"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Giusy Diquattro, Adel Jabbar, Gianluca Gabrielli (a cura di)
Paesaggi interculturali nella terra di mezzo
Kanoga edizioni, 2022
di Claudio Tugnoli *
Il tema della convivenza tra persone di diversa provenienza geografica e culturale è antico e sempre attuale. Una società si compone inevitabilmente di persone che hanno bisogni e aspirazioni diverse, riconducibili alle differenze di età, di formazione scolastica ed estrazione culturale. Tale molteplicità di soggetti che differiscono in quasi tutto – una molteplicità mobile e in costante trasformazione – è la conseguenza del fatto che gli esseri umani da sempre si spostano sulla superficie del nostro pianeta, sfidando i muri, i fili spinati, il mare in burrasca.
E coloro che erigono palizzate posticce in nome della necessità di difendere l’identità di chi vive all’interno di quei confini, ignorano o fingono di ignorare che l’identità non è un monolite, ma il risultato di una stratificazione millenaria e mai conclusa; che i confini non hanno alcuna ragion d’essere, sono invisibili, come dimostra la facilità con cui possono essere varcati a dispetto di tutti i divieti del mondo; e che in sostanza lo spostamento degli esseri umani da un luogo all’altro è un processo fisiologico inarrestabile, parte integrante dell’orizzonte esistenziale di ogni essere umano, il quale avverte la necessità di procedere oltre, di muoversi e sperimentare luoghi diversi.
L’assetto cognitivo degli esseri umani non è mai dato una volta per tutte, ha bisogno di assestarsi e riformarsi incessantemente, ha bisogno di aria, di nuovi spazi, di nuovi incontri. L’identità non è un ambiente chiuso, ma uno spazio di libertà, in cui gli esseri umani costruiscono continuamente il proprio profilo identitario. Laddove siano costretti a subire imposizioni, sia nella sfera privata che nel contesto collettivo, la costrizione non può che partorire una condizione patologica di paura, rabbia, depressione, che non raramente dà luogo a manifestazioni di violenza omicida e suicida. Siamo tutti stranieri su questa terra sin dal momento in cui veniamo al mondo, poiché la nascita stessa è una migrazione. Il nuovo nato è uno straniero che ha bisogno di integrarsi, di essere educato, aiutato non a rimanere, ma a diventare sé stesso.
Il volume Paesaggi interculturali nella terra di mezzo riunisce contributi specifici offerti da diversi protagonisti e osservatori degli ambiti in cui è possibile articolare il discorso sull’incontro, sulla convivenza e sulla tutela giuridica ed economica dello straniero. Perché “terra di mezzo”? Perché, spiega Adel Jabbar nell’Introduzione, i diversi interventi del volume sono «riflessioni che si attestano su una zona di confine per esplorarne entrambe le parti e costruire uno “spazio terzo affinché venga condiviso un obiettivo e un progetto; è uno stare nel mezzo per ascoltare, per fare un passo che ci ponga nel cuore delle cose» (p. 8). Le diverse culture possono coesistere davvero solo se interagiscono arricchendosi reciprocamente. Tutte le civiltà del passato si sono evolute (nulla rimane identico a sé stesso) mediante gli scambi commerciali, le rapine, le guerre di conquista. Oggi gli stimoli al cambiamento e miglioramento delle condizioni di vita dovrebbero derivare esclusivamente dai processi di spostamento delle persone da un paese all’altro, qualunque sia la motivazione che spinge a dirigersi altrove. E «la “terra di mezzo”, prosegue Jabbar, ci attrae per una possibilità di prospettiva, di visione ancora da venire, per un esercizio di immaginazione sulle vite degli altri, che diversamente mai conosceremmo se arroccati sulle nostre sponde fatte di pseudo certezze» (p. 9).
Questo libro, che si presenta ricco di contenuti e in un’elegante veste editoriale, giunge propizio come ammonimento alle chiusure e arroccamenti che negli ultimi anni il terrorismo, la pandemia, le crisi economiche e la guerra tra Russia e Ucraina hanno provocato. La deriva autoritaria di alcuni paesi è la conseguenza del diffondersi del convincimento che i mali di cui sopra possano essere sconfitti mediante l’irrigidimento sul piano identitario, la contrapposizione e la delimitazione esclusiva dei territori di specifica competenza nazionale.
La prima sezione del volume dal titolo Immigrazione e trasformazione sociale comprende i seguenti interventi: Adel Jabbar, Immigrazione: dis-equilibri identitari, riconoscimento e partecipazione, in cui l’autore affronta le due questioni della rappresentazione sociale degli immigrati e della loro partecipazione come prassi democratica; Adriana Dadà, Donne e uomini migranti: pagine di storia e attualità, in cui l’autrice affronta lo scandalo della disparità nel riconoscimento dei diritti tra migranti e residenti; Vojsava Tahiraj, Intercultura: comunicare nella terra di mezzo, riferisce alcuni episodi in cui è possibile comprendere l’importanza cruciale dei servizi e delle pratiche interculturali – come la mediazione interculturale continua – che possano soddisfare le esigenze dei migranti, esposti ai traumi e alle ferite del cambiamento; Nora Lonardi, L’intercultura a scuola. L’esperienza di ricerca nelle classi, in cui è riportata l’esperienza di osservazione delle classi e delle dinamiche relazionali, realizzata qualche anno fa in diversi plessi e ordini scolastici delle province di Bolzano, Cremona e Mantova.
La seconda sezione, Memorie dei luoghi, comprende gli interventi di: Giusy Diquattro, L’altra sponda del fiume: lo sguardo delle nuove generazioni, che riferisce positive esperienze di incontro, dialogo e percorsi vari con giovani immigrati; Maria Adele Valperga Roggero e Sara Milano, Donne immigrate e paesaggi urbani, in cui gli autori raccontano la Torino come luogo di immigrazione femminile, città multiculturale che registra solitudini e solidarietà, in costante evoluzione; Annalisa Frisina e Mariana Eugenia Califano, Le esperienze di Padova e Bologna, ripercorre alcuni percorsi decoloniali nelle città, come modalità di «fare i conti con una storia negata di imperialismo, colonialismo, razzismo e con una duratura violenza strutturale che oggi colpisce non solo coloro che provengono dagli stati precedentemente colonizzati dall’Europa e dall’Italia, ma tutte/i coloro che non vengono riconosciuti come appartenenti a una nazione concepita ancora attraverso i legami di sangue» (p. 74).
La terza sezione dal titolo Testi e contesti migratori annovera i seguenti articoli: Lorenzo Luatti, “Preziosa manodopera”. Gli immigrati nei libri di scuola, in cui l’autore analizza la rappresentazione “miserabilistica e strumentale” dell’immigrazione nei libri di geografia e storia; Wissal Houbabi, Ho scoperto la poesia a scuola, ma solo per sbaglio, in cui si rende ragione del fatto che la poesia non è un lusso, ma necessaria come il pane; Ingy Mubiyai, Riprendere la parola: immigrazione e letteratura, dedicato alle difficoltà della letteratura migrante attraverso il racconto di casi esemplari.
La quarta sezione, Spazi e tempi di apprendimento, comprende: Rita Parenti, La Casa delle Parole tra pandemia e nuove opportunità, sull’evoluzione dai corsi di italiano ai Laboratori di cittadinanza; Elisabetta Aloisi, Francesca Belotti, Elena Scaramelli, La tecnologia al servizio di una didattica inclusiva, sull’alfabetizzazione digitale; Simona Ciobanu e Elena Bardi, Intercultura ai tempi del Covid; Loretta Barberi, Una Costituzione per tutti. La sfida interculturale, sulla parola come strumento che rende effettiva la libertà di partecipare alla vita sociale nello spirito della Costituzione.
La quinta sezione, Razzismo: una storia attuale, comprende: Pap Khouma, L’identità di colore, sulla semantica del razzismo; Gianluca Gabrielli, Cambiare la macchina scolastica, sul dovere degli insegnanti di italiano agli stranieri di valorizzare le qualità che trascendono il “ciclo produttivo del curricolo”, superando il carattere etnocentrico e razzista del curricolo; Tamara Taher, Islamofobia e razzismo anti-musulmano: riformulare e stratificare lo sguardo, per una critica delle categorie identitarie che agiscono subdolamente nel determinare islamofobia e razzismo anti-musulmano.
La sesta sezione, Autobiografia e campo visivo, annovera: Giusy Diquattro, L’inganno del tempo e la scrittura di sé. Storie di vita e intercultura, in cui emerge la storia di Acberet giunto da Asmara all’epoca del delitto Moro; Jahela Milani, L’intercultura nell’esperienza di una operatrice sociale, dove si raccomanda una mediazione culturale che sia espressione di libertà, partendo dall’ascolto innanzi tutto di se stessi per un ascolto autentico degli altri mettendosi nei loro panni, e restituire così dignità a chi racconta di sé; Adel Jabbar, Orizzonti plurali nelle parole dei figli della migrazione, in cui l’autore affronta la delicata questione dell’identità vissuta dai bambini e ragazzi stranieri, siano immigrati al seguito dei genitori o siano nati in Italia.
Nella sua Posfazione Adel Jabbar riflette sulla differenza tra la figura del migrante e dello straniero. Se ci si limita alla figura del migrante, allora si riproduce semplicemente il meccanismo del modello dominante che porta a un’integrazione subalterna. «Se invece si intende promuovere un principio di uguaglianza emancipante, non si può prescindere dalla figura dello straniero, portatore di ottiche culturali e anche spirituali, quindi dal proiettarsi in una dimensione di ricerca di valori e di cambiamento. Il migrante è alla ricerca di certezza, lo straniero è un simbolo di libertà (da intendersi ovviamente come condizione morale e spirituale e non nel senso del fare ciò che si vuole) […] Garantire al migrante il diritto a una vita materialmente dignitosa e allo straniero (lo straniero che è in tutti noi) il diritto alla sua ricerca di libertà rappresenta la vera sfida per una società coesa e plurale” (p. 224).
* scrittore
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