"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L’Unità nazionale e l’autonomia differenziata

bandiere

di Giorgio Cavallo *

(8 febbraio 2023) La vittoria elettorale di FdI ha portato ad un curioso scambio lessicale: il presidente del Consiglio Meloni non usa più il termine “stato” (e ancor meno quello di Repubblica) ormai sostituito da quello di “nazione”. La cadenza gutturale romana poi acuisce ulteriormente l’importanza del termine. Il concetto di nazione come comunità politica è una visione della modernità che si è affermata negli ultimi duecento anni e che oggi deve essere interpretato alla luce delle trasformazioni globali che politicamente coinvolgono il XXI secolo. Lo stato-nazione è la realizzazione storica del Leviatano di Hobbes il cui compito di protezione del cittadino rispetto alle avversità è ancora oggi alla base del successo di molte proposte politiche cosiddette neo sovraniste. Il testo di Paolo Gerbaudo “Controllare e proteggere – il ritorno dello stato”, ed. Nottetempo, Milano 2022, descrive molto bene quello che chiama “Stato di necessità” e rimette in campo proprio la sua nuova centralità, vista sia da destra che da sinistra.

Ma il susseguirsi dei “cigni neri” che coinvolgono l’intera umanità mi fanno ritenere che l’attuale incertezza proveniente dalla crisi del neoliberismo e dal rifugio, per ampie regioni del pianeta, nella tradizione statale (spesso di carattere imperiale) non potrà reggere le contraddizioni del presente nella loro complessità. E’ una ingenuità clamorosa credere che l’insurrezione della Terra possa essere sedata e governata dalle concorrenze tecnologiche tra imperi.

Cosa ne possa derivare per le comunità politico-istituzionali non è chiaro, anche se molti si cimentano in prospettive più o meno ideali. Da Ferraioli con la sua “Costituzione della Terra” agli esponenti del movimento per la “Giustizia Climatica” Main e Wainwright (“Il nuovo Leviatano” – Treccani 2019) con la loro X-Climatica contrapposta al più gettonato Leviatano-Climatico.

E’ in questo quadro, e proprio nelle caratteristiche del dibattito sulla “autonomia differenziata”, che va interpretata la arretratezza italiana. A parte le intemperanze degli interessi regionali della vecchia Lega Nord tradotte in lunga attesa dalla proposta governo-Calderoli, è tutto uno stracciarsi le vesti per affermare un futuro di uniformità di splendide prestazioni dello Stato su ogni angolo dei suoi confini.

Allo squillo di tromba della destra di “maga Giorgia” risponde quello delle ali sinistre e dei centri “moderati”, ma si può ben immaginare che il futuro di una unità nazionale con LES di eccellenza (o magari semplicemente di media di quelli attuali) sia pura fantasia. Forse alle deficienze dello stato-nazione potrebbe sopperire la visione virtuale di una Europa-nazione, ma qui i primi servizi sociali essenziali che si presentano sono quelli relativi alla fornitura di carri armati.

C’è quindi un vizio di fondo nell’attuale dibattito italiano sulla autonomia regionale differenziata. Quello di intenderlo come puro problema di funzionamento dello Stato (Nazione per “Giorgia”). Sono meglio i burocrati ed i politici regionali o quelli abbarbicati in Parlamento e nei Ministeri? Dove si annida la corruzione e la partitocrazia? Sono solo le Regioni a favorire la privatizzazione di servizi pubblici indispensabili come l’istruzione e la sanità?

La decadenza del percorso democratico, certificato dal crollo delle presenze elettorali, ci dovrebbe incitare ad andare oltre semplici ragionamenti di funzionalità. Quali sono e da dove derivano gli attuali limiti delle amministrazioni? Solo prendendo atto della necessità di nuovi spazi democratici che sappiano prescindere dalle logiche piramidali e dalle aspettative infondate che dallo Stato ne derivano, sarà possibile entrare in risonanza con la complessità dei problemi globali della post modernità.

L’inverno demografico del Friuli - Venezia Giulia che, realisticamente, ridurrebbe di un terzo la sua popolazione nei prossimi 60 anni, specchio peraltro di una situazione perlomeno europea, come va affrontato? Ricercando affannosamente braccia da lavoro o rendendo più adeguata la presenza umana sul territorio? Come potranno intrecciarsi le innovazioni e le tradizioni (sociali, linguistiche, etc.)? Può la logica dell’interesse “statale o nazionale” di soldatini obbedienti permettere al territorio di costruire una nuova semiologia interpretativa delle proprie mutazioni in raccordo con quello che succede nel resto della Terra, o non piuttosto rischia di piegarla a rapporti di forza e potenza come peraltro ha dimostrato la storia degli ultimi duecento anni?

Forse proprio una nuova concezione di nazione, intesa non come geografia di confini ma come spazio di produzione di capitale semantico (nella interpretazione che ne dà Luciano Floridi) da contrapporre alla pervasività delle intelligenze artificiali, può esprimersi meglio qualora stimolata da diversità politico-amministrative piuttosto che osannata da un capo al comando.

Certo, le caratteristiche geografiche particolari di questo lembo di penisola italiana affacciata sui Balcani e sul Centro Europa, ha convinto saggiamente la Repubblica a fornire uno Statuto di autonomia speciale ad una Regione residua che 60 anni fa era sull’orlo del tracollo. Le condizioni sono oggi cambiate ma l’importanza di una autonomia speciale permane e chiede di essere aggiornata.

Ma l’autonomia e l’autogoverno non sono una pura prerogativa di casi particolari, magari là dove le “nazioni” sono più di una. Oggi la presa d’atto che l’insieme dei territori che costituiscono la Repubblica vivono dinamiche sociali, culturali ed economiche diversificate, dovrebbe suggerire di giocare seriamente la partita di affidare responsabilità autonome ai cittadini che in tali diversità vivono. Che poi questo possa avvenire con meccanismi istituzionali quali l’autonomia regionale differenziata o la costruzione di altre forme di razionalizzazione amministrativa e di distruzione di una falsa uniformità nazionale appartiene ad una discussione politica che non è ancora mai seriamente iniziata. Se la politica è anche altro rispetto alla pura lotta per la conquista delle poltrone (scomode) del potere, è ora che batta qualche colpo.

* esponente del Patto per l'Autonomia, già Consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia

 

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