"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Tangentopoli, trent'anni dopo.

Zampine pulite

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (121)

di Michele Nardelli

(20 febbraio 2022) Non amo gli anniversari, carichi come sono sono di retorica e di ritualità. Spesso diventano l'occasione per riscrivere pagine di storia all'insegna dell'aria che tira, come è avvenuto in questi giorni con la diffusa riduzione della stagione di “Mani Pulite” al tintinnar delle manette.

Eppure... se i trent'anni dall'arresto dell'allora presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano Mario Chiesa possono servire a riflettere sul passaggio di tempo che segnò la fine della prima Repubblica e del sistema politico che aveva retto il paese nel secondo dopoguerra, allora potrebbe valer la pena di parlarne e di scriverne. Anche perché il nostro presente è, almeno in una certa misura, figlio di quel tempo. E di quel gattopardismo, quando la caduta degli dei assunse un segno ben diverso da quello che avremmo auspicato.

Non eravamo fra quelli che tiravano monetine. Ci mettemmo tempo, pazienza, pensiero... altro che populismo. Scrivo queste righe solo perché mi fa incazzare una descrizione manichea secondo la quale o eri per un giustizialismo sommario oppure dalla parte del sistema dei partiti che avevano qualche problema di autofinanziamento.

Fin dall'inizio degli anni '80 considerammo l'intreccio fra affari e politica come una questione attorno alla quale si disegnavano le geografie di potere, che andavano oltre le forme della corruzione, indicando livelli decisionali molto spesso trasversali e capaci di incidere sulle scelte strategiche che investivano il futuro delle città e dei territori.

Era il maggio 1980 quando uscì il libro bianco “L'evasione fiscale nel Trentino”1. Per quanto artigianale si trattava di un minuzioso lavoro di denuncia sulle forme attraverso le quali il sistema fiscale lasciava aperte autostrade di sottrazione di materia imponibile che finivano nei paradisi fiscali. Disegnammo una prima ricostruzione degli intrecci societari che mostravano già allora una propensione sovra-regionale nelle piazze degli affari e degli stati offshore in Europa. Fino a quel punto sui giornali venivano pubblicati i redditi miliardari dei professionisti che non potevano celare le loro attività. Come Democrazia Proletaria del Trentino scegliemmo un'altra strada, quella di far sapere chi non dichiarava che le briciole. Mesi di lavoro a consultare i tabulati dei redditi delle persone fisiche note per la loro ricchezza ma che dichiaravano al fisco meno dell'imponibile di un lavoratore dipendente. Mettemmo a nudo per la prima volta nomi e cognomi e le cifre vergognose delle loro dichiarazioni, che stridevano con le trattenute alla fonte dei loro stessi dipendenti. Spiegammo i meccanismi della sottofatturazione, della soprafatturazione nelle fughe di capitali all'estero e il ruolo delle banche. E, infine, un'indicazione di lavoro e di trasparenza, l'istituzione dei Consigli Tributari Comunali per far valere il metodo induttivo nell'accertamento dei redditi.

Nel 1985 demmo alle stampe “Il potere”2. Con quel volume il nostro lavoro d'inchiesta fece un salto di qualità, indirizzato a mettere in evidenza il ruolo di società, personaggi ed intrecci che costituivano la ragnatela del potere economico e finanziario in Trentino. Setacciando società come ISA (Istituto Atesino di Sviluppo, la finanziaria della Curia), la Compagnia di Sviluppo di Giorgio Domenichelli, l'ITAS, il Gruppo Tosolini e le operazioni immobiliari più significative che investivano il Trentino. Una ragnatela che nessuno fino a quel momento aveva mai osato sfiorare. Scattarono le prime denunce, che non ebbero alcun esito perché scrivere quel che tutti avrebbero potuto sapere non era un reato. Il clima era intimidatorio e le inchieste della Magistratura di là da venire.

Era ancora così nel dicembre 1991 quando uscì “Affari & Politica”3. Con questo nuovo capitolo di inchiesta Solidarietà ereditò il prezioso lavoro di indagine che era stato di DP del Trentino, impreziosendolo di dati e collegamenti nonché di una prima descrizione del gruppo di potere che chiamammo degli “emergenti”, i protagonisti di quell'oligopolio collusivo che stava per mettere le mani sui grandi affari in questa terra. Nuove mappe descrivevano gli imperi finanziari che avevano messo radici in Trentino, le società, gli Istituti di Credito, i personaggi. Eravamo i rompiscatole che da mesi frugavano fra i libri societari nelle stanze dei Tribunali. Lo facevamo non per mandare in galera qualcuno ma in primo luogo per sapere con chi avevamo a che fare nel nostro lavoro politico quotidiano e poi per contrastare le iniziative del “partito degli affari”. Non c'erano ancora avvisaglie su quel che sarebbe accaduto due mesi più tardi con lo scoppio di Tangentopoli, ma le collusioni fra affari e politica erano evidenti.

Di certo eravamo sul pezzo. Non nel rincorrere gli avvenimenti, più o meno demagogicamente, come qualcuno cercò di fare. Non c'erano nel nostro lavoro cadute giustizialiste, bensì la denuncia di un intreccio che pesava sul presente e sul futuro della nostra comunità. Che rappresentava un pericolo per la democrazia.

E fu proprio questo il cuore del nuovo lavoro editoriale che uscì nel dicembre dello stesso anno, “Affari & Politica 2”4, nel pieno dell'inchiesta “Mani Pulite” che ancora non aveva colpito in Trentino quella che nel libro definimmo “la cupola degli emergenti”. Il clima era cambiato, eravamo un po' meno soli. Oltre agli interventi dei componenti il nostro gruppo di lavoro, ospitammo gli scritti di Vittorio Cristelli (che ne curò la prefazione) e dei giornalisti Pierangelo Giovanetti e Domenico Sartori, una tavola rotonda curata da Walter Nicoletti cui parteciparono Gianni Barbacetto, Emilio Molinari, Basilio Rizzo, Elio Veltri. Riportammo un intervento del magistrato Antonio Di Pietro “La corruzione politica in Italia”. E, infine, la Proposta di legge di iniziativa popolare che lanciammo in quei mesi “Norme per la trasparenza negli appalti pubblici” che dopo qualche mese venne in larga misura recepita nella LP 44/1993. A testimonianza del carattere politico e propositivo del nostro lavoro.

Un mese dopo l'uscita di “Affari & Politica 2” saltò il banco. Il 23 gennaio 1993 venne arrestato per concussione Mario Malossini, fino a qualche mese prima presidente della Giunta Provinciale. Stava crollando un sistema ma paradossalmente «il segno di questa rivoluzione non è quello di chi si è opposto all'intreccio fra affari e politica, all'identificazione fra politica e potere. Al contrario, sembrano prevalere coloro che si candidano a garantire la continuità di quel sistema di relazioni economiche che proprio stava all'origine della corruzione e dell'ingiustizia». Scrivevamo così nel settembre di quello stesso anno quando uscì un nuovo dossier di Solidarietà intitolato “Diccì s.p.a.”5. Il Trentino non era un'isola felice e non c'erano semplicemente delle mele marce. Il problema era che il potere si reggeva su un vasto ed organizzato consenso sociale. «A questo proposito – scrivevamo – non ci stanchiamo di affermare, anche contro certo scandalismo giustizialista, che non può essere solo e tanto la galera, e la cultura della pena che presuppone, a demolire il sistema del malaffare... E ciò a maggior ragione quando l'intreccio fra “affari & politica” è avvenuto nel rispetto delle leggi che proprio questo sistema si era dato, dunque alla luce del sole ed in un contesto di ampio consenso sociale...».

Ritroveremo il senso di queste parole nelle riflessioni di Gherardo Colombo6 (che pure invitammo a Trento in quei mesi per una serata di rara intensità), laddove già si poteva intravvedere che il nuovo sarebbe stato – in assenza di elaborazione collettiva – fors'anche peggiore del passato. Il cambiamento politico non poteva essere affidato alla Magistratura. Ne vennero anni torbidi, la destra agitava in parlamento il cappio delle forche, le mafie inaugurarono la stagione dello stragismo, un piduista come Berlusconi che negli intrecci politico-affaristici della prima Repubblica aveva fatto le proprie fortune divenne presidente del Consiglio. I poteri forti anche in Trentino si riorganizzarono.

Tanto che il libro successivo uscito nel marzo del 1995 si intitolava proprio così: “I potenti del 'dopo' Tangentopoli”7. I nomi di questi potenti erano lì nero su bianco: Pietro Tosolini, Ernesto Bertoli, Giovanni Stirpe, Mario Marangoni, Franco Tretter. Significavano rispettivamente le mani di un articolato impero finanziario sulla pianificazione delle aree strategiche di Trento nord, il turismo d'assalto fra Val di Sole e Monte Bondone, l'affare Interporto ovvero una infrastruttura già vecchia prima ancora di nascere, il gotha dell'industria trentina, la riorganizzazione di un blocco di potere intorno al PATT dopo la fine della DC.

Lavorammo per liberare la politica dagli affari. Avevamo chiaro come la questione morale fosse una delle cause del dissesto della finanza pubblica ma anche del venir meno del rapporto di fiducia fra cittadini e istituzioni. L'impegno contro i privilegi rappresentò la naturale continuazione del nostro percorso di denuncia e di proposta. E voglio credere che anche in questo modo rendemmo possibile una nuova stagione politica che si configurò – pur fra mille contraddizioni – come un'anomalia in un arco alpino che si era gettato fra le braccia della Lega.

Nel paese mancò non solo la “soluzione politica”, che pure venne proposta dal pool di Mani Pulite. Prevalsero i trasformismi, lo spaesamento rancoroso, l'atomizzazione e il venir meno della coesione sociale. La politica abdicò al proprio ruolo di cambiamento che del resto la magistratura non poteva assolvere. «La strada principale per cambiare non è quella giudiziaria» scriveva già allora Gherardo Colombo. Partecipazione, solidarietà, responsabilità avrebbero dovuto essere la cura attraverso la quale mettere in discussione il retroterra culturale del malaffare e ricomporre il patto sociale andato in frantumi.

Anziché intraprendere un percorso di rigorosa revisione delle procedure e di trasparenza (ma anche di verità sul passato), si scelsero strade più accomodanti, lasciando che il silenzio facesse finire nell'oblio gli scheletri come gli armadi. Piuttosto diffusi in un paese dove i fini giustificavano i mezzi e valevano le doppie verità. Il fatto è che senza elaborazione il passato non passa. Incombe invece. Ed è questa la ragione per la quale - a trent'anni da quegli avvenimenti - ciascuno appare chiuso nella propria verità, la società sembra più smarrita che mai e ossessionata dal “prima noi”, affari e politica non hanno mai smesso di intrecciarsi fino a diventare una dimensione patologica.

La distanza con la realtà di un mondo alla deriva, reso inguardabile e invivibile da un'idea di sviluppo all'origine di una sindemia mortifera dalla quale non sappiamo come uscire se non riproducendo la normalità che l'ha prodotta, richiederebbe un netto cambio di rotta. Che invece non c'è e che non vogliamo perché temiamo di dover rinunciare a qualcosa e di doverci caricare responsabilmente il dolore del prossimo.

A pensarci bene la rigenerazione che avrebbe potuto farci uscire diversi dalla stagione di Tangentopoli è ancora lì dove non l'abbiamo saputa cogliere, ineludibile. Si chiama “cultura della responsabilità”.

6 Gherardo Colombo, Il vizio della memoria. Feltrinelli, 1996 

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Silvano il 21 febbraio 2022 08:20
    Bella e intensa ricostruzione
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