestabile della freccia del progresso, bensì l'effetto di un paradigma insostenibile che ci sta portando alla deriva.

Era sufficiente ascoltare le parole dei potenti per comprendere come non vi fosse alcun ripensamento di fondo. Le parole sono importanti. Parlare di paesi poveri, come se la povertà fosse l'esito della sfortuna o dell'arretratezza culturale, ci fa capire quanta ipocrisia percorra i protagonisti del G20. Con Mauro Cereghini lo scrivemmo già quattordici anni fa1: non esistono paesi poveri, semmai esistono paesi impoveriti. Anzi, più questi paesi sono ricchi di materie prime, più sono a rischio di impoverimento per effetto di spogliazione, assoggettamento al debito, vecchi e nuovi colonialismi. Perché è nelle scelte dei grandi della Terra, nel loro modello di sviluppo, nel loro controllo attraverso i processi finanziari dell'economia globale, che si annidano le cause tanto dello squilibrio crescente quanto della crisi ecologica che mette a rischio la vita del genere umano sulla Terra.

«Non ricchi e poveri, ma arricchiti e impoveriti, come ha correttamente precisato il controcanto al G20 fatto dal “The last Twenty”, in un percorso partito da Reggio Calabria lo scorso 23 e 24 luglio, passato per Roma, Abruzzo e Molise e Milano, che si concluderà il 27 e il 28 novembre 2021 a S.Maria di Leuca» scrive ancora Bruno Neri.

E' importante dar voce ai “Last Twenty”, a quella moltitudine che ha nelle sue mani un'infinitesima parte della finanza globale, agli “scarti” come li chiama Francesco Bergoglio. Anche se sappiamo bene come la cultura dell'avere abbia devastato le coscienze anche fra i piccoli della Terra, quel processo di autocolonizzazione per effetto del quale gli esclusi molto spesso la pensano come gli inclusi, in una guerra a chi affonda per ultimo.

A S.Maria di Leuca nascerà un Manifesto. Sarà il risultato di una carovana di pensiero e di buone pratiche, sulla base del quale cambiare il modello di sviluppo dominante, la filosofia della cooperazione internazionale, il nostro approccio verso la natura, i nostri comportamenti quotidiani sul piano dei consumi e del cibo, a partire dalla consapevolezza del limite, questa parola chiave che nel summit del G20 non ha avuto cittadinanza alcuna.

Occorreva ed occorre un ripensamento di fondo. In assenza di tale ripensamento, non c'era da aspettarsi granché. Ed in effetti è stato così. Il problema è che, in fondo, questa consapevolezza non la vediamo nemmeno nei volti di chi incontriamo per le strade del nostro ordinario consumismo.

Ma come è stato per i primi mesi della pandemia, quel che immaginavamo impossibile (“quel che stavamo cercando” scrive Alessandro Baricco nella sua raccolta di pensieri sulla pandemia2) si è almeno per un attimo materializzato, indicando che il treno nella sua folle corsa potrebbe essere fermato.

Ridurre la produzione di CO2 del 7,6% ogni anno, la condizione indicata dal IPCC per rimanere entro la soglia di aumento della temperatura nel 2030 (e non nel 2050!) di 1,5 gradi centigradi, sembra impossibile. Cambiare rotta nel modello di sviluppo e negli stili di vita, anche. Ma quella è la strada maestra da percorrere se vogliamo immaginare un futuro. Perché una di riserva non c'è o, meglio, è quella che il pianeta sta percorrendo nell'indifferenza dei potenti. E' la terza guerra mondiale in corso, si chiama esclusione.

1 Mauro Cereghini – Michele Nardelli, Darsi il tempo. EMI, 2008

2 Alessandro Baricco, Quel che stavamo cercando. Feltrinelli, 2021

 

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