"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
È possibile riproporre qualcosa di simile alle "tregue natalizie" della Prima guerra mondiale, quando i soldati uscirono dalle trincee e iniziarono a fraternizzare? Immaginiamo un accordo
di Marianella Sclavi*
(21 ottobre 2022) C'è qualcosa di profondamente assente e gravemente sbagliato, nel dibattito in corso sulla guerra in Ucraina, come ha sottolineato Adriano Sofri. Chi non sa nulla di gestione alternativa dei conflitti è convinto che per porre termine a un conflitto bisogna ragionare sulla sua soluzione, e su queste basi cercare un accordo. Ma questo vale unicamente per i casi più semplici e in fondo banali. Nei casi più complessi la via della soluzione è esattamente l’opposto: si deve smettere di discutere sugli esiti e creare contesti nei quali gli attori in gioco possano uscire dai ruoli che li ingessano e immaginare liberamente dei futuri desiderabili. Dal primo Camp David del 1978, all’Accordo di pace del 1992 sulla guerra civile in Mozambico, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio, all’accordo del 2016 che ha posto fine a 50 anni di guerra civile in Colombia, è ampiamente dimostrato che è l’ascolto attivo e la convergenza sui futuri desiderabili la via maestra per porre fine al conflitto “intrattabile”.
È un approccio applicabile anche alla guerra in Ucraina? Come Mean, nelle nostre missioni in Ucraina (la prossima dal 24 al 26 ottobre), abbiamo a lungo discusso di questo con esponenti della società civile, della chiesa e dei governi locali. Di fronte alla nostra domanda: “Come si arriva ai negoziati?”, tutti quanti, qualsiasi sia la loro posizione e responsabilità, elencano una decina di Accordi, Patti, Trattati, a livello europeo e internazionale, sottoscritti e poi non rispettati dalla Federazione russa. A incominciare dal Memorandum di Budapest del 1994, con la quale l’Ucraina ha “restituito” alla Federazione russa tutte le armi nucleari in suo possesso (1900 testate nucleari) in cambio dell’impegno della stessa Russia, con la garanzia di Stati Uniti e Regno Unito e poi di Cina e Francia, del riconoscimento e salvaguardia dei propri confini.
L’unica strada che ora vedono, per smetterla con gli accordi fasulli e perdere pezzi di territorio uno dietro l’altro, è la sconfitta militare e la caduta di Putin. Bisogna partire da qui per inventare assieme a loro, se ne siamo capaci, un altro credibile scenario. L’avvio di negoziati che possano ambire a una “pace positiva” non dipende da una specie di Risiko su dove collocare i nuovi confini, relativi a Crimea o Donbass o altro, ci vuole altro.
Come Mean non pensiamo di essere né Wilson né Desmund Tutu, ma sappiamo che le opzioni di uscita da questo tipo di impasse si riconoscono perché sono inizialmente vaghe e sembrano inizialmente assurde, irrazionali. Ma offrono al tempo stesso un terreno fertile al contributo originale e all’immaginazione di ognuno. Un’idea che ci è venuta nasce da una reazione dei nostri interlocutori ucraini alla domanda: “C’è stato un momento in cui avreste potuto scegliere di privilegiare una opposizione disarmata, sulla scia di quegli abitanti che all’inizio impugnando la bandiera e urlando in russo ‘go home!’ hanno fatto girare i carri armati russi?”. Risposta: “Sì ci sarebbe stato, se voi società civile europea foste accorsi in migliaia al nostro fianco a fare barriera nei primi giorni della invasione”. Con un’aggiunta: “Adesso è tardi, ormai chi si avvicina disarmato fa la fine degli abitanti di Bucha”.
Cosa possiamo fare quindi? A noi sono venute in mente “Le tregue natalizie” nella Prima guerra mondiale, quando i soldati dei due schieramenti, la vigilia di Natale 1914, uscirono dalle trincee e fraternizzarono. È possibile riproporre qualcosa di simile? Già adesso, in questo Natale 2022? Immaginiamo un accordo di tregua, grazie al quale migliaia di cittadine e cittadini europei alla vigilia di Natale si recano in parte fisicamente in parte virtualmente sulle linee del fronte e invitano i soldati dei due fronti a unirsi alla celebrazione della intelligenza umana contro la stupidità della guerra. Tutti lì, di persona, tutti disarmati, a simboleggiare che "il contesto è cambiato", che le utopie concrete sono possibili. Un’iniziativa del genere va pensata con cura con chi vorrà. Certamente sarebbe un bel segno che Papa Francesco non ha parlato a vuoto quando ha invitato a “creare le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”.
* Marianella Sclavi è portavoce Movimento europeo di azione nonviolenta. L'articolo è stato pubblicato oggi su “Il Foglio”.
0 commenti all'articolo - torna indietro