"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
L'intervista a Mauro Ceruti a Repubblica
"L'emergenza climatica, la pandemia, e oggi la guerra in Ucraina. Sembra che l'umanità stia affogando, ma non dobbiamo abbandonare la speranza. La storia umana è piena di svolte imprevedibili". Nella sua ricca vita accademica Mauro Ceruti, 68 anni, ha spaziato dalla filosofia della scienza alla psicologia e alla sociologia, nel solco di Geymonat e Piaget, fino all'incontro e all'amicizia con Edgar Morin. Per la sua riflessione interdisciplinare sul tema della complessità è stato insignito ieri del premio Nonino a "Un maestro del nostro tempo". Qui riflette sulla specificità del conflitto che oggi insanguina Kiev, sul ruolo dell'Europa e sulla via per assicurare un futuro a homo sapiens.
I suoi studi si soffermano sul concetto di complessità. Quella del presente che specificità ha?
"Le grandi crisi globali di oggi sono insieme sociali, sanitarie, politiche, economiche e riguardano sia il rapporto delle popolazioni tra di loro sia il rapporto dell'uomo con la Terra. Complessità è una parola che ultimamente viene usata a sproposito. Ma ricordiamo che deriva dal latino complexus, ossia stretto, intrecciato insieme: significa che le varie dimensioni non possono essere separate: nella vita quotidiana di milioni di persone ciò implica l'impossibilità di semplificare queste interconnessioni. Dobbiamo pensarci come in un'opera di Escher, seguendo la lezione di Calvino sul compito di rappresentare il mondo come un groviglio, senza attenuarne l'inestricabile complessità, ossia la presenza simultanea di elementi eterogenei che concorrono a determinarlo. L'unica soluzione per affrontare la complessità è ciò che io chiamo umanesimo planetario, la consapevolezza che le sfide del presente si possono affrontare soltanto uniti, come specie".
"Viviamo un paradosso. Siamo entrati nel nuovo millennio indietreggiando, con coazioni a ripetere novecentesche. Come se il mondo fosse ancora un meccanismo controllabile. Si tratta di un atteggiamento anacronistico che permea l'economia, la politica, persino il modo cui si insegna nelle università. Gli Stati tornano ad essere centrati su sovranità nazionali e confini, ciò che ha portato alle tragedie del XX secolo. Non c'è consapevolezza di uno snodo cruciale che ha già cambiato tutto: a Hiroshima, nel 1945, la bomba atomica, creata grazie alla potenza del nostro genio e alla rivoluzione introdotta dalla fisica, ha dimostrato che ci siamo trasformati in una specie biologica potenzialmente suicida. C'è una nuova possibilità di autoannientamento della specie umana. La minaccia nucleare ci mette in costante pericolo".
Quindi è la minaccia nucleare il vero focus del conflitto che si svolge in questo momento in Ucraina?
"Durante la guerra fredda l'arma nucleare era controllata da due superpotenze. Oggi è miniaturizzata, sfugge a un controllo bipolare. L'interconnessione ulteriore che caratterizza il mondo globalizzato fa sì che persino un evento fortuito possa far esplodere, nel gioco delle minacce reciproche, la guerra nucleare. Il matematico e meteorologo Edward Lorenz chiamava questa interconnessione "effetto farfalla": una piccolissima causa può provocare effetti enormi".
Qual è l'effetto farfalla nel caso della minaccia nucleare?
"Cambia tutto l'equilibrio, perché spinge a trattenersi dal fare atti che sarebbero possibili in una guerra tradizionale. Restiamo imbrigliati nel vecchio paradigma consolidato della storia umana: "vinco io o perdi tu?", mentre l'aumento della potenza tecnologica e l'interconnessione fanno sì che una guerra condotta oggi alle estreme conseguenze non possa produrre vincitori e vinti, ma soltanto vinti. Non solo per gli effetti catastrofici diretti, ma per le conseguenze indirette sull'intera biosfera. Ciò implica anche un'estensione della nostra responsabilità che si estende nello spazio e nel tempo e riguarda gli ecosistemi e la specie".
Non è facile tuttavia comunicare questa responsabilità in un sistema che prevede molte bolle informative e culturali che non comunicano tra di loro e trasmettono narrazioni contrastanti.
"Questa è esattamente la descrizione di un sistema complesso secondo gli scienziati della natura: tante parti interagiscono tra di loro in modo complementare ma anche antagonista a formare un'unità. Ciascuna delle bolle ha una sua autonomia, si auto conserva e autoproduce ciò che serve alla sua sopravvivenza. Se tra le bolle non c'è comunicazione e cooperazione, il modello che ne esce è quello della globalizzazione conflittuale. Il paradigma della solidarietà si fonda invece sulla coscienza di un'appartenenza comune, planetaria. Mai come ora cultura ed educazione sono state fondamentali per trasmettere questa coscienza".
In tutto ciò, qual è il posto dell'Europa?
"Il destino dell'Europa è cruciale, perché l'Europa è stata il motore della globalizzazione: la mondializzazione è stata un'europeizzazione. Oggi invece è una provincia del mondo rispetto ai poteri globali. Ma può trarre dalla sua storia passata e dalle guerre mondiali, gli insegnamenti migliori. I grandi europeisti hanno concepito i popoli europei come uniti da un destino comune. Un'idea inedita, straordinaria. La storia europea è la storia di chi ha inventato il colonialismo, l'oppressione ma anche la democrazia e i diritti umani, il rapporto tra laicità e religione. Siamo stati un laboratorio ambivalente di convivenza tra le diversità, perché è il suo specifico rispetto ad altre civiltà è proprio il cambiamento continuo. Dall'Europa può venire una visione per il domani".
Esiste quindi una soluzione?
"Se non arriveremo a risolvere il paradosso che più siamo interconnessi più ci separiamo, andremo verso la catastrofe. Ma l'improbabile accade: la Storia è una creazione di nuove possibilità, non solo una realizzazione di traiettorie già date".
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